Purtroppo, i sospetti di Euryal si rivelarono fondati.
La curiosità dell'esterno, con i suoi tentacoli, aveva ghermito Eris, facendole chiedere ogni giorno di uscire, di andare a ballare, di fare qualsiasi cosa, purché fuori.
Lui rimaneva sempre cupo e muto nelle sue risposte, scolpendo le ali della sua farfalla.
Ci fu una sera, poi, che arrivò sua sorella, senza preavviso.
-Oh!- disse. -Ci sei! Sono contenta che tu non... vada più nei bar.
-Già.- fece lui, secco.
-Ehm...- mormorò lei. -Sono venuta qua per quella statua.
-Non è in vendita.- tuonò, categorico.
La donna rimase sorpresa: -Veramente? Ma è meravigliosa... sei sicuro? Avrei anche trovato un pagatore serio, cioè... migliore degli altri! Gli ho raccontato che è una delle statue più graziose che io abbia mai visto. Mi servono solo delle foto da mandargli, e potrai permetterti qualcosa in più di quel che hai... che ne dici?
Lui si erse in tutta la sua statura e pronunciò, scandendo: -È un no.
-Euryal...- tentò ancora lei.
-Vattene.
La donna contrasse un secondo il suo volto in rabbia, per poi tornare ad essere amareggiata: -Sei il solito orgoglioso.
L'uomo stava iniziando a stancarsi: -Un orgoglioso che ti dice che te ne devi andare. Fuori di qui!
-D'accordo!- gridò lei, alzando le braccia e girandosi verso l'uscio. -Me ne vado.
Uscendo, sbatté la porta.Euryal si voltò verso lo studio, camminando: -Mi dispiace per la litigata, Eris. Mia sorella è così... così...
Ammutolì.
Non c'era nessuna Eris in quella stanza.
La finestra era spalancata, le persiane svolazzavano per il gelido vento, che entrò nella stanza, che entrò nel suo cuore.
La sua statua era scappata.
Lo sconforto lo prese.
Piano piano, come se si aspettasse una sua ricomparsa all'improvviso, si raggomitolò in un angolo, non riuscendo a fare null'altro che non fosse gridare sussurrando il nome di lei.Eris sapeva benissimo che non avrebbe dovuto abbandonarlo.
Che sarebbe dovuta rimanergli vicino, per non far sembrare la sua esistenza ancora più un fallimento.
Il suo istinto, tuttavia, non d'accordo con lei, l'aveva portata fuori.
Quel fuori, pieno di luci e persone, di musica e di allegria, la faceva sorridere, la faceva sognare.
Nella notte oscura, passò come incantata da una via illuminata a una deserta, da una piena di gente, da una priva di luci, a una talmente buia che si scorgevano le stelle, da una con una mostra d'arte e insegne luccicanti, a una con poca gente oscura, da una dove non si sentiva più nessuna rassicurante musica, a una dove qualcuno la prese per un braccio da dietro e la sbatté contro un muro.
Una zaffata di odore acre di sigaretta raggiunse le narici della ragazza, mentre lui la toccava dappertutto.
La scultura urlò, si dimenò, pregò quella persona, ma lui le rispose solo una volta, con una risata animalesca.
In quel preciso istante, con quell'eco indelebile della violenza umana, qualcuno gridò un comando, in fondo alla strada.
Quello si voltò verso quella fonte e vide un uomo corpulento che correva nella sua direzione a pugni tesi.
Il malvivente decise di lasciar perdere la ragazza, scaraventandola a terra, e di darsela a gambe, nella notte.
Il nuovo arrivato si fermò davanti a Eris, immobile che fissava l'asfalto.
-Oh, cavolo. Mi... mi dispiace... vorrei aver potuto esserci stato qualche minuto fa, per prevenire tutto...
Visto che la ragazza non si muoveva, la alzò in piedi di peso. Appena i suoi piedi poggiarono terra, lei scoppiò a piangere.
-Mi dispiace moltissimo. Spero riuscirai a perdonarmi.- mormorò lui, porgendole un fazzoletto. -Sono Jake. Se ci sarà un modo per aiutarti, lo farò.
-Sì. Sì. Portami a casa.- sussurrò lei.
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Rimpianto
ParanormalIn mezzo a quello scoppio di fuochi d'artificio, che provocavano luci e suoni splendidamente liberatori, Euryal riuscì a sorridere. E anche a trovare il coraggio di chiedere, a quella sua scultura che aveva preso vita: -Eris... cosa siamo noi, secon...