Nina's pov
La mia nuova vita iniziava oggi. Non avevo mai avuto molta speranza nel futuro, ma questa volta era diverso. Salutai la casa in cui avevo vissuto per tanti anni, tra le colline della Virginia. Una volta l'amavo, la mia casa. Vivevamo una vita felice, eravamo una famiglia, prima che lui uscì da quella porta. Sfiorai con la mano le pareti di quella che era stata la mia camera sin dalla mia nascita, facendo riaffiorare alla mente i momenti felici passati lì dentro. Mi ricordai del mio sesto compleanno, quando la nonna mi regalò una casa delle bambole, che divenne il mio passatempo preferito per mesi, e mia madre doveva sequestrarmelo per farmi smettere di giocare. Ma appena mi concedevo ai ricordi, anche quelli brutti mi balzavano in testa, ma non potevo permettermelo, era meglio dimenticare se volevo andare avanti. Ma come dice il detto, è piu facile a dirsi che a farsi. Uscii dalla mia camera, trainando la valigia e con la borsa sulle spalle, attraversai il corridoio con le mie foto appese di quando ero piccola fino al mio diploma. Il mio diploma, il liceo, un altro capitolo della mia vita che avrei voluto dimenticare, anche se sapevo benissimo che non sarei mai riuscita a buttarmelo alle spalle, per quanto ci provassi. Al ricordo di quella notte mi scese una lacrima, senza accorgermene, ma la ricacciai su e proseguii verso l'uscita. Mentre camminavo a passo lento posai gli occhi sulla porta alla mia destra, era la camera dei miei genitori, o meglio, di mia madre, ma da quando è morta non ci dorme più nessuno. Ero sola in questa casa, io e i ricordi racchiusi qui dentro. Quindi scusatemi se sembro insensibile a voler lasciare questo posto, ma non potevo rimanere ancora. Uscita da quella porta non mi sarei più voltata indietro, dovevo andare avanti, solo andare avanti e cogliere quel briciolo di possibilità di cambiamento, carpe diem. Dopo la morte di mia madre mi venne intestata la casa, quindi era mia. Non volevo tornarci, ma decisi di non venderla, so che sembra strano però non me la sentivo, almeno non ora. Arrivai alla fine del corridoio, appoggiai una mano sulla maniglia della porta e girai lo sguardo indietro per l'ultima volta: l'appartamento era molto più spoglio e sciupato rispetto ad anni fa, impregnato di ricordi e malinconia. Iniziai a piangere, anche se mi ero ordinata di non farlo, e con scatto impulsivo aprii la porta ed uscii. È stata un'azione dettata dal mio istinto, quasi come se anche il mio subconscio sapesse che dovevo andarmene. Asciugandomi le lacrime scesi dal portico dove avevo passato la mia infanzia e diedi un occhiata alla sedia a dondolo ormai mangiata dalle termiti su cui da piccola mi sedevo e per interi pomeriggi aspettavo invano l'arrivo di mio padre. Ero troppo giovane per capire. Aprii il cancello della casa e, con il biglietto del pullman alla mano mi incamminai verso la fermata. Mi guardai intorno come se fosse la prima volta: gli odori, i prati, le colline e le case della Virginia che mi intimavano di restare. Non dovevo pensarci, così mi misi le cuffiette alle orecchie e feci partire la playlist delle poche canzoni che avevo sul telefono. Dopo 10 minuti di camminata arrivai alla fermata, erano le 6:45 e il pullman doveva arrivare alle 7:00. Sono in anticipo di un quarto d'ora, ma non avevo intenzione di perdere l'unico tram che passa per questa cittadina deserta. È diventata così triste questa città con gli anni: i miei pochi amici si erano trasferiti in città più grandi, gli unici vicini che avevo erano la signora Robinson e suo marito che, non avendo figli, coltivavano ogni anno il loro orto in giardino, e la signorina Fell, una gattara sulla settantina. Dopo circa 4 canzoni vidi il pullman arrivare in lontananza, mi alzai dalla panchina e feci cenno all'autista di fermarsi. Mostrai il biglietto al conducente, un uomo molto magro e scarno, e con un cenno della testa mi fece capire di andare sul retro. Non c'era tanta gente, la maggior parte dei posti erano liberi. Seduti in fondo si trovavano due ragazzi parlavano tra loro molto disinvolti, potevo intuire che anche loro erano diretti verso un'università, considerando che avevano all'incirca la mia stessa età. Poi sul lato destro c'era una donna con lo sguardo perso che guardava fuori dal finestrino, magari anche lei stava scappando da una brutta situazione, o forse sono stupida e lei era solamente immersa nei sui pensieri guardando il paesaggio, sognante, in stile romanzi di Sparks. Trovai un posto accanto al finestrino sul lato sinistro, misi la valigia e la borsa di fianco a me e appoggiando la testa sul vetro, guardai i paesaggi che andavano veloci e gli occhi piano piano mi si chiusero. Dopo un po' aprii gli occhi, svegliata da rumori di valigie che si spostavano. Mi alzai di scatto e vidi il college di Yale che mi aspettava, la nuova vita che attendeva solo me. Presi la mia roba e scesi, aria nuova mi riempì i polmoni e munita di soli 500 dollari mi avviai verso l'università.
Addio vecchia Nina.
Ciao nuova Nina.CIAO A TUTTI!!!
Questa è la mia prima storia, spero che come inizio vi piaccia. Più avanti vi prometto che sarà più interessante. Questo era il prologo, per spiegare un po' di cose, ma più avanti scoprirete di più.
Fatemi sapere!!
-arianna
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Dreaming him-NIAN
FanfictionNina, 19 anni, senza una famiglia su cui contare e un trauma che l'ha distrutta, arriva all'università di Yale, nella speranza di cambiare vita. Ian, 22 anni, al college per compiacere la famiglia, sembrerebbe che abbia tutto, ma anche lui ha un pas...