Capitolo 2

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Mi piegai sul campo e afferrai alcune spighe, le guardai attentamente e le aggiunsi al mazzo. Il vento soffiava leggero sulla campagna e portava con se il profumo dell'estate ormai imminente. Lasciai che mi accarezzasse la pelle e mi scompigliasse i capelli, chiudendo gli occhi per carpire quel breve momento di pace. Non ne avevo avuti molti in quegli otto lunghi anni, così avevo imparato a goderne. Erano successe talmente tante cose, eppure il suo ricordo continuava a tormentarmi, nei miei sogni, nelle mie parole, perfino il mio volto era stato segnato dalla sua assenza. I miei occhi erano diventati più scuri, profondi, come due pozzi senza fine. Alcuni uomini li trovavano affascinanti, altri spaventosi, ma a me non importava cosa pensassero loro. Avevo imparato a non farmi influenzare troppo dal giudizio di coloro che non mi conoscevano. Lo avevo capito lavorando nella taverna del villaggio, per cercare di aiutare la mia famiglia guadagnando quel minimo indispensabile per vivere in modo decoroso.

All'inizio pensavo che non mi sarei mai più ripresa. Una donna mi trovò rannicchiata sulla strada, le gambe strette al petto e gli occhi spalancati, e mi ricondusse a casa. Nonostante fosse ancora tardi mia madre era sveglia, i capelli tutti in disordine e le lacrime agli occhi. Quando mi vide arrivare insieme alla donna si mise a ridere e mi strinse forte tra le sue braccia, ma io rimasi immobile. Prese a sgridarmi, a dirmi che non lo avrei più dovuto fare, ma io non sentivo niente, le parole scivolavano su una grigia patina di dolore che ricopriva le mie orecchie e il mio cuore. Mia madre mi scostò, e allora vide il mio volto sporco di terra e gli occhi vuoti e increduli, come se quello che avevo visto fosse ancora impresso al loro interno, indelebile e vivido come una cicatrice. Mi chiese cosa fosse successo, ma io non riuscivo a rispondere, non volevo farlo, come se pronunciare quelle parole le rendesse reali e definitive. La donna mi fece sedere su un letto e accompagnò mia madre nell'altra stanza. Io rimasi lì, immobile, lo sguardo fisso sulla finestra, come se mi aspettassi di vedere il suo volto pallido sbucare da sotto lo stipite e sorridermi, chiedendomi se volessi uscire a vedere le stelle. Forse mi addormentai, ma i miei sogni erano popolati da immagini di mostri neri che carpivano con i loro lunghi artigli il corpo inerme di Eric e, quando io chiedevo loro di prendere anche me quelli correvano via ridendo, lasciandomi da sola in mezzo ad una landa buia e arida, e io gridavo e gridavo, ma nessuno poteva sentirmi. Giungeva solo la voce di Eric, che mi bisbigliava nelle orecchie che saremmo restati sempre insieme, prima che quegli esseri me lo strappassero via. E nonostante fossero ormai lontani continuavo a sentirla, come una beffa crudele che mi ricordava ad ogni respiro che non sarebbe mai accaduto. Sempre insieme. Sempre insieme. Sempre, sempre, sempre. Ancora in preda ai miei deliri sentii la porta aprirsi con un cigolio, poi i miei genitori mormorare qualcosa. Infine mio padre uscì con il suo passo pesante e tornò il silenzio. Dopo alcuni attimi un grido si alzò dalla casa di fianco, l'urlo straziante di chi aveva perso ogni cosa, ogni ragione che lo costringesse ancora a vivere in questa terra piena di odio e tradimento. Era lo stesso grido che risuonava dentro di me, acuto e lacerante, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a farlo emergere, portarlo allo scoperto, il vuoto che lo circondava era troppo ampio per lasciare spazio a qualsiasi altra cosa. Così si faceva lentamente strada dentro il mio petto, risuonando ogni notte, rendendo gli incubi più nitidi e i risvegli più dolorosi. Quel grido e quel vuoto cancellarono qualunque altra cosa, i miei genitori, il padre di Eric, la tristezza, il dolore. Semplicemente rimanevo lì, immobile, gli occhi fissi nel vuoto in cerca di una speranza, di qualcosa che mi dicesse che Eric era ancora con me. Un giorno mia madre mi si sedette accanto e prese a parlarmi, spiegandomi che Eric ormai se n'era andato e io, per quanto fosse difficile, dovevo andare avanti. – Non dire che se ne andato.- le dissi, interrompendola. – Sembra quasi che tu stia dicendo che lui è morto. Ma Eric non è morto. Forse se lo fosse non sarei così tormentata, perché saprei che è troppo lontano perché chiunque lo possa raggiungere, ma lo porterei comunque sempre con me. Ma Eric non è morto. È stato rapito da un mostro, che lo renderà una creatura crudele e senza alcuno scrupolo. Lo piegherà al suo volere, lo trasformerà in ciò che non sarebbe mai voluto essere. E questo, mamma, è molto peggio della morte.-

- Emma ... - provò a consolarmi lei.

- No, mamma. Eric non esiste più, e non tornerà mai più da me. – lacrime pesanti scivolarono sul mio viso, e io non riuscii più a trattenermi. Il vuoto si infranse, sprigionando tutto quello che avevo soffocato, tutto il dolore, tutta la paura, tutta la consapevolezza di essere sola, ormai. Mi accascia tra le braccia di mia madre, affondando il volto nella sua camicia morbida e profumata. Sapeva di fiori, di lavande e di sole. Ma non erano quegli odori che volevo sentire. Volevo sentire odore di fresco, di libertà, di risata, di Eric. Lui profumava di rose, di viole e di vento. Volevo passare ancora le dita tra quei capelli neri e sbarazzini, sfiorare quella pelle pallida e liscia, sottile come una foglia in autunno, calda come il sole in estate. Volevo sentire ancora la sua voce fondersi con la risata del grano al tramonto, quando la brezza lo accarezzava e poi fuggiva via. Volevo vedere i suoi occhi scintillare sotto la luce delle stelle, mentre mi stuzzicava con una spiga sottile, e mi prometteva che avremmo vissuto per sempre così, liberi e felici. Volevo ancora annusarlo, toccarlo, sentirlo, vederlo. Volevo averlo ancora con me, ora e per sempre. Ero vissuta con la certezza di averlo al mio fianco, in qualsiasi occasione, sapevo che mi avrebbe appoggiata e mi avrebbe fatta ragionare. Sapevo che ci sarebbe stato, e non mi soffermavo molto su questa cosa. Solo ora che lo avevo perduto mi rendevo conto. Lui non era stato solo la mia roccia, lui era stato la mia gioia, la mia sicurezza, il compagno a cui aggrapparmi e con cui danzare, un amico e una guida. E ora non c'era più, e non sarebbe mai tornato. Mia madre mi baciò i capelli, mentre io continuavo a ripetere quelle parole dolorose, come a volerle marchiare a fuoco nel mio cuore. Eric non tornerà mai più. Mai più. Mai più.

OMBRACenerentola e il Principe NeroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora