capitolo 1; photos

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Il vento era potente e gelido, pioveva, piccole gocce d'acqua cadevano sulle foglie e sull'erba. Grandi nuvole nere coprivano il sole. Non c'erano case nelle vicinanze. Correva senza una meta, in quel bosco immenso, non sapendo dove andare.
Non c'era niente, c'era il nulla.
Pensava che anche il nulla fosse una cosa, "nulla è niente". Correva, iniziavano a mancarle le forze.
Correva, i piedi non andavano più.
Correva, e poi il nulla.
Sotto i suoi piedi c'era il nulla.
Tutto era nero, andava sempre più in basso, sempre più in basso...

Sveglia. Erano le ore 3.03, Astrid si svegliava tutte le notti a quell'ora, ormai era diventato un appuntamento abituale.
Dopo essersi svegliata scendeva dal letto e percorreva il grande corridoio della sua villa. Era buio, ma si intravedevano i quadri dei suoi antenati appesi alle pareti, ad Astrid piaceva immaginare che loro fossero veramente lì, a guardarla dal quadro. Arrivata nel grande salotto, si metteva sul divanetto rosso in pelle e fissava l'orologio a dondolo.

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Aspettava che la lancetta dei minuti facesse dieci giri, e alle 3.13 tornava nel suo letto.

Tutto nero. Sempre più in basso...
Poi finiva tutto. Tutto nero, il nulla di nuovo.
Si guardava intorno, ma c'era solo il nulla. Vuoto, triste, nero. Voleva urlare, ma la voce non le usciva. Era intrappolata nel nulla, e non sapeva come uscirne. Correva senza una meta, non sapendo nemmeno dove andare. Iniziava a perdere i sensi, le gambe non si muovevano più, la testa iniziava a girarle, e il nero diventava più intenso, sempre più intenso...

Astrid si svegliò alle 8.00, e come tutte le mattine, andò in camera di suo fratello Simon. Lo fissava sempre mentre dormiva, le metteva calma. Quel giorno era girato sulla schiena, i capelli neri gli ricadevano sugli occhi chiusi. I suoi occhi erano azzurri, di un azzurro particolare. Non erano chiari, color ghiaccio, ma prendevano anche le sfumature del violetto. Era bello, suo fratello, molto bello. Astrid era sicura che se avesse potuto uscire da quella casa avrebbe fatto strage di cuori, sia fra le ragazze che fra i ragazzi.

Ad un certo punto suo fratello aprì gli occhi, di scatto, la guardò, si alzò, e andavano insieme nella camera dei loro genitori. Aprirono la grande porta di legno, e si posizianarono ai due lati del letto, Astrid dalla parte di suo padre, Simon dalla parte di sua madre. Juditte era una donna dai lineamenti particolari, bianca come il latte. I capelli erano corti e rossicci, e gli occhiali da lettura che portava le conferivano un'aria seria e severa. Suo marito, Henry, aveva i capelli biondi e gli occhi verdi, era bello come sua madre, come tutti in quella famiglia. Sembravano tutti perfetti, una famiglia perfetta. Ma non bisogna mai fermarsi alle apparenze.

Dopo qualche minuto anche i genitori si svegliatono, quindi tutti insieme andarono in salotto. Era grande, molto grande. Al centro un grande tappeto rosso con rifiniture oro copriva il pavimento. Le pareti erano bianche, e diversi quadri e accessori le ornavano, come i gioielli ornavano la pelle candida di Juditte. La donna si sedette sul divano, tirò fuori una sigaretta dalla tasca del vestito e iniziò a fumare. Non era niente di strano per loro, tutte le mattine succedeva la stessa identica cosa. Il padre invece come suo solito andò nello studio, dove rimase tutta la mattina.
Simon accese il televisore e guardò il suo programma preferito.
Astrid invece fece la cosa che le piaceva di più fare.
Giocare con la sua casa delle bambole.
Tornò saltellando nella sua cameretta, e con un grande sorriso sul volto, prese le sue bambole, e iniziò a giocare, inventando le storie più assurde che una bambina di undici anni potesse inventare.

La sua casa delle bambole era davvero bella, imponente, quasi regale. Era bianca e aveva molte finestre, e su ogni finestra c'erano dei fiori. Quella casa era stata molto curata nei dettagli, ed era quello che la rendeva così bella. Ogni piccola parte era stata fatta con cura. Astrid amava giocarci, non aveva fatto altro da quando aveva memoria. Ci giocò per due ore, e al termine di queste, fu costretta a scendere e a tornare dalla sua famiglia.

"Astrid, tesoro, dobbiamo fare la foto di famiglia, te n'eri scordata?" Erano le prime parole che sua mamma le proferiva da quel giorno.
"No, mamma, mi ero solo persa mentre giocavo con la casa delle bambole."
Sua mamma le sorrise, e posizionò la macchina fotografica con l'autoscatto davanti a loro. Si sedettero tutti sul divano e si misero in posa.

Click

Henry si alzò e andò a vedere il risultato. Prese la macchina fotografica, guardò la foto, e non riuscì a nascondere il proprio sgomento. Lanciò un occhiata alla moglie, che preoccupata, andò da lui. Guardò anche lei la foto, e portò una mano a coprirsi la bocca. Poi guardarono entrambi Astrid, la piccola e innocente Astrid, che di tutto quello che stava succedendo non stava capendo nulla.

"Simon, porta tua sorella da qualche parte, ovunque, ma portala via da questa stanza, subito." La voce di Henry non risultava minacciosa, ma Astrid iniziava a preoccuparsi. Suo fratello la prese per il polso e la portò in camera sua. Non stava capendo niente. Perché i suo genitori avevano avuto quella reazione vedendo la foto? Perché l'avevano praticamente cacciata? Troppe domande le frullavano per la testa, iniziava a impazzire. Arrivati nella camera del fratello non ce la fece più, svenì.

E poi il nulla.

La casa delle bamboleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora