capitolo 3; brother

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Si trovava ancora in quel luogo. Nero, vuoto. Come sempre correva, perché lì non poteva fare altro. Non riusciva a fare altro. Era come se qualcuno manovrasse le sue azioni. Non aveva scelta, lei doveva correre. Il nulla la inghiottiva, ma si chiedeva, lei che cos'era in quel nulla? Iniziarono a cederlele gambe, come tutte le altre volte, e cadde nel vuoto un'altra volta.

La camera era illuminata, e Astrid si svegliò proprio per la luce. Le girava la testa, era stata una notte pesante. I sogni di quella notte le riaffiorarono nella mente. Sua madre, con un coltello in mano, che uccideva tutta la sua famiglia. L'unica cosa ce riuscì a pensare fu che sua madre non sarebbe mai capace di fare una cosa del genere?

O forse sì?

Saltò giù dal letto e andò verso la Camera di suo fratello. Voleva abbracciarlo, stringerlo e dirgli quanto gli voleva bene. Ma quando arrivò davanti a quella che doveva essere la stanza del fratello, non trovò niente. La porta non c'era. Rimase a fissarla per qualche minuto, dopodiché iniziò a urlare, piangere, era disperata, confusa.

Si buttò per terra, in ginocchio, e iniziò a battere i pugni sul muro, e intanto le urla disperate della bambina si sentirono anche in camera dei genitori.

Sua madre non tardò ad arrivare e le posò dolcemente una mano sulla spalla. Astrid si irrigidì subito. Smise di urlare ma non di girò.

"Tesoro, cosa c'è? Perché piangi, piccola mia?" la voce di sua madre era calma e dolce, ma non c'era faccia di preoccupazione.

Astrid respirava a fatica, il cuore minacciava di uscirledal petto. Si girò lentamente e con vari singhiozzi riuscì a formulare una domanda.

"M-mamma. Dove.. d-ov'è Simon?"

Sua mamma sorrise, si abbassò all'altezza di sua figlia, le mise le mani sulle spalle e poi disse:

"Tesoro, chi è Simon?" sorrideva ancora, era estremamente calma.

Il cuore di Astrid smise di battere per un secondo, aveva paura. Voleva suo fratello, lei sapeva di non essere pazza, suo fratello esisteva.

Delle lacrime iniziarono a solcare il suo viso, il respiro affannato, fissava sua madre con incredulità e paura. La donna le sorrideva ancora, le accarezzava i capelli e poi le baciò la fronte.

Astrid corse via, verso la sua camera, aveva paura. Si girò solo per vedere sua madre, che era ancora lì, ferma, che la guardava sorridendo.

Arrivata nella sua camera prese una borsa e ci mise dentro qualche vestito. Guardò la casa delle bambole, le si avvicinò e la toccò lentamente con la punta delle dita, come per accarezzarla. Le dispiaceva lasciare quell'oggetto, ma era inevitabile, doveva scappare da quella casa.

Scese dalle scale con molta fretta, inciampando nell'ultimo gradino e cadendo a terra. Si rialzò subito e corse verso la porta. Provò ad aprirla, ma niente, era chiusa.

Piangeva, non aveva mai avuto più paura. Era una paura mischiata alla disperazione e alla tristezza. Lei sapeva che sua fratello fosse esistito. Sua madre lo aveva ucciso, non era stato un sogno.

Provò ancora ad aprire la porta, e ancora e ancora, ma non c'era niente da fare, non si sarebbe aperta. Scivolò sulla porta di schiena, piangendo, e si sedette per terra, iniziando a singhiozzare rumorosamente.

Dopo pochi minuti sentì dei passi avvicinarsi, però non era sua madre. Lo capiva dal rumore dei passi. Come immaginava, suo padre si inginocchiò davanti a lei e le posò una mano sulla spalla. Astrid alzò il viso e lo guardò negli occhi. Quegli occhi verdi e freddi.

Henry le sorrideva, e intanto le accarezzava delicatamente la guancia.

"La mamma mi ha riferito cosa è accaduto poco fa, Astrid. E volevo solo dirti che in questa casa non c'è mai stati nessun Simon. Tu sei figlia unica, tesoro." la sua voce era incredibilmente calma. La bambina aveva smesso di piangere, e fissava incredula il volto del padre.

E se fossi pazza? Questo era quello che frullava nella mente della bambina. Ma lei sapeva che c'era qualcosa di strano. Non poteva essersi immaginata il fratello.

Henry, sempre accarezzandole la guancia, aggiunse:

"Cosa stavi cercando di fare Astrid?" rise. "Volevi scappare di casa?" questa volta la sua voce non era molto calma. Il suo tono di voce iniziava a crescere sempre di più. Rise di nuovo, e Astrid cercò di avvicinarsi ancora di più alla porta, ma era imprigionata fra essa e il padre.

"Lo sai che non puoi uscire, piccola mia." Detto questo si alzò, guardò Astrid dall'alto e sorrise di nuovo. La prese bruscamente per un braccio e le tirò uno schiaffo così forte da farla ricadere per terra.

Astrid singhiozzava ancora, contro la porta, afflitta.

Il padre parlò ancora, calmo e dolce:"Ora tesoro, torna in camera tua, non vuoi giocare con la casa delle bambole?"

Astrid non si mosse, non guardò negli occhi il padre, ma continuò a fissare il pavimento, ormai bagnato dalle sue lacrime.

"Ho detto, torna nella tua camera." Henry alzò la voce, quindi la bambina si tirò lentamente a sedere, si asciugò il viso dalle lacrime con una mano, e si mise in piedi. Guardò il padre negli occhi, che le sorrideva, e poi se ne andò in camera sua. Salì le scale lentamente, e si fermò nel punto in cui una volta c'era la camera di Simon, accarezzò la parete e andò avanti.

Entrò in camera sua ma non andò a giocare con le sue bambole, andò invece nel suo letto. Aveva bisogno di riposare, magari si sarebbe svegliata, fra le braccia del fratello, realizzando che quello fosse stato solo un brutto sogno, un incubo.

E mentre Astrid andava fra le braccia di Morfeo, qualcosa accadeva nella sua casa delle bambole.

La casa delle bamboleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora