capitolo 4; thoughts

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Quella notte era stata strana per Astrid. Era stata tranquilla, aveva dormito bene. Per la prima volta non aveva avuto quell' incubo. Il nulla non l'aveva presa quella notte, e la bambina da una parte ne era felice, dall'altra si sentiva intimorita. Felice perché quel sogno l'aveva tormentata da quando aveva memoria, e non averlo sognato per una notte l'aveva fatta svegliare molto più serenamente. Intimorita perché quello era pur sempre un cambiamento, un altro cambiamento, e in quel periodo di cambiamenti, ce n'erano stati fin troppo per i suoi gusti.

Pensò velocemente a quello che era successo il giorno prima, la scomparsa di suo fratello Simon. Possibile che non fosse veramente mai esistito? Lei si ricordava benissimo del fratello, i suoi capelli neri come la pece, e il contrasto che i suoi occhi azzurri andavano a formare. La delicatezza con cui le accarezzava la guancia quando aveva un momento di sconforto. Le sue braccia possenti che la portavano a letto quando pensava si fosse addormentata in camera sua, quando invece, Astrid non stava dormendo, ma lo faceva solo per avere le attenzioni del fratello, che in realtà mai mancavano, ma la bambina non ne aveva mai abbastanza. Era impossibile che tutti i ricordi del fratello fossero solo una sua immaginazione, era troppo vividi, troppo forti i sentimenti che lei provava per lui. Un amore unicamente fraterno, ma fortissimo.

Pensò alla madre, non era mai stata molto carina nei suoi confronti, ma in quel periodo era cambiata, era diventata più meschina, e gli incubi che aveva avuto su di lei avevano solo fatto crescere quel senso di insicurezza che aveva con Juditte. Non le voleva bene come si dovrebbe voler bene a una figlia, e per Astrid era reciproco. Non l'aveva mai sopportata, la sua presenza la metteva solo di cattivo umore, e la infastidiva. Non riusciva proprio a reggerla quando faceva quei sorrisetti falsi per tranquillizzarla. Juditte voleva apparire perfetta, perché era quello che pensava di essere, e la sua famiglia non poteva essere da meno. Ma nessuno è perfetto, la perfezione non esiste. Ogni persona ha i suoi difetti, bisogna solo saperli gestire. Astrid pensava che sua madre avesse bisogno di mettersi in pace con sé stessa, e accettare una volta per tutte che non era perfetta, che la sua famiglia non era perfetta. Ma Juditte probabilmente non l'avrebbe mai capito.

Dopo la madre, Astrid pensò al padre. Henry era stato sempre più violento della madre. Non perdeva mai l'occasione di picchiare sua figlia, che puntualmente, tutte le volte, rimaneva impassibile ai gesti del padre. Una cosa che aveva in meno della madre, era però l'indipendenza. Non faceva quello che faceva per ce lo voleva lui, ma Astrid pensava fosse spinto da Juditte. Non era particolarmente intelligente, sua padre, era continuamente manipolato da Juditte. Infatti, nei suoi genitori, la madre era la mente, e il padre il braccio. La bambina non teneva nemmeno al padre, ma lui, sotto sotto, si era affezionato a quella piccola bambina dai capelli scuri, ma mai glielo aveva dimostrato, anzi, dal suo comportamento sembrava proprio che non gliene importasse di lei.

Infine pensò a sé stessa, chiusa in quella casa da quando era nata, non aveva mai avuto amiche da invitare, per fare pigiama party o semplicemente chiacchierare sul divano sorseggiando una cioccolata calda. Non aveva mai visto un ragazzo oltre a suo fratello, quindi non si era mai presa una cotta, non aveva mai sentito quelle farfalle nello stomaco, come dicevano in tv. Non aveva mia fatto quello che una bambina dovrebbe fare durante la sua infanzia. Avrebbe dovuto divertirsi di più, ridere con le amiche, andare a scuola, ma niente di tutto questo le era mai successo. L'unica cosa che aveva fatto, era stata giocare con la sua casa delle bambole. Era divertente, sì, ma sarebbe stato tutt'altra cosa avere delle amiche. Da quando aveva memoria, Astrid si ricordò di non aver passato un singolo giorno, senza giocare con quella casa. Era diventata una cosa indispensabile, senza la quale non poteva solravvivere, le veniva naturale, come respirare. Non sapeva perché fosse particolarmente legata a quell'oggetto, non sapeva neppure chi gliel'avesse regalata. Non si ricordava un giorno in cui la sua casa delle bambole non era stata nella sua camera. Era sempre stata lì. All'interno della piccola casa c'erano tre bambole, erano tutte femmine. Si chiamavano Adelaide, Amber e Alexis. I nomi non li aveva neanche scelti lei, le aveva sempre chiamate così come se quelle bambole fossero veramente delle persone e avessero una loro identità.

Adelaide aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, la carnagione pallide e le guance leggermente arrossate. Era vestita con un ampio vestito giallo, tenuto Street to sulla vita grazie a un grosso nastro bianco, legato dietro con un fiocco. Non sorrideva, nessuna delle tre sorrideva, sembravano quasi... tristi.

Amber era la più piccola delle tre, essendo più bassa delle altre due bambole. I suoi capelli erano rossi e ricci, le guance piene di lentiggini e due grandi occhi verdi. Era vestita con un eccentrico vestito lungo, coloratissimo e con una stampa a fiori.

Alexis fra le tre era la più bella, aveva i capelli morie mossi e gli occhi azzurri. Astrid amava quell'abbinamento, trovava incredibilmente belle le persone con capelli scuri e occhi chiari, anche se in tutta la sua vita ne aveva viste solo due, il fratello e Alexis. Anche se Alexis non si poteva definire una persona. Quest'ultima bambola aveva un vestito blu che le metteva in risalto gli occhi, pieno di balze. Era la sua preferita.

Tutti questi pensieri sulla casa delle bambole, le fecero girare d'istinto la testa nel punto in cui la casa era collocata. Stava sorridendo, voleva giocarci, non vedeva l'ora.

Il suo sorriso però si spense, anche l'allegria che aveva negli occhi si spense. Nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la casa delle bambole non c'era niente. Il pavimento era vuoto. Nessuna traccia di Alexis, Amber o Adelaide.

Astrid si inginocchiò davanti a quel punto e pianse. Non pot a meno che pensare che forse il suo comportamento era un pochino infantile, dopotutto era solo una casa delle bambole, avrebbe potuto chiedere ai suoi genitori di compargliene un'altra, ma loro non lo avrebbero mai fatto, e anche se gliel'avessero comprata, non sarebbe stata la stessa cosa. Quella casa delle bambole era come se fosse la sua casa.

E mentre Astrid piangeva, Juditte la assorvava dalla porta socchiusa della camera, sorridendo.

La casa delle bamboleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora