Capitolo 1: due mesi dopo..

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Ero tornato di nuovo in quella scuola in cui avevo vissuto, forse, il periodo più bello e più intenso della mia vita. Erano passati due mesi dall'ultimo incontro che avevo avuto con gli altri finalisti al Punto Enel e quasi tre mesi dalla finale in cui arrivai quarto. Dopo che mi lasciai con Elodie – per la precisione, dopo che lei mi lasciò – decisi di perdere i contatti con tutti pensando solo a me stesso e alla mia musica; i miei genitori furono i primi a freddare i rapporti che avevano stretto con le famiglie di Gabriele ed Elodie. L'avevano fatto per il mio bene e per l'ennesima volta avevano dimostrato quanto erano in grado di rinunciare, e sacrificare, per me.


Mio padre, il mio manager, era nervoso e dopotutto capivo a cos'era dovuta la sua ansia.


Da due mesi a questa parte avevo avuto dei problemi, ero entrato in terapia a causa della depressione. La malattia – perché sì, la depressione è classificata come malattia, non è una tristezza momentanea – mi cambiò totalmente: ero tornato a chiudermi in me stesso, ancor più di prima, e secondo il mio psicologo la mia crisi depressiva si manifestava, il più delle volte, con degli atteggiamenti aggressivi causati da una rabbia repressa. Nonostante tutto mi classificò come individuo non pericoloso per la società – anche se il mio continuo sguardo nero faceva pensare il contrario, ma io ero così, tutto fumo e niente arrosto. A detta sua, ero pericoloso solo per me stesso.
Mio padre aveva deciso di intervenire dopo giorni di chiusura totale: quando stavo a casa passavo le giornate chiuso nella mia cameretta, rifiutavo di vedere i miei migliori amici, avevo persino smesso di scrivere chiedendo alla casa discografica degli inediti scritti da altri autori per il mio prossimo disco e usavo il telefono solo per questioni inerenti alla mia carriera – tra produttori e contatti con i fans tramite i social. Avevo iniziato anche a non mangiare, non per un mio dispetto ma, il mio stomaco sembrava rifiutasse il cibo e l'unica cosa che facevo era dormire. Dormivo per non pensare. Arrivavo persino a farmi quindici ore di sonno.
Nel vedere mia mamma perennemente preoccupata, mio padre decise di portarmi da un dottore - competente e professionale – che potesse aiutarmi senza sbandierare i miei problemi ai quattro venti, senza farmi diventare il pranzo preferito dei mass media.
Dopo una lunga chiacchierata era arrivato alla conclusione che io non sapevo gestire determinate situazioni e che quindi mi buttavo nello sconforto più totale cercando un riparo nel sonno, spegnere il cervello mi aiutava. Secondo lui, quando ero lucido, agivo con la parte irrazionale che c'era in me, non pensavo alle conseguenze delle mie azioni. Alla fine, mi congedò prescrivendomi un anti-depressivo e un proteggi-stomaco – per la gastrite dovuta al nervoso che mi portavo dietro, rischiavo un'ulcera – per poi farmi tornare a casa.
La situazione, però, non era cambiata più di tanto: io continuavo ad esiliarmi dal mondo - certo, stavo bene, ero migliorato, andavo alle tappe del mio instore e sorridevo a tutti, ma la mia rabbia repressa veniva sempre fuori ed avevo addirittura iniziato a fumare.


Ed ora mi trovavo in quella scuola dove ero cresciuto sotto tutti i punti di vista. Non la sentivo più mia però, il percorso che avevo fatto non aveva nulla a che vedere con ciò che ero adesso, il Lele che c'era qualche mese fa era diventato tutt'altra persona.
Mi accomodai di fianco a mio padre aspettando che arrivassero tutti: il primo ad entrare fu Sergio con il suo amico, che era diventato il suo manager. Salutai entrambi con una stretta di mano e una pacca sulla spalla.
Fu tutto molto freddo, non mi interessava regalar loro un sorriso, non mi interessava saltargli addosso.
La verità è che non mi interessava più di nulla, ciò che accadeva nel mondo o alle persone che avevo intorno mi era indifferente. L'unica cosa che volevo, in quel momento, era rintanarmi in una stanza da solo standomene in completa tranquillità.
Subito dopo arrivarono pure Gabriele ed Elodie, che salutai con un cenno della testa, seguiti da Emma – produttrice di Elodie – ed Elisa, che aveva preso Gabriele sotto la sua ala protettrice reclutandolo nel suo corpo di ballo durante i suoi concerti. Quest'ultima venne a salutarmi con un abbraccio e vedendo l'umore che, da un paio di mesi a questa parte, mi portavo dietro mi chiese: << Ma sei arrabbiato? >> e al mio posto rispose prontamente mio padre che usò la stessa scusa che propinava a tutti con in allegato un bel sorriso finto, di pura cortesia: << E' solo stanco, sai, viaggiare è bello ma lo mette K.O! >
Riusciva sempre a convincere tutti, trovava sempre il modo per farmi stare sereno con le persone che mi trovavo davanti, ma questa volta non so se ci sarebbe riuscito.


SARA'S CORNER: Ripeto. La storia è frutto della mia fantasia, Lele non soffre di nessuna malattia qui sopra citata. Per quanto riguarda la loro possibile rottura: non mi permetto di dare la colpa solo a lei o solo a lui, è un 50/50, entrambi sono responsabili di non essere stati capaci di reggere una relazione fuori dal programma. Amen. Ma con questa storia mi ispiro solo ai fatti realmente accaduti, tutto ciò che scrivo rimane di mia inventiva. Stamattina è arrivata l'ispirazione dal nulla e niente, ho iniziato a scrivere come una matta. Spero possa interessare, fatemi sapere che ne pensate, buona lettura!

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