Parte II

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Quando il mondo aveva già inventato quasi tutte le parole per descriversi e i savi a sud del Sud riuscivano a rappresentarne il significato o il suono attraverso l’uso di segni convenzionali, venne un uomo che osò comandare gli altri uomini. Tutti lo chiamavano il Tiranno, alcuni, il Signore straniero, qualcuno, ma soltanto fra i suoi fedelissimi, il Re. Egli non era vecchio e neppure giovane, ma nessuno si preoccupava di sapere il numero esatto dei suoi anni. Piuttosto, tutti pregavano affinché ne avesse vissuti già abbastanza perché venisse presto il suo tempo di morire. Nessuno, infatti, credeva ch’egli possedesse la virtù necessaria a comandare sulle nazioni che sottometteva, eppure egli era il capo indiscusso, la guida di un regno che si estendeva per molte miglia in tutte le direzioni.

Era venuto da una terra oltre il mare, di cui in tanti favoleggiavano l’esistenza, ma che in pochi avevano veduto, e a cui, ancora in meno erano disposti a credere. Chi, ostinatamente, non voleva ammettere la sua esistenza, nemmeno di fronte all’evidenza dei commerci che con essa avvenivano, grazie all’intraprendenza di coraggiosi mercanti viaggiatori, diceva che era soltanto un miraggio partorito dalla mente di marinai stanchi che, avendo perduto la rotta, volessero così mascherare la loro imperizia. Altri ancora, con più audace fantasia, ma uguale scetticismo, sostenevano che tale terra era stata veduta solo da pescatori sprovveduti, burlati dai demoni del mare, sempre pronti a denigrare i naviganti per loro diletto. Di contro, invece, chi quella terra l’aveva visitata, diceva che si trattava di un’isola gigantesca, dal profilo costiero che si perdeva a vista d’occhio all’orizzonte e che mai era riuscito a doppiarla per intero.

A sciogliere il nodo della disputa, anzi, a tagliarlo di netto, fu l’arrivo del Signore straniero, il quale, nell’imporre la sua dominazione, per magnificare la sua grandezza, aveva voluto subito chiarire che il suo regno si estendeva anche aldilà del mare, e che quella terra mitica non era un’isola, ma un continente, talmente grande che era bagnato addirittura da un altro mare, il quale lambiva anche le terre dei savi a sud del Sud.

Quella dei savi a sud del Sud era infatti un’altra storia ritenuta inventata, l’antico ricordo di un incontro passato. Una leggenda nella leggenda, come l’incantevole manto verde argentato di un antico Re senza nome, che avrebbe insegnato la civiltà alle genti e consacrato il futuro alla dea chiamata Luna, regina del cielo e custode del segreto per calcolare lo scorrere del tempo.

E di tempo ne era passato parecchio da quando era partito quel mitico Re, secoli e secoli prima, mentre appena tre o quattro lustri erano trascorsi da che il nuovo Re era sbarcato sulla costa, assoggettando poi tutta la regione.

Egli non era ritenuto un grande sovrano, un uomo di spirito, né di conoscenza. Tuttavia era estremamente coraggioso in battaglia e temuto come pochi. Si diceva che fosse alto come due uomini, che possedesse la vista acuta dell’aquila e lo sguardo tetro della morte. Si diceva che avesse la forza di un toro nelle braccia e la velocità di un cavallo nelle gambe. Si diceva che avesse artigli al posto delle unghie e che i suoi denti fossero taglienti come lame di coltelli. Qualcuno riteneva che egli fosse il figlio primogenito del dio della guerra, altri che la sua anima aggressiva fosse quella di un orso, reincarnatasi per errore, o per uno strano sortilegio del caso, nel corpo di un uomo.

D’aspetto appariva fiero, benché avesse un che di randagio e selvaggio, come di un bosco che si fosse pian piano impossessato di un giardino. Vestiva con braghe sgargianti oppure con tuniche esotiche, acquistate, o forse requisite, dai popoli a sud del Sud.

Del suo comportamento era famosa la volubilità, comune, a dire il vero, a tutta la sua gente, mentre, peculiare della sua persona, era l'ambizione smisurata, eguagliata solo dall'ingordigia tracotante che nutriva per il potere e la sua manifestazione pubblica. Il suo cuore, comunque, appariva semplice, tanto che se non fosse stato quello di un nemico, si sarebbe detto quasi puro, estraneo com'era all'avidità della ricchezza o del lusso materiale. Il Re-tiranno bramava soltanto l'affermazione per sé e per il suo popolo, così da onorare (o superare) la gloria conseguita dai suoi avi. E al culmine della gloria, era giunto ormai, pochi giorni prima che il suo cammino terreno si compisse.

In punta di freccia, la lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora