Capitolo I

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Le sue mani mi accarezzavano la braccia scoperte, dopo aver scostato la spallina del reggiseno iniziò a depositarmi una scia di baci che partivano dal collo fino alla spalla nuda. Rovesciai la testa all'indietro per espormi maggiormente e facilitargli il lavoro. Non volevo smettesse. Affondai le mani nei suoi capelli scuri, i nostri respiri affannosi erano la sola cosa udibile nella stanza, eravamo sincronizzati. Alzò la testa e nei suoi occhi gelidi mi persi, era fuoco e ghiaccio assieme. Dio solo sa quanto avrei voluto togliere quella maledetta maschera che copriva parte del viso. Mi baciò con impeto come se da ciò dipendesse la sua esistenza, la sua lingua iniziò a danzare assieme alla mia esplorando ogni angolo della bocca. Voleva di più, voleva prosciugarmi. Mi tolse il reggiseno senza smettere di baciarmi, sentii la sua mano stringere il seno e con il pollice giocare col mio capezzolo ormai turgido. La sua erezione, trattenuta nei pantaloni, premeva contro la mia coscia. Gemetti.
Mi prese le spalle e con forza iniziò a scuotermi.
«Alexis, santo cielo svegliati» aprii gli occhi sotto shock. Mi trovai davanti un viso lentigginoso, due occhi divertiti, nascosti da un improponibile paio di occhiali, osservarmi.
«Che diavolo vuoi Keith» questa volta la uccido.
«Stavi gemendo nel sonno, sembravi in preda ad un orgasmo.»
«E l'avrei anche raggiunto se tu non mi avessi svegliato sul più bello.» scostai le coperte in modo brusco e per poco Keith non cadde a terra. Beh sarebbe stata la giusta punizione per avermi svegliato da un sogno del genere. Era da così tanto tempo che non facevo sesso che sembrava impossibile perfino sognarlo.
«Scusa tanto se c'è di là mia madre, non volevo ti sentisse fare versi strani.»
«Tranquilla tesoro, sono stata giovane anche io, e il sesso mi è sempre piaciuto.»
Ci voltammo all'unisono in direzione della voce e vedemmo la madre di Keith appoggiata allo stipite della porta con una tazza fumante di caffè in mano. Avrei dato un rene pur di essere cosi affascinante a 55 anni. Capelli biondo cenere, lunghi e mossi fino a metà schiena, zigomi alti e labbra piene, occhi verdi profondi dal taglio asiatico. Per non parlare del fisico, ammetto di averci fatto un paio di pensierini, quel seno prosperoso e sodo me lo potevo sognare, avrei potuto avere una cosa simile andando dal chirurgo ma non avrebbe avuto lo stesso effetto. Era la perfezione. Ecco quello era il mio modello ideale di donna, quando andavamo a fare shopping tutte e tre assieme lei era sempre al centro dell'attenzione e non le dispiaceva affatto, adorava sentirsi guardata, forse per questo il marito aveva chiesto il divorzio.

«Mamma, ti prego. Non credo di voler sapere queste cose» la mia migliore amica, quasi sorella in realtà dato che da ormai 4 anni vivevo sotto il loro stesso tetto, era l'esatto opposto della madre. Aveva preso carattere e fisico dal ramo di suo padre. Non amava farsi notare troppo, tranne in discoteca, in quel caso era ingestibile, si faceva notare per quell'aria da scolaretta innocente, occhiali grandi che nascondevano due dolcissimi occhi marroni e lentiggini che la rendevano una bambina.
«Alexis, cosa stavi sognando di bello?» si avvicinò a me.
«Il ragazzo di due anni fa della festa di Halloween»la vidi sorridere prima di bere un goccio di caffè.
Ammetto che era una cosa ridicola sognare un ragazzo con cui avevo fatto sesso, del gran bel sesso, due anni fa ma non potevo farci nulla. Ero in carestia. Non facevo del buon sesso da quella volta e ancora adesso ricordavo le sensazioni provate, i suoi baci, il suo respiro ma più di ogni altra cosa ricordavo quegli occhi. Mai visto occhi cosi azzurri e cosi freddi. Al ricordo fui percorsa da un brivido, mi serviva assolutamente una tazza di caffè, una doccia e una sana scopata non necessariamente in quest'ordine.

Guardai l'orario sul dispaly del mio telefono e per la seconda volta non rischiai di strangolare Keith.
«Cara dolce Keith, quante volte ti ho detto di non svegliarmi prima delle 11 la domenica?» la guardai accigliata
.«Tante, mio dolce pasticcino, ma oggi è lunedì e tra meno di un'ora hai un colloquio di lavoro.» cazzo. Mi ero completamente dimenticata, ero così abituata a non trovare nulla e a sentirmi dire "mi spiace signorina ma al momento non assumiamo" in negozi o uffici in cui avevano affissi annunci di lavoro, che questo lo davo come l'ennesimo buco nell'acqua. Assistente personale di un avvocato, l'aveva trovato Sarah, la madre di Keith, veniva richiesto non più di 30 anni, nessun figlio a carico, possibili spostamenti e voglia di lavorare. Era senza dubbio adatto a me, non avevo figli e non ne volevo, avevo 25 anni dunque meno di 30, potevo muovermi tranquillamente inoltre adoravo viaggiare in aereo magari in prima classe sorseggiando champagne disquisendo di politica o di affari internazionali con un ricco imprenditore, sarebbe stato fantastico, l'unico problema era la voglia di lavorare. Poca decisamente poca e ancor meno era la voglia di alzarmi presto al mattino. Adoravo dormire, nel letto, sul divano, in auto o in metro la cosa importante era dormire. In una vita passata dovevo essere stata un koala, loro dormono 22 ore al giorno ed io non ero molto lontana da loro.
«Ok, allora direi che ho bisogno di una doccia perché puzzo di birra e fumo» erano rischi di lavorare due sere a settimana in una puzzolente birreria frequentata di animali travestiti da uomini.
«Tu lavati puzzola, io ti preparo qualcosa da indossare per il colloquio.»
«Fammi trovare qualcosa dei tuoi vestiti ed io ti ammazzo» aveva gusti esageratamente stravaganti Keith, non faceva altro che abbinare abiti dai tessuti e colori strani tra loro, certe volte sembrava uscita da una compagnia circense dove lei era il pagliaccio.

Quando uscii dalla doccia mi trovai diversi abbinamenti sul letto, senza dubbio era opera di Sarah, ebbero la meglio un paio di pantaloni neri eleganti e una blusa morbida di un bel azzurro accesso, il tutto accompagnato da un elegante blazer nero.
«Tieni le mie scarpe, i tuoi anfibi o i sandali con la zeppa non sono proprio indicati» mi diede le sue decollette nere con tacco 12, troppo fine per i miei gusti ma aveva ragione. Gli anfibi non sarebbero stati ben visti.
«Grazie per abiti e scarpe»
«Prego, rovinali, rompili o sporcali che ti distruggo» adoravo quella donna, minacciava col sorriso.
Ero pronta per trovare lavoro e l'avrei ottenuto, non perchè avessi voglia di lavorare che sia ben chiaro ma perchè il minimo che potevo fare per sdebitarmi con Sarah era andare via da quella casa. Adoravo entrambe ma era da troppo tempo che si prendevano cura di me, mi sentivo un peso certe volte e non volevo continuare a sentirmi cosi.

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