Capitolo III

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Arrivo a casa euforica e trovo Keith e Sarah sedute in cucina mentre sono intente a controllare la posta di stamattina. Mi basta osservare i loro visi per rendermi conto che non sono buone notizie, il padre di Keith è sparito quando lei era piccola e sua madre l'ha dovuta crescere da sola senza l'aiuto della famiglia anzi facendole pesare il fatto che avrebbe dovuto ascoltare sua madre quando le vietava di vedere quel tizio. Keith ogni tanto mi raccontava che quando era piccola sentiva sua madre litigare con sua nonna per via di suo padre, Sarah aveva seguito il cuore e non la ragione ed ora si trovava a corto di soldi, in particolare da quando hanno accolto anche me. Mi schiarisco la voce e loro si voltano sorridendomi.
«Ehi Alexis allora il colloquio?»
«Dire che è andato molto bene, inizio da domani ma non come assistente.» mi guardano curiose e inizio a spiegare ciò che era capitato in quell'ufficio. Ridono mentre gli racconto della scarpa che finisce in fronte a Ethan e curiose mi chiedono come sia il ragazzo.
«Onestamente mi ha fatto incazzare così tanto che non l'ho guardato bene, sembra aver fascino ma è troppo sicuro di se e questo mi irrita.» avevo deciso di fargli da baby sitter accettando il tutto a scatola chiusa abbagliata dai soldi che avrei guadagnato una volta terminati i due mesi.
«Alexis, perchè i miei vestiti sono cosi malridotti?» Sarah mi osserva accigliata. Infondo anche io al posto suo sarei arrabbiata ma non è colpa mia se aveva iniziato a piovere senza preavviso.
«Ehm, ho corso sotto la pioggia perché ero in ritardo per il colloquio e dunque si sono bagnati e un po' stropicciati. Ti ripagherò veramente stanne certa.» tra due mesi chiaramente, quando le 50 mila sterline saranno finalmente sul mio conto corrente.
«Va bhe, non importa. Questa è per te.» mi porge una busta bianca, la giro tra le mani e quando vedo il mittente sento lo stomaco contorcersi. Orphanage Asylum Cottingham. Avevo fatto di tutto pur di dimenticare il mio passato, dimenticare l'orfanotrofio, mia madre o lo spettro di essa, la signora Rose e tutti i bambini ma avere quella lettera tra le mani me li fa ricordare uno ad uno. Mi fa ricordare mia madre strafatta di eroina mentre mi affida alla direttrice dell'orfanotrofio, il peggiore in circolazione, mi fa ricordare gli altri bambini che non facevano altro che prendermi in giro e mettermi le mani addosso, mi fa ricordare la sola ed una amica che avevo all'interno che da un giorno all'altro è sparita e di cui non ho più avuto alcuna notizia. Vivere in quel posto per più di 9 anni mi ha inaridito il cuore, desideravo giorno e notte la morte e ne porto ancora i segni a distanza di anni. Le cicatrici non si cancellano ormai.
«Alexis, tutto bene?» ritorno al presente sentendo la voce di Keith.
«Ehm, si. Vado i camera sono un po' stanca.»
«Certo» mi sorride e io lo faccio di rimando per non farle preoccupare. Vorrei raccontare ogni cosa del mio passato, certe volte vorrei mi odiasse, vorrei provasse ribrezzo per me, ma ho paura di perderla per sempre. Lei è una sorella e senza lei e Sarah non saprei che fare. Senza loro sarei morta o forse sarei come mia madre. Depressa e perennemente strafatta di droga o come mio padre, che dai pochi sui racconti era un violento e per questo era scappata da lui. Per salvarci. Per salvarmi.

Il telefono squilla ma è un numero sconosciuto, in genere non rispondo ma in questo momento devo pensare ad altro.
«Signorina Cooper?»
«Si sono io, chi parla?»
«Sono il Signor Williams, ha un'ora di tempo per fare la valigia.»
«Per quale motivo?» mi voleva a casa con lui forse? Era affascinante ma poteva essere mio padre.
«Per due mesi vivrà assieme ad Ethan, ovviamente sarà tutto spesato. Porti a termine il suo lavoro e tra due mesi sarà ricca.» con quei soldi avrei ripagato Sarah, anche se in questi anni ciò che aveva fatto lei non poteva essere quantificato, ma i soldi avrebbero fatto comodo anche a loro.
«L'aspetto.» riaggancio e preparo la valigia con i miei pochi abiti.
Esattamente un'ora dopo salgo su una Mercedes nera mentre Sarah e Keith mi salutano dal marciapiede, potrei giurare di aver visto scendere una lacrima dagli occhi di Sarah. Fortunatamente Ethan abita solo ad un'ora di strada da loro e sarei riuscita ad andare a trovarle frequentemente.
Tanto per cambiare ha ricominciato a piovere e il picchiettio dell'acqua sul vetro mi rasserena facendomi quasi scordare la lettera arrivata dall'orfanotrofio, è in borsa e sembra pesare come un macigno. Non sono ancora riuscita ad aprirla, onestamente non ho idea di cosa aspettarmi, di certo non è né un invito a fargli visita in quanto me n'ero andata appena raggiunta la maggiore età facendogli l'augurio che morissero tutti in un incendio, e non può nemmeno una lettera di scuse. Infondo, secondo la direttrice, non era lei a sbagliare metodo con me ma ero io ad essere irrequieta e indisciplinata per questo motivo finivo costantemente in punizione, per questo motivo spesso volte saltavo il pranzo e la cena, per questo motivo mi lasciava nella botte in giardino quando combinavo qualcosa, sia che fosse estate o inverno, sia con il sole che con la pioggia, era solo per insegnarmi la disciplina. Ero io ad essere sbagliata non lei.
L'auto si ferma davanti ad un palazzo con cinque piani e questo mi da modo di pensare ad altro, anche se certamente quella lettera sarebbe stata nella mia testa per tanto tempo.
«Signorina, siamo arrivati.» l'autista si gira e mi sorride. È un tenero signore di sessanta o forse più anni, sorride sereno come se quel lavoro gli piacesse seriamente, è questo che voglio dalla vita: un lavoro che mi piaccia, voglio impegnarmi anche se sono tendenzialmente svogliata e vorrei avere tanti soldi senza fare nulla, vorrei ugualmente avere un lavoro che mi faccia stare bene e che mi porti avere il sorriso sulle labbra ogni giorno.
Lo ringrazio mentre scendo dall'auto. Ad attendermi trovo il portinaio dello stabile, camicia bianca e giacca rossa, elegante ed educate, ben lontano dal Signor Carter, il portinaio del nostro orfanotrofio ottuso scorbutico e sporco.
«Salve Signorina Cooper, per qualsiasi cosa non esiti a chiamarmi, ora l'accompagno all'appartamento del Signor Ethan.»
«La ringrazio.» prende la mia valigia mentre io tengo la mia borsa, si è offerto di portare pure quello ma è leggera e non ne ho bisogno, lo seguo per le scale e con un codice apre il portone principale-
«Una volta a casa le darò i codici per aprire.»
«Ok, grazie mille.»
La costruzione deve essere molto recente, al suo interno si respira la stessa aria di sfarzo e lusso che ho sentito negli uffici del Signor Willson, potrei giurare essere opera sua. Pavimento in marmo di Carrara, vetrate che seguono la struttura, colonne di granito e un ampia scalinata che conduce ai piani superiori, è davvero uno spettacolo e non posso fare a meno di osservare il tutto con aria estasiata. Prendiamo l'ascensore diretti all'ultimo piano.
«Entri pure, la casa è aperta. Il Signore l'attende.» mi saluta inchinando leggermente il capo e mi lascia davanti ad una porta blindata con ai piedi la mia valigia.

Apro senza bussare ed entrando sento uno strano profumo, potrei giurare essere lo stesso che usa Sarah. Light Blue. Mi guardo attorno e mi rendo conto che la casa è fredda e vuota, l'arredamento moderno quasi completamente nero la rende triste, pochi mobili e tutto perfettamente in ordine, questo tizio o è un maniaco dell'ordine oppure non è mai a casa. Mi affaccio alla finestra e ammiro la vista di Hyde Park dall'alto, vedo gente correre nonostante stia piovendo, gente portare a spasso il cane e la strade brulicanti di auto, taxi e autobus, laggiù è tutto frenetico, gente che esce dal lavoro, gente che magari ancora lo cerca. Certre volte tutta questa frenesia mi fa mancare l'aria.
Mi allontano e mentre mi guardo attorno sento dei rumori provenire da un'altra stanza, tendo l'orecchio e quando mi rendo conto che sono i gemiti di piacere di una donna sbuffo spazientita, se spera di imbarazzarmi si sbaglia di grosso.
Seguo il rumore fino a trovarmi davanti ad un porta semi aperta, potrei giurare che l'ha fatto di proposito per mettermi in difficoltà, apro a lentamente e noto ben due paia di scarpe da donne, qui le cose sono due o la donna in questione ha quattro gambe oppure sta scopando allegramente con due donne e sono più propensa per la seconda ipotesi.
Apro completamente la porta e resto ad osservare la scena davanti che mi si presenta davanti.

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