Capitolo 3.

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Durante il viaggio mi sentii per la prima volta spaventato sul serio. Pensavo alla zia e a come avrei potuto vivere senza di lei. Mi sentivo diverso e in un certo senso fragile anche se da quel momento sarei dovuto essere forte. Tutto quello a cui ero sempre stato abituato si stava sgretolando e non avevo certezze riguardo a nulla. Pensavo al treno che macinava i chilometri e a quanto mi stessi allontanando dai miei ricordi.

In stazione avrei trovato Mr. Barker ad aspettarmi, così mi aveva detto la mamma. Sceso dal treno lo vidi subito, c'era solo lui nella stazione di quel piccolo paesino lontano da tutto. Era un tipo buffo. Sembrava appena uscito da un film degli anni '30. Aveva dei baffetti sottili e minuziosamente ritoccati, la riga di lato e i capelli laccati ma era vestito sciattamente: indossava i pantaloni di una tuta e una felpa con su scritto Punk Never Dies con qualche buco sulle maniche. Era un look piuttosto ambiguo per un uomo adulto ma aveva un'espressione amichevole. Venne verso di me e stringendomi la mano, si presentò. Io feci lo stesso e timidamente lo seguii in silenzio.

Il tratto di strada fra la stazione e la mia nuova casa fu breve. Seguii in silenzio i passi di Mr. Barker che camminando lasciava dietro di sé una scia di profumo da uomo. Le strade di quel paesino erano strette e lunghe, tanto da dover camminare uno dietro l'altro; non passava quasi nessuno, tranne qualche anziano dall'espressione stanca e le uniche cose che offriva il paesaggio erano delle piccole villette e il mare.

Quando arrivammo Mr. Barker si fermò e si rivolse verso di me, invitandomi ad entrare. L'edificio era insolito e in contrasto con le altre tristi villette lì vicino. Aveva l'aspetto di una casa normale ma molto più grande e la cosa che mi colpì subito furono le scritte e i disegni che ricoprivano l'intera struttura. Attraversammo il giardino che circondava la casa e a piccoli passi raggiungemmo il portone principale che, dopo aver bussato, si spalancò. Mi trovai di fronte un lungo corridoio e tanti giovani sguardi indifferenti al mio arrivo. Mr. Barker mi mostrò la cucina, la sala comune con un piccolo televisore al centro e infine mi diede la chiave della mia stanza, in fondo al corridoio, sulla destra. Era piccola la mia camera ma per me più che sufficiente; le pareti bianche e spoglie facevano risaltare la finestra da cui si intravedeva il mare. Quando Mr. Barker richiuse la porta, lasciandomi solo, sentii di nuovo la paura fresca e graffiante sulla mia pelle. In quel posto non mi sentivo al sicuro e non lo sarei mai stato. Il dolore di essere così solo mi provocò la prima lacrima, subito seguita da una seconda e un'altra ancora. Pochi giorni dopo avrei cominciato la scuola e quel senso di inadeguatezza non poteva che peggiorare. Quello fu il momento più buio della mia vita.

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