L'orologio

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Quando mio padre decise di acquistare quel vecchio pendolo, mi lasciò completamente di stucco. Fino a quel momento avevo pensato che mai quell'inquietante oggetto avrebbe messo piede dentro casa mia, ma a quanto pare ebbi una nuova dimostrazione di quanto le mie preghiere potessero essere utili.
Decise di metterlo lì, in salotto, a svettare su tutto e tutti mentre quell'assordante rumore di lancette non faceva altro che aumentarmi il mal di testa.
Ovviamente la prima a rassicurare mio padre della grandiosa idea che aveva appena avuto fu mia sorella, probabilmente all'unico scopo di contraddirmi, in modo che mio padre potesse ancora di più adorare l'orologio.

La notte seguente non potei più resistere: quel ticchettio assordante era insopportabile e penetrava le sottili pareti della mia stanza come fosse un trapano. Ancora non riesco a spiegarmi come potesse darmi così tanto fastidio un suono così tanto semplice. Ebbi l'istinto di uscire dalla mia stanza, probabilmente non ci pensai su troppo tempo e mi recai in salotto che, alla luce del buio, aveva quella strana aura di mistero che rende la notte ancora più fredda e scura, facendo apparire alla coda dell'occhio creature frutto della tua immaginazione.

Fissai a lungo l'orologio: era davvero difficile non notare le piccole crepe che si estendevano per i suoi lati, come a formare disegni che mio padre con tutta probabilità vide all'acquisto, ma ai quali non prestò particolare attenzione.
Di punto in bianco vidi qualcosa, un dettaglio che al negozio d'antiquariato sicuramente doveva essermi sfuggito: era una piccola e insignificante rotella con, in caratteri minuscoli, tutti gli anni dal 1836 ad ora. Era davvero bizzarra e provocava in me una singolare sensazione, molto simile a quella provocata dalle figure nel buio di poco prima. Realizzai solo più tardi della straordinaria vecchiaia di quella pendola che, grazie ai suoi eleganti dettagli, mi trasportava dentro alla trama di un vecchio libro di cui ancora oggi non ricordo il nome. Ora quell'orologio stranamente non mi suscitava più timore, bensì curiosità, elemento contraddistinto della razza umana e madre di tutte le più grandi scoperte. Le mie riflessioni vennero interrotte bruscamente da un tipico rumore d'assestamento del legno, ormai completamente crepato ma saldo come centocinquant'anni prima.  Quell'insignificante suono mi riattivò l'udito, che da qualche momento aveva dimenticato il freddo ticchettio delle lancette in abete e mi fece di colpo ritornare alla realtà. Catturò maggiormente la mia attenzione un particolare di dimensioni ancora minori: un piccolo pulsante a sinistra della rotellina brillava, ma non di luce propria, ma come se tutto ad un tratto avesse cominciato a riflettere una fonte di luce molto intensa e potente, assente nel buio salotto della casa. Il pulsante era un faro nel vasto oceano di oscurità che era la stanza, e come un marinaio sperduto mi misi a fissarlo come fosse la mia unica via di salvezza. L'istinto fu irrefrenabile: non potei fare altro che premere energicamente il pulsante carico di emozione e con, negli occhi, la speranza di iniziare in quel modo un'avventura degna dei libri di Verne. Come se ad un tratto la magia potesse passare dall'oggetto fino a me.

Click.

Un suono secco e conciso. Niente di fatto, ovviamente. Il pulsante non funzionava, o meglio, serviva solo a trasportare l'immaginazione in luoghi fisicamente non più lontani dal tappeto sui cui ero accovacciato; ma psicologicamente lontani dalla concezione naturale di spazio e tempo. Come un mondo parallelo fatto di caramelle. Riguardai il pezzo di legno con aria di sfida, pretendendo un finale diverso da quello già scritto. Volevo qualcosa, volevo la possibilità di poter cambiare la mia vita solamente premendo un pulsante su un orologio dell'altro millennio. Ma più probabilmente volevo solo un segreto da custodire gelosamente nei meandri più oscuri della mia mente da bambino che voleva al contempo diventare un uomo emancipato e avere le carte dei Pokémon più forti. Non pretendevo un miracolo da quel pendolo, ma il non avermelo dato fece scorrere in me tale delusione da incolparlo del fatto di non aver mai avuto un oggetto che mi portasse così vicino alla speranza. Lo incolpai di non avermi mai fatto sognare un mondo di caramelle. Guardandolo riuscivo comunque a sperare innocentemente che appena mi fossi girato si sarebbe mosso, o illuminato, o qualsiasi cosa tranne muovere le lancette.

Ritornai a dormire ricordandomi di quanto fosse brutto quell'oggetto, come se, all'improvviso me ne fosse importato qualcosa.



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