2.

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Ero in ritardo.
Per fortuna solo di pochi minuti, così da riuscire comunque a sedermi in fondo all'aula senza che la maggior parte della classe se ne accorgesse.
Una discussione sulla letteratura e un po' di domande sul saggio da portare per la settimana successiva riempivano il tempo a disposizione per la lezione.
Per gli ultimi quindici minuti guardai in continuazione l'orologio, desideroso di fuggire da quella stanza e dalle troppe domande. Non avevo ancora iniziato il mio progetto, e il fatto che molte persone fossero già al secondo mi dava il voltastomaco.

Uscii dalla classe ed inciampai sulle gambe distese a terra di qualcuno che aveva deciso che il pavimento era un posto meraviglioso per aspettare la prossima lezione. In realtà non dovrei proprio lamentarmi visto che sono il primo ad approfittare di ogni minima pausa, prima di ogni lezione, per appoggiarmi ad un muro e leggere.

Stavo per iniziare le scale verso il piano terra, quando sentii risuonare, nel corridoio affollato dei distributori automatici, una risata familiare. Indossava lo stesso cappello blu col pompon di una settimana fa.

"Mark."

Il rossore sulle sue guance mi fece ridere, perché significava che si era alzato in ritardo e che la barretta di cioccolato che stava mangiando, scartata solo per metà, fosse la sua colazione.

"Ti è piaciuta la corsa stamattina?" Chiesi avvicinandomi. Il mio tono era scherzoso.

"E' stato più uno scatto." Sorrise sfacciatamente.

"Devi andare a lezione?" Chiesi.

"In realtà è già iniziata da qualche minuto e stavo appunto correndo per evitare di prendere di nuovo la prima fila. Non voglio sedermi ancora davanti al professore."

Mi schiacciò in un abbraccio. Indipendentemente da ciò che mi aveva detto Joel, ero felice di vederlo. Davvero felice.
Mark è una specie di sfigato, un "non mi importa se non è più Natale, io voglio comunque indossare il mio maglione natalizio nonostante tutte le occhiatacce".
Ha una piccola cicatrice sul sopracciglio destro; un ricordo della caduta dall'albero quando aveva 7 anni. Avevo ricevuto questa informazione quando lo aiutai a rialzarsi in biblioteca, la prima volta che lo vidi. Le parole di Mark avevano riempito ogni tipo di imbarazzante silenzio tra noi, prima di essere zittito dagli altri presenti che leggevano.

"Vuoi uscire con me sabato?" Continuò Mark, ancora abbracciato a me.

Rise del mio modo di contorcermi per allontanarmi, usando i suoi fianchi come leva.

"Mi dispiace, ma non posso. Vado a casa per il fine settimana. Il mio ex datore di lavoro mi ha chiamato l'altro giorno ed a quanto pare hanno un disperato bisogno di qualcuno che gli dia una mano e non potevo rifiutare."

"Questo non è un tuo problema, però. Ormai non lavori più lì." Si lamentò, tirando giù di poco il suo cappello.

"No, ma è comunque un amico e voglio aiutarlo."

Uno dei compagni di Mark gli fece cenno dalla porta aperta della classe. L'insegnante ancora non c'era, ma sarebbe arrivato in pochi minuti.

"Quando tornerai?"

La barretta di cioccolato era finita, e lo sentii infilare furbescamente la carta vuota nella mia tasca posteriore.

"O domenica notte, o lunedì mattina."

Sospirò pesantemente, appoggiandosi al muro ed arricciando le labbra.

"Cosa c'è che non va?" Chiesi preoccupato.

"I miei coinquilini sono fuori, pensavo di passare una serata tutta nostra."

La sua espressione triste e sincera mi fece capire che era deluso.
Gli baciai la guancia.

Knockout » ZiamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora