Alvise

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Girai le chiavi di casa nella serratura ed entrai. <<Mamma! Sono a casa!>> esclamai, prima di buttare la mia tracolla a terra. Presi in mano la chitarra e la rimisi a al suo posto, nella mia stanza. Quel giorno noi del gruppo avremmo avuto le prove da Derek, anche se io ero distrutto perché la notte prima non avevo dormito nulla, del resto, come tutti gli altri.
Mia mamma entrò in stanza e mi diede un bacio sulla guancia. <<Ti sei divertito?>> mi chiese sorridendomi. Annuii e le stampati anche io un bacio. <<Stasera ho le prove da Derek: non so per che ora tornerò. Non aspettarmi sveglia, comunque.>> annuì, mentre tornava nella sua camera. Ma poi sbucò di nuovo dalla porta e mi puntò un dito contro. <<Prima...>> sorrise <<prepari gli scatoloni.>> e stavolta indicò quelli, per poi tornare a minacciarmi con il suo indice. Risi fragorosamente. <<Va bene mamma, va bene.>>
Io e mia madre avevamo un rapporto stupendo, ed ero molto fiero di questo. Io la consideravo come mia migliore amica: avevo una spalla su cui piangere ma anche una roccia per tenermi in piedi. Lei era tutto.
Ormai il mio scaffale con i CD era quasi vuoto. La cosa mi rattristò parecchio perché per una settimana mi sarei dovuto accontentare della bassa qualità del mio cellulare. Chiusi il terzo scatolone e sigillai la fessura rimasta con lo scotch. Sbuffai e presi ad impacchettare i libri. <<Cazzo ci impiegherò una vita e settanta scatoloni per tutte queste cianfrusaglie!>> urlai, scocciato guardando i libri inutili che avevo comprato, i peluches che mi avevano regalato quand'ero piccolo, i poster, le foto, le dediche, i disegni di Cristina, i miei. Partii a pensare incazzato, ma in due secondi mi rattristai. Avrei dovuto lasciare tutto questo. Tutte queste persone che mia amavano, e che io amavo alla follia. Sarei tornato un giorno, e Milano non era poi così distante da qui... Ma io avrei voluto non partire. Avrei voluto stare in una stanza con tutti i miei amici e ridere, e che il tempo si fermasse; così, con ancora l'eco delle risate, con gli occhi chiusi e i denti scoperti, con Cristina sdraiata e la sua testa sul mio petto e le battute squallide di Giacomo che facevano ridere solo perché erano dannatamente stupide. <<Lascia qui quello che vuoi, tanto é sempre casa tua e puoi tornare a riprenderlo.>> mi disse mamma, dall'altra stanza probabilmente con una sigaretta in bocca, intenta a scrivere al computer un'altro capitolo del suo terzo libro.
Mia madre era una donna affascinante, conosceva ogni cosa e qualunque domanda le facessi lei raccontava una sua esperienza in qualche paese che aveva visitato, senza mai annoiarti. Aveva viaggiato per tutto il mondo con il saccoapelo in spalla insieme alla sua migliore amica, appena finito il liceo classico. Io non l'avevo mai vista come tipa da liceo classico, più da artistico, vista la sua eccentricità senza paragoni, almeno fino a quando non aveva iniziato a scrivere il suo primo libro. Parlava di un uomo quarantacinquenne con una vita noiosa, una moglie noiosa ed una figlia fuori dagli schemi, ed un'amante. Chissà, magari parlava di suo padre. Io non lo conobbi mai perché morì in un incidente stradale con suo fratello, il mio prozio. Mia madre non ne parlava mai, diceva solo che era un normale impiegato in una vita normale, e che la amava tanto. Si vedeva che per lei era un tasto dolente della sua vita, quindi non cercai di scavare molto: non mi piaceva vederla giù.
Presi un borsone e vi misi dentro delle foto e dei poster, la maglia che avevo preso al concerto degli Arctic Monkeys, la mia scatola delle canzoni e il mio album da disegno. Sembrava così vuota la mia stanza ora: non c'erano più i poster sul muro accanto al letto, niente disegni davanti alla scrivania, niente foto sul settimanale. E, soprattutto, niente CD nella libreria. Era anonima. Mi passai una mano tra i capelli sospirando: mi sarebbe mancato tutto questo... Lei, Cristina. Ma quello era il mio sogno, che altro avrei potuto fare? Lei lo capiva questo. Almeno era quello che mi diceva.

Con la forchetta spostavo distrattamente la pasta nel piatto con il mento appoggiato alla mano sinistra. <<È buona sai la pasta. È al ragù, e stavolta mi è venuto meglio del solito.>> disse mia madre con la bocca piena. <<Mh?>> chiesi io, alzando lo sguardo. Scosse la testa con un sorriso affettuoso sul viso. <<Sei pronto, vero?>>. Mi passai la mano tra i nodi dei miei capelli <<Bah... Non lo so. Non so cosa fare con Cristina...>> lei prese un'altra forchettata, sempre guardandomi, invitandoli a parlare ancora annuendo. <<Insomma lei mi ha detto che capisce questa mia scelta perché sa che è la mia passione. Ma non mi convince... Cioè, se lei volesse venire con me? Convivere? Si parla di convivenza! Se io non fossi pronto? Abbiamo solo diciotto anni... Certo stiamo insieme da tanto... Ma>>
<<Dovresti parlargliene. Dirle che la ami e che se lei è pronta potete provarci, tanto vi lascereste comunque: sia se andasse male la convivenza sia se lei restasse qui. Tentar non nuoce in questo caso.>> sospirai: forse aveva ragione. <<Tu la ami vero?>> cazzo se l'amavo. <<Da impazzire.>> sorrise <<E allora vai!>> sorrisi anch'io abbassando lo sguardo. Appoggiai le mani sulle gambe e mi spinsi per alzarmi. <<Okay. Io vado quindi...>>

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