2. Ne possiamo parlare

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17 marzo 2014, 08:00 AM

Vengo svegliata improvvisamente dal suono della sveglia, mi butto praticamente giù dal letto, non lascio nemmeno il tempo al mio cervello di svegliarsi completamente. Oggi ho un sacco di cose da fare e non posso perdere tempo a poltrire nel letto come faccio di solito quando non lavoro. È lunedì, il che vuol dire che c'è da fare le valigie e lasciare l'Australia alla volta della Malaysia. Il volo è domani alle cinque del pomeriggio, oggi dobbiamo sgomberare il campo, il prossimo GP è tra una settimana. Entro in bagno, faccio tutte le mie cose e poi recupero tutta la roba che ho lasciato in giro. Dalla valigia prendo un paio di jeans e una maglia blu, li indosso insieme a delle All Star blu come la maglia e il mio pass per il paddock. Mi guardo intorno: ora la stanza è più ordinata e non farò corse dell'ultimo minuto per andare in aereoporto. Prendo cellulare e chiave della camera e scendo a fare colazione. Chiedo un cappuccino e dei pancakes, e proprio mentre sto finendo di bere, ecco che Fernando Alonso fa il suo ingresso in sala. Non appena mi accorgo che mi ha vista mi alzo e faccio per uscire, ma vengo fermata da una presa ferrea al braccio un attimo dopo essergli passata accanto. Mi inchioda lì, a metà passo, mi costringo a guardarlo negli occhi, i suoi bellissimi occhi nocciola.

"Oggi ti posso parlare?" Chiede.

"Ho da fare, non posso." Rispondo, fredda.

"Riesci a trovare cinque minuti?" Per spiegare tutta la faccenda ci vorrebbe almeno un'ora, non cinque minuti.

"Io al contrario di te ho da lavorare, il mio lavoro non finisce quando termina una gara per poi ricominciare il weekend successivo e avanti così. Non ho di certo tempo per starmene a casa a Dubai -prendo una città a caso, non perché ci abiti tu- come fa qualcuno e starmene a far nulla tutto il giorno." Gli rispondo, in spagnolo. Rimane a bocca aperta, la sua espressione è un misto di stupore e rabbia, ma più di stupore.

"Era da tanto che non sentivo qualcuno di straniero parlare in spagnolo." Risponde, più calmo. "E comunque io non me ne sto a Dubai a fare niente tutto il giorno, ho anche il mio bel da fare." E di nuovo con tono arrogante.

"Ho studiato cinque anni in Spagna, per questo lo so così bene." Rispondo, "e comunque gli allenamenti non fanno parte del lavoro." Concludo, incrociando le braccia.

"E invece si, sono una parte fondamentale." Incrocia a sua volta le braccia. So bene che gli allenamenti sono importanti. Io però non posso saltare il lavoro per chiacchierare con lui di una cosa che non gli riguarda.

"Quando avrò tempo te lo dirò." Dico. Non avevamo mai discusso prima d'ora.

"D'accordo."

"Scusa."

"Cosa?"

"Scusa." Ripeto, con lo sguardo basso. "Perché ti ho aggredito in questo modo. Non so che diavolo mi sia preso in questi due giorni."

"Io lo so. È perché ti ho sentita cantare, tutto qui. È una cosa che non sopporti, vero? Non vuoi che si sappia in giro e se qualcuno lo sa deve per forza essere qualcuno di cui ti fidi. Sbaglio?" Una deduzione eccellente.

"No. Odio quando qualcuno lo viene a sapere, perché poi comincia a chiedermi di cantargli qualcosa e mi trovo costretta ad accontentarlo. Non sopporto che si sappia."

"Okay, ehm... hai una penna?" Chiede, sfiorandosi la nuca con la mano.
Perché mai vuole una penna?

"Ehm, no." Rispondo. Esce dal ristorante e va nella hall, lo seguo. Si fa dare una penna dalla receptionist e si avvicina a me.

"Ecco, questo è il mio numero, quando avrai cinque minuti per parlarne, chiamami." Dice, scrivendomi il suo numero di telefono sul dorso della mano. "Ora vado a fare colazione. A presto." Sorride.

Singing for the paddock {Fernando Alonso}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora