Parte 3

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Frequentare Antonio Russo richiedeva grande pazienza e spirito di adattamento.

Quando mi baciava, tutto l'universo si accordava su un'unica, magnifica sinfonia. Ma non potevamo sempre baciarci, e parlare rappresentava ancora un problema.

Erano passati solo quattro giorni da quando avevamo definito la nostra relazione. Sempre che toglierci le mani di dosso appena in tempo per non farci scoprire da Gabriele potesse indicare un impegno stabile.

Da allora non avevamo avuto un momento per stare insieme. Ogni pomeriggio veniva a prendere me e Gabriele a scuola, riportava il bambino a casa e poi mi accompagnava alla stazione della metropolitana.

Se provavo a chiedergli della sua giornata, mi zittiva con un bacio mozzafiato e mi lasciava andare, arruffata e stravolta, a prendere il treno.

Non avevo avuto molte relazioni, ma ero abbastanza onesta da sapere che in quel modo non sarebbe durata a lungo.

Lo conoscevo poco, quanto bastava per farmi battere il cuore quando lo guardavo.

Volevo sapere di più.

Volevo sapere tutto.

Mi ero trattenuta dall'affrontarlo solo perché sabato era vicino e Antonio mi aveva proposto di fare una passeggiata.

Ora camminavamo mano nella mano su via Caracciolo e il lungomare non mi era mai parso così bello.

Gli ultimi raggi di sole donavano al cielo una calda tonalità rosata, il Castel dell'Ovo proiettava la sua ombra sul mare cupo e immobile.

Si sentiva nell'aria un odore salmastro, unito a una traccia di frittura di pesce e al profumo più intenso della legna che ardeva nei forni delle pizzerie.

Era ormai un anno che il comune aveva liberato il lungomare dal traffico rendendolo una zona pedonale, e io e Antonio passeggiavamo al centro della strada, sullo sfondo il profilo del Vesuvio, bellissimo e minaccioso, intorno a noi altre coppie e qualche artista che già si stava posizionando per suonare qualche ballata al violino.

Per una volta il silenzio non mi dispiaceva, perché mi parlava, mi sussurrava la bellezza della mia città, la pace... l'amore.

Lo condividevo con Antonio.

«Gabriele poteva venire con noi. Non mi sarebbe dispiaciuto» gli dissi, pensando che si sarebbe divertito un mondo su un risciò.

La mano di Antonio si chiuse intorno alla mia con più forza, solo per un attimo, poi si rilassò.

«La signora Rosaria l'ha invitato a dormire da lei. Non l'avrei lasciato a casa sua se non mi fidassi.»

Respirai lentamente e mi presi il tempo per riflettere bene su come rispondergli. Non era stata mia intenzione mettere in dubbio la sua decisione, ma i meccanismi di difesa erano così radicati in lui che ogni conversazione poteva trasformarsi in un campo minato.

«So che ti fidi di lei» ripetei, per fargli capire che non lo giudicavo. Non avevano una famiglia a cui appoggiarsi, non era strano che il nucleo relazionale si estendesse ai vicini di casa.

«È una brava persona.»

Lo so!

«Suo figlio ha la stessa età di Gabriele, vero?» cercai di cambiare argomento. Sapevo di sbagliare, dovevo affrontarlo, non assecondare la sua diffidenza. Ma una parte di me, quella più egoista, voleva godersi quella serata, quello scampolo di normalità.

«Sì.»

Un monosillabo, tutto ciò che riusciva a offrirmi quando non inventavo un modo per estorcergli qualche parola in più.

SANGUE AMARO di Angela D'AngeloWhere stories live. Discover now