Parte 5

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«Mettete giù i palloncini!» gridai, anche se sapevo che nulla avrebbe potuto fermare i quindici teppisti di cui mi occupavo da una settimana.

Tutti armati fino ai denti di gavettoni.

A chi era venuta in mente quell'idea?

Le mie labbra si piegarono in una smorfia. La prossima volta li avrei fatti giocare a mosca cieca.

«Prendetela!» ordinò Maria, una bambina del campo Rom di via Cupa Perillo.

Provai a indirizzarle uno sguardo di rimprovero, ma non ne fui capace.

Mi scappava da ridere, ma la cosa più importante era che loro si divertivano.

«Smettetela!» ritentai, ma non mi aspettavo di muoverli a compassione.

Ero finita.

Mi coprii il viso con un braccio e mi ripiegai in una posa difensiva.

Il primo palloncino si ruppe ai miei piedi, sporcandomi le caviglie di acqua e terriccio.

Nonostante la volontà di stare ferma, non riuscii a evitare di saltellare producendomi in un urletto stridulo.

«Ora bas...» La seconda bomba d'acqua raggiunse il mio sedere.

Spalancai gli occhi, oltraggiata, e mi raddrizzai. «Questa me la pagate!» promisi e iniziai a rompere le fila di quei baby criminali, inseguendoli.

I bambini proruppero in una risata gioiosa, ricordandomi un coro di campanelle. Sporchi e sudati nei loro pantaloncini neri e nelle T-shirt arancioni dell'associazione Celus, incarnavano tutto ciò per cui io e gli altri volontari lottavamo. La loro felicità era il premio per le lunghe e calde giornate di giugno trascorse sui campi sportivi dell'associazione.

Mentre i ragazzini si disperdevano, rimbalzando a destra e a sinistra del campo come schegge impazzite, vidi Gabriele muoversi lentamente alla periferia del mio campo visivo.

Feci finta di non notarlo, ma dentro di me avvertii un moto d'orgoglio.

C'erano molti motivi per adorarlo, e nessuno riguardava Antonio.

Gabriele era intelligente, riflessivo, e davvero molto furbo.

Mi dedicai ai suoi compagni, che iniziarono a lanciare i palloncini nel tentativo di rallentarmi.

Era guerra aperta.

«Domani non ci sarà nessun torneo di pallavolo per voi» minacciai, ma fui ignorata, addirittura derisa.

Avevo perso autorevolezza. Mi avevano in pugno, e andava bene così.

Il volontariato per i campi estivi organizzati a Scampia non era un lavoro.

Il compenso monetario era simbolico, ma il valore personale? La sera rientravo a casa distrutta e soddisfatta come mai mi era capitato.

«Maria, attenta!» urlai temendo che, nella foga di sfuggirmi, la bambina potesse cadere.

Fu allora che l'ultimo palloncino calò su di me.

Mi prese alla sprovvista, al punto che mi immobilizzai, i sensi pronti a captare il pericolo.

Mentre l'acqua scendeva in rivoli dai miei capelli, scivolando sulle spalle e incollandomi la maglietta al torso, mi guardai intorno finché non trovai il colpevole.

Gabriele, incurante del divertimento dei compagni, era scappato sui gradoni e aveva atteso che io passassi di lì per sorprendermi dall'alto.

Anche se avevo previsto una rappresaglia, non credevo fosse così ben congegnata.

SANGUE AMARO di Angela D'AngeloWhere stories live. Discover now