Voci nell'oscurità

239 13 7
                                    

E ora eccomi qua, in questo posto che chiamano "ospedale". Ma non è un ospedale, è qualcosa di ben diverso. Mi sento come una prigioniera, e non capisco perché mi abbiano portata qui. Hanno detto che hanno ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto, con scritto di dover andare al mio indirizzo: casa mia. Il messaggio diceva che dovevano portarmi in questo posto perché ero una persona che non doveva essere lasciata sola, che c'era qualcosa di pericoloso in me, qualcosa che non dovevo affrontare da sola. La stessa cosa che mi avevano sempre detto, ma in un contesto che ora mi sembrava assurdo.

Mi dissero che mi trovarono svenuta a casa e che, dopo avermi trovata, decisero di portarmi qui. Mi svegliai dopo tre giorni e la mia mente era confusa. Dove ero? Perché ero qui? Non capivo nulla. Una parte di me sentiva che questo posto non era dove dovevo essere. Non sono pazza! Non posso esserlo! Non mi sentivo come le altre persone qui, anche se il loro sguardo su di me sembrava dirlo. Mi sentivo sola, confusa e persa, ma soprattutto... tradita.

Ogni giorno, dentro queste mura, le domande si moltiplicano. Chi mi ha mandato qui? Chi gli ha dato il mio indirizzo? E perché mi trattano come se fossi pazza? Nella mia mente, ero certa di non esserlo. Non ho mai fatto del male a nessuno. Perché mi hanno messa in questo posto, come un animale da laboratorio? Chi è la persona che ha deciso tutto questo, e perché?

Ho provato a scappare, ma c'è sempre qualcuno che mi osserva, guardie che si muovono tra i corridoi come ombre. Le porte sono tutte chiuse a chiave, serrate in modo che nemmeno un soffio di vento possa scappare. Ogni volta che cerco di sfuggire, mi sento intrappolata in un incubo senza fine. Cosa mi sta succedendo? Non riesco a darmi una risposta. E mentre il tempo passa, il mio cuore si riempie sempre di più di paura.

La notte è sempre il momento peggiore. Tutti dormono, ma io non riesco a chiudere gli occhi. La mia mente è troppo in disordine, troppo agitata. Decido di sdraiarmi e cercare di dormire, ma non ci riesco. Poi, improvvisamente, sento dei passi. Non sono i soliti passi delle guardie, no. Questi sono più lenti, misurati. Come se qualcuno stesse cercando di non farsi notare, ma allo stesso tempo non potesse evitare di camminare.

Poi lo vedo. Lo vedo chiaramente, anche se la luce è fioca. Una figura in piedi davanti alla porta della mia "cella", che mi fissa. Non mi muovo, paralizzata dalla paura. Lui rimane lì per un minuto, forse due, fissandomi. Quel volto... quel ghigno. L'ho già visto prima, o meglio, sentito. Era lui. Quello del telefono.

Il cuore mi batte forte nel petto. È come se il mio corpo avesse smesso di reagire, come se fossi diventata una statua, un blocco di ghiaccio. Non riesco a muovermi, non riesco a parlare. Lo guardo e, con un sorriso inquietante, mi dice, «Ti ho trovata.»

Le parole non escono dalla mia bocca. Cerco di urlare, ma la mia voce non esce. Non c'è suono. La mia bocca è come sigillata, un silenzio totale. Il mio corpo è come in preda a una paura così intensa da paralizzarmi. Il suo ghigno si allarga. Non riesco a fare altro che osservare mentre avanza verso la porta.

A un certo punto, non so come, ma lo vedo attraversare la porta come se fosse un fantasma. Come se non avesse peso. Come se il suo corpo fosse solo un'illusione. Mi sento come se fossi dentro un film horror, dove tutto ciò che sta accadendo è surreale. Eppure, è tutto troppo, troppo vicino a me.

Lui non smette di guardarmi. Poi mi dice qualcosa, ma la sua voce sembra arrivare da un altro mondo, da un luogo lontano. Mi dice: «Ti ho trovata.» La sua voce è come un sussurro, eppure mi sembra di sentirla nell'anima, come se ogni parola fosse un colpo al mio cuore.

Urlo, ma il suono non esce. Non riesco a respirare, non riesco a pensare. La paura mi stringe la gola. Eppure, in qualche modo, so che è solo l'inizio.

Le guardie arrivano di corsa. Ma quando vedono la scena, non vedono niente. Lui è lì, accanto a me, ma loro non lo vedono. Mi guardano con aria interrogativa, ma non capiscono. Non sentono il suo ghigno, non vedono l'ombra che si aggira accanto a me. Mi dicono di calmarmi, ma come posso farlo quando il mio mondo sta crollando? Come posso stare tranquilla quando vedo una persona che nessun altro vede? Come posso essere tranquilla quando mi sembra che la mia mente stia perdendo il controllo?

Mi dicono che sono solo nervosa, che ho bisogno di riposare. Ma non mi sento affatto nervosa. Mi sento... persa. Mi sento impotente. Sono diventata una prigioniera, non solo di queste mura, ma della mia stessa mente. E tutto ciò che ho sempre temuto sembra essersi avverato.

Le guardie se ne vanno, e in quel momento, i medici entrano nella stanza. Non dicono nulla, ma mi guardano con occhi pieni di preoccupazione. Mi iniziano a somministrare i soliti farmaci, ma in quel momento, succede qualcosa di strano.

Sento una voce, quella stessa voce che mi ha perseguitato nel buio: «Non prenderle.»

Mi fermo di colpo, il cuore che mi batte forte. «Chi sei?» urlo. «Cosa vuoi da me? Sei tu che mi hai chiamata? Sei tu che mi hai fatto rinchiudere qua dentro? E perché loro non ti vedono?» Le parole escono dalla mia bocca con rabbia. Voglio sapere la verità, voglio sapere chi è questa entità che mi sta tormentando. Non posso vivere nel buio, non posso vivere in una realtà che non capisco. Non voglio essere presa per pazza. Voglio uscire da questo manicomio.

La voce mi risponde, ma questa volta è calma, rassicurante: «Calmati, ora ti dico tutto.»

I medici mi guardano con occhi preoccupati, convinti che stia parlando da sola. Decidono di andarsene, ma non se ne vanno del tutto. So che stanno osservando ogni mio movimento, temendo che possa fare qualcosa di pericoloso. Ma mentre loro se ne vanno, la voce riprende a parlare:

«Sai già chi sono, solo che i tuoi ricordi non sono ancora riaffiorati. Sì, è vero, ti ho chiamato io e sono sempre stato io a portarti qua, così potevamo parlare tranquillamente. Mi vedi solo tu, perché siamo legati. Puoi definirmi come se fossi, la tua "ombra".»

Le parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco. Non capisco. Non voglio capire. La mia mente è un caos di emozioni contrastanti. Ma una parte di me è curiosa. Quello che sto sentendo è assurdo, ma... forse è vero? Siamo legati? Un'ombra che mi segue? Le risposte che sto cercando sono proprio davanti a me, ma sono troppo difficili da afferrare.

Rimango immobile, incapace di parlare. Le parole che lui ha detto risuonano nella mia mente, e mi chiedo se dovrei aver paura. Ma, paradossalmente, non ho paura. Mi sento al sicuro. Forse è quello che mi ha sempre cercato di dire, ma la mia mente non riusciva a comprenderlo.

Rimango a letto, cercando di fare ordine nei miei pensieri, e per la prima volta dopo tanto tempo, sento che non sono completamente sola. Non sono più un'ombra tra le ombre. Non so cosa accadrà, ma forse ho finalmente trovato qualcuno che mi capisce. E per quanto strano possa sembrare, questo pensiero mi dà una strana sensazione di pace.

La sconosciuta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora