L'orario digitale che brillava sullo schermo del microonde segnava le 8:35 pm quando sfornai i miei muffin. Pete era già seduto al grande tavolo di legno a pochi metri dalla cucina, risistemava assorto degli appunti.
"Sicuro che questi basteranno?" gli chiesi mentre cercavo un piatto di portata o qualcosa che gli assomigliasse.
"Sì, piccola, abbiamo mangiato una pizza alle tre e mezza. Tu, piuttosto?", sbadigliò silenziosamente, senza staccare gli occhi dalle carte davanti a lui.
"No, sono a posto" dissi facendo spallucce.
Io e Pete riuscimmo a mangiare due muffin e mezzo a testa, chiacchierammo del suo imminente esame e del mio prossimo ritorno a scuola perdendo quasi due ore, ma Dave non si fece vedere. Cercai di non mostrare la mia delusione finché non lanciai un rapido sguardo alla porta chiusa della sua stanza.
"Ehi" disse lui prendendomi la mano e stringendola dolcemente, "mi dispiace". Posai gli occhi sulle nostre mani intrecciate, poi sul suo viso amorevole, e gli sorrisi.
Una volta sparecchiato il tavolo da quel poco che lo aveva occupato, ci dirigemmo verso le nostre stanze. Pete appoggiò le mani sui miei fianchi e mi tirò a sé, poggiando lievemente le labbra sulle mie. Quando si staccò, fermandosi comunque a pochi centimetri da me e sussurrò: "Vedrai che non sarà sempre così". Davanti alla mia espressione confusa continuò la frase: "con Dave" specificò, dopodiché mi baciò più intensamente. Sorrisi mentre rispondevo al bacio e lui fece lo stesso. "Adesso però vieni di là con me" disse prendendomi la mano e trascinandomi divertito verso la sua stanza.
Nonostante stessimo insieme e potessi considerare Pete il mio ragazzo in tutti i sensi, uno dei motivi per cui avevo accettato la nostra convivenza prematura era il fatto che avremmo avuto stanze separate. Nel caso avessimo dovuto dormire nella stessa camera, in un letto matrimoniale, mi sarei sentita come una giovane sposina, condizione che solo al pensiero mi creava parecchio disagio. La stanza del mio ragazzo e coinquilino era semplice e non mancava di nulla: il letto era ad una piazza e mezzo, sul lato destro della camera. Un grande armadio torreggiava occupando l'intero lato sinistro ed una cassapanca in legno lo affiancava. Vi era inoltre una scrivania che dava sulla grande finestra in fondo, dalla quale entrava soffiando lievemente un venticello serale, sfogliando le pagine di un manuale di economia lasciato aperto vicino a una tazza di caffè, ormai mezza vuota.
Quaranta minuti più tardi Pete mi diede un ultimo bacio sul collo sussurrandomi che ero stata fantastica e un'ora dopo era sprofondato nel sonno. Con un braccio mi teneva vicino a lui, il suo respiro soffiava regolarmente sulla mia guancia.
Quando mi soffermai sulla luna piena che splendeva al centro del pezzo di cielo che riuscivo a scorgere, non so per quale associazione di pensieri mi venne in mente Dave. "Avrà mangiato alla fine?" mi chiesi. Sentivo che non era così, non avevo sentito alcun rumore provenire dalla cucina.
Senza pensare troppo a quello che stavo per fare scostai lentamente il braccio di Pete ormai adagiato sulla mia vita , mi alzai cercando di non svegliarlo e, quando mi accorsi che niente avrebbe potuto farlo, sgattaiolai senza fare rumore fuori dalla stanza.
La luce della cucina era accesa e ne illuminava giusto l'isola, il piatto dei muffin ormai dimezzati era poggiato sul piano di finto marmo dove l'avevo lasciato. Mi alzai sulle punte dei piedi recuperando un piattino di plastica blu scuro dal mobile sopra il lavello e ci posizionai al centro il muffiin che decisi potesse essere il più panciuto e cioccolatoso.
Non so dire quanto tempo passai davanti alla porta di Dave fissandone la maniglia. Forse furono pochi secondi, forse qualche minuto. Feci un respiro profondo fissandomi le punte dei piedi nudi, lo smalto bordeaux meno lucente di quella mattina, che sembrava così incredibilmente lontana, quando l'avevo messo con molta cura.
La prima cosa che cercai di fare quando entrai fu abituare gli occhi al buio della stanza per cercare di non inciampare in qualche oggetto. Individuai a malapena il comodino vicino al letto grazie alla luce fioca della luna che entrava dalla gigantesca finestra aperta. Avevo fatto a malapena un passo quando mi resi conto che il letto, pur essendo evidentemente sfatto, sembrava vuoto. Quasi simultaneamente una voce furiosa seppur contenuta spezzò il silenzio:
"Che cosa vuoi?" ringhiò. Per lo spavento sussultai e quasi non mi cadde il piatto dalle mani, cosa che, per non so quale fortuna divina, non accadde.
"Io...ti ho portato una cosa" esordii girandomi lentamente verso la direzione da cui avevo sentito provenire la voce. Quando lo individuai quasi mi mancò il fiato: nonostante non riuscissi a vedere quasi nulla nella stanza, scorsi facilmente il blu brillante dei suoi occhi, che in quel momento ardevano di rabbia. I suoi capelli sembravano essersi tinti di un biondo ancora più chiaro.
"Insomma!" mi innervosii improvvisamente cambiando tono, senza alzare troppo la voce, pestando un piede, "sei stupido?! Mi hai spaventata a morte!". Cercai di assumere un'espressione agguerrita, prima di rendermi conto che probabilmente non riusciva neanche a vedermi in faccia.
Non mi ero mai soffermata a pensare su come potesse essere lo sguardo di un assassino un momento prima che questo ti uccidesse, ma in quel momento lo percepii all'istante.
Con un passo fulmineo arrivò a meno di un metro da me.
"Sei nella mia stanza" sussurrò gelido "a quest'ora, e non ho idea del perché".
La sua vicinanza, oltre a portarmi un assaggio del suo odore, mi scombussolò completamente le idee. Provai a cercare nuovamente i suoi occhi, ma una volta trovati fu anche peggio: la gola mi si chiuse in una morsa e non riuscii più a pensare a nulla di concreto. Scossi piano la testa per riprendermi e avvicinai il piatto verso di lui, chiudendo gli occhi per sfuggire al suo sguardo.
"Ti ho portato questo" dissi in un fiato. "L'ho fatto sta sera e so che non hai mangiato nulla".
Durante i pochi secondi di silenzio che seguirono tenni gli occhi chiusi e mi parve , incredibilmente, di sentirlo ancora più vicino a me. Quando li riaprii, invece, lui era scomparso, mi aveva superato dirigendosi verso il suo letto.
"Non ho fame" disse infine, la voce incredibilmente bassa e incolore.
Il modo in cui rimasi pietrificata sul posto probabilmente gli fece pensare di avermi terrorizzata, perché una volta che lo sentii adagiarsi sul letto se ne uscì con un: "Tranquilla, puoi andare adesso" soffocando la frase nel cuscino.
La profonda irritazione per il suo comportamento mi risvegliò parzialmente dallo stato di trance, tanto da permettermi di dirigermi impettita fino al suo comodino, dove adagiai il piatto con fermezza. Dopodiché, incurante dello sguardo penetrante poggiato su di me, uscii dalla stanza con tre grandi e decisi falcate.
Sbattei la porta e ripresi fiato accasciandomi piano sopra di essa. Un istante dopo aguzzai le orecchie: incredibilmente, mi sembrò quasi di sentirgli soffocare una risata divertita.
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ONIEYE
RomanceSam è pronta ad affrontare il suo ultimo anno di liceo quando si trasferisce nell'appartamento di Pete, il suo ragazzo, e Dave, il migliore amico di lui. All'eccitazione di cambiare vita, però, si contrappone la perenne sensazione di essere di trop...