CAPITOLO QUATTRO

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La mattina dopo mi trovavo seduta su uno degli scomodi sgabelli della cucina. Mentre ripercorrevo mentalmente l'episodio in camera di Dave, giravo piano il cucchiaino nella ciotola di latte al cioccolato. Il pensiero che potesse apparire nella stanza da un momento all'altro mi stringeva lo stomaco.

"...l'esame dovrebbe cominciare alle tre, ma andrò comunque in università tra meno di un'ora" Pete continuò un discorso che non stavo seguendo del tutto, alzò gli occhi per cercare i miei. Stava seduto esattamente di fronte a me, dall'altra parte del bancone, anche lui adagiato su uno scomodo sgabello.

"Va bene" borbottai. Accarezzai la sua mano, lui a sua volta strinse la mia. Restammo così giusto qualche secondo, prima che la porta di Dave si aprisse e lui facesse il suo ingresso nella stanza. Senza pensare, staccai la presa dalla mano calda e sicura di Pete.

"Tu che farai oggi?" la sua voce era tranquilla, non fece caso più di tanto al mio cambio di comportamento.

"Pensavo.." iniziai, fissando il ragazzo che in fondo alla stanza non sembrava accorgersi della nostra esistenza, "..di andare al parco qui vicino. Passo sempre così il pomeriggio del giorno prima dell'inizio della scuola" conclusi, tornando a concentrarmi sul discorso e sulla mia tazza di latte.

"Tesoro, non so quanto possa essere una buona idea" disse Pete alzandosi e dirigendosi verso il lavello. Dopo aver poggiato la tazza al suo interno e averla riempita d'acqua, fissò gli occhi nocciola sul cielo limpido del mattino. "Ho sentito che per oggi è previsto un forte temporale", si avvicinò e mi diede un lieve pizzicotto sulla guancia. Giusto un secondo dopo, parve ricordarsi del suo impegno in università, guardando all'improvviso l'orologio che gli avevo regalato mesi prima.

"Devo scappare" disse infine, ma prima che potesse salutarmi come un fidanzato che si rispetti, un'altra voce, più ferma, più bassa, più calma, si fece sentire a pochi metri da noi:

"Ah, grazie amico per il muffin. Non te la cavi poi così male, erano mangiabili". Quando parlò non staccò gli occhi dal libro neanche per un secondo, cosa che riuscii a notare nonostante la rabbia annebbiasse il mio cervello.

Pete si fece sfuggire una risata, con mio enorme disappunto, e mi diede un bacio veloce.

"Abbi pazienza, lo fa per provocarti" mi sussurrò all'orecchio, "non rispondere, ok? Non ne vale la pena". Detto questo si dileguò in fretta e furia, dopo aver risposto con un "grazie" al mio gelido "in bocca al lupo".

Riuscii a sopportare giusto dieci minuti scarsi, cercando di organizzare diversamente il mio pomeriggio nel silenzio più assoluto che inondava la stanza. Dopodiché decisi che il tempo sembrava troppo bello per poter peggiorare, perciò mi alzai e mi diressi al tavolino basso del salotto dove, oltre a due grandi piedi incrociati, era poggiata la ciotola in ceramica dove tenevo le chiavi. Mentre individuavo e afferravo la piccola chiave della mia bici, cercai di non alzare mai lo sguardo verso Dave, cosa che fu inaspettatamente e terribilmente difficile. Solo quando ebbi la sensazione di essere osservata intensamente azzardai un'occhiata nella sua direzione, trovando i suoi occhi densi e brillanti interessati all'oggetto metallico nella mia mano. Portava dei pantaloni a mezza gamba e una felpa grigia aperta su quella che sembrava una maglietta di un rosso sbiadito. La felpa leggermente più larga aderiva perfettamente al suo corpo e, pur cercando di non ammetterlo a me stessa, adoravo il modo in cui i colori si abbinavano alla sua pelle candida. Inoltre, l'opacità del tutto veniva spezzata e deragliata dai suoi occhi color fondale dell'oceano.

Quando scorsi i lineamenti del suo petto venire fuori dal largo scollo della maglietta sentii l'intestino attorcigliarsi e distolsi lo sguardo immediatamente, quasi impaurita.

Mi affrettai ad uscire da quell'appartamento, come se volessi fuggire dall'effetto che, seppur cercassi di scacciarne il pensiero ogni secondo, riusciva non so come ad avere su di me.

L'ora e mezza che passai sdraiata sull'erba fresca, prima che una piccola goccia mi colpisse la fronte, fu più che piacevole. Me la presi quindi con calma, portando la mia bicicletta, di un fantastico giallo scolorito, a mano fin fuori dal parco.

Quando finalmente mi misi in sella, accadde.

Un lampo, seguito da un tuono, scatenarono un'improvvisa e feroce tempesta: l'acqua cominciò a scendere talmente fitta da non farmi vedere a un palmo dal naso, mentre il vento, che sembrava arrivasse da ovunque, mi rallentava.

Continuai a tenermi a lato della strada, sperando vivamente di essere individuata dalle macchine che, sfrecciandomi accanto, riuscirono con mio enorme rammarico a rendermi completamente fradicia.

Fu questione di un secondo da quando passai al sentire l'adrenalina scorrere nelle mie vene, al terrore più totale. Sentivo le gambe farsi molli e il mio cuore accelerare ad ogni singola pedalata. Una volta che ebbi analizzato le varie opzioni, decisi di fermarmi al primo posto riparato, dato che la paura in costante crescita non mi avrebbe certo aiutato.

L'unica cosa che riuscivo a vedere erano le mie mani che stringevano forte il manubrio, tanto da diventare bianche e, a malapena, la striscia bianca della strada che lasciavo mi facesse da sorta di linea guida.

Credo proprio che fu per questo che, quando scorsi alla mia sinistra un paio di occhi blu tagliare le strisce fitte della pioggia in cerca di qualcosa, persi completamente di vista il poco su cui riuscivo ad avere il controllo.

Dave mi individuò e, quasi simultaneamente, inchiodò pericolosamente in mezzo alla strada. Abbassò il finestrino e il suo sguardo mi colpì come un pugno in piena faccia.

"Sam!" ringhiò oltrepassando il muro di suoni che ci divideva.

Non so se stessi pensando a come gestire quella situazione, al perché lui si trovasse lì (forse per me?), o se fossi semplicemente annebbiata dal fatto che quella fu la prima volta che lo udii pronunciare il mio nome, non che ci facessi particolarmente caso, ma successe che la mia ruota anteriore sgusciò dalla mia presa facendomi schiantare sul cemento bagnato. Precisamente, la mia faccia finì per metà in una piccola pozzanghera di cui, con mio immenso disgusto, bevvi anche qualche sorso.

Ero infatti troppo impegnata a sputare acqua piovana per sentire che la macchina aveva ripreso la sua corsa, cimentandosi in un' inversione a U assolutamente illegale, e quando rialzai gli occhi tutto ciò che vidi fu la portiera del passeggero di una Jeep nera aprirsi davanti a me, aspettando che salissi a bordo.

ONIEYEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora