1. Horklump

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Un grido fende l'aria limpida del mattino. Tra le foglie degli alberi che gettano ombre sulla radura filtrano lame di luce calda. Questa luce accarezza i fili d'erba ancora abbracciati dalla rugiada che si stanno pigramente stiracchiando nel sole mattutino, ignari che uno zoccolo grigio andrà ben presto ad appiccicarli contro l'umida terra dove gettano le loro sottili radici.

-Bravo, così! – una voce di donna risponde a quel grido. È stato un canto, più che un grido, un verso di gioia e divertimento. Forse una risata.

Quattro paia di occhi spuntano tra i tronchi delle betulle. Sono piccole sfere nere lucide che guizzano sulla scena che si para loro davanti. Il loro collo si muove per seguire la corsa circolare che quel loro piccolo compagno sta compiendo attorno alla donna.

Lei è di una bellezza rara, i suoi lunghi capelli bruni sono raccolti in un treccia che si sta lentamente disfacendo, lasciandosi sfuggire ciocche dai riflessi ramati. Ogni volta che uno di questi ciuffi le va a coprire gli occhi color nocciola in cui sembrano galleggiare pagliuzze dorate, una mano dalle dita sottili protette da uno spesso guanto di cuoio nero le riporta dolcemente al loro posto.

Il viso, dalle guance piene e punteggiate di lentiggini, è leggermente sporco di terra, ma non sembra importargliene e quel sorriso radioso spazza via ogni imperfezione.

Il corpo è avvolto in una tuta di pelle con delle protezioni sugli stinchi e alla cintura sono appesi un gran numero di sacchettini di stoffa.

Volteggia al centro della radura per non perdersi nemmeno un passo dell'ippogrifo che sta aumentando velocità.

-Ora...- il suo tono è alto, l'animale deve sentirla sopra il rumore dei suoi stessi passi -...dispiega le ali, lentamente! – lo istruisce con calma.

Il piccolo ippogrifo, perché solo di un cucciolo si tratta, non la ascolta. È infervorato dall'emozione del momento, il suo primo volo.

Fa scattare il becco a uncino che si chiude con uno schiocco.

E apre le ali di scatto.

Le penne argentate trovano l'opposizione dell'aria e l'animale si sente sbalzato indietro. Si trova steso sulla schiena con le zampe che ancora si agitano non trovando il suolo.

Una risata cristallina riempie l'aria e lui si tranquillizza.

In un attimo si trova circondato dai suoi simili che sembrano schernirlo con quei versi giocosi. Si agitano, si impennano e sfregano i becchi contro il suo. Si vergogna un po', certo, ma non può fare a meno di ridere con loro, con quel suono raspato che esce dalle loro gole piumate.

Qualcosa, però, interrompe quel momento sereno.

Un suono simile ad un esplosione proviene dalla casa poco distante. Una costruzione semplice, in pietra grigia con gli infissi delle finestre in legno scuro. Dal tetto di cotto vengono sparate in aria un paio di tegole e l'espressione della donna si offusca. Anche gli ippogrifi si zittiscono all'istante e il piccolo esemplare si rialza fiero sulle zampe, nascondendosi dietro uno degli amici.

L'esplosione è seguita da una voce dalle note acute che urla, agitata: -Fermo! No, aspetta...no no. –

Rumore come di pentole sbattute, oggetti che cadono.

La donna si affretta verso la casa.

-Ahhh. – risuona ancora nell'aria.

-Sì, ti ho preso! – si sente dopo qualche secondo, la voce un po' più sicura di sé.

Poi di nuovo un urlo di dolore.

A contrasto di tutto ciò, un piccolo sorrisino di scherno sta nascendo sul viso sporco di fango della donna, che non è poi, più di tanto, agitata.

-No, nononono! –

Quest'ultima implorazione è seguita dal rumore di un vetro che si infrange e dalla finestra salta fuori un Horklump dal colore violaceo, con una penna d'oca che ancora trasuda inchiostro infilzata sopra gli occhietti piccoli e velati.

L'essere, che assomiglia ad un fungo roseo coperto da rade setole nere, si mette a correre terrorizzato per il giardino, calpestando le fragole appena mature e andando a sbattere, poco dopo, contro un' anguria grossa il doppio di lui.

I tentacoli sui quali si stava muovendo cominciano ad agitarsi freneticamente fino a che sente due mani cingergli il gambo e si trova a penzolare per aria.

Lo sguardo della donna è duro, ma chi la conosce bene noterebbe la scintilla di divertimento infondo alle iridi.

-Vuoi spiegarmi? – domanda ferma, fissando il bambino di circa sette anni che ha seguito l'Horklump saltando anche lui fuori dalla finestra ormai in frantumi.

Il bambino, una zazzera di capelli castani spettinati con gli stessi riflessi rossi della madre, fissa i suoi piedi nudi e non ha il coraggio di alzare lo sguardo.

-Allora, Newt? – lo incalza la madre spostando poi lo sguardo sull'animaletto terrorizzato e sfilando la penna dal suo corpo molliccio. Il foro si richiude all'istante e l'essere si rilassa per poi fuggire via non appena viene riappoggiato al suolo.

La donna si avvicina al figlio e gli alza il mento costringendolo a guardarla in viso. La somiglianza tra i due volti è chiarissima, accentuata anche dalle lentiggini rosse che invadono anche il viso del bambino.

-Io...io stavo solo facendo qualche esperimento. – mormora alla fine.

-E la penna con cui hai cercato di ucciderlo? – ormai non c'è più traccia del fastidio né nella voce né nello sguardo e il bambino si rilassa accennando un sorriso.

-Io non volevo ucciderlo! È stato lui ad impazzire, mi ha strappato la penna di mano e si è trafitto la testa. È stato inquietante! –

Mima con le mani i tentacoli agitati dell'Horklump nell'atto di portarsi la penna d'oca tra gli occhi.

-L'inchiostro che sprizzava dalla penna sembrava sangue! – continua infervorato.

La madre ride mentre dalla cintura sfila una bacchetta di legno chiaro dall'impugnatura scurita dal sudore delle mani che l'hanno stretta per molti anni.

Con qualche movimento, abbinato a delle parole bisbigliate, le schegge di vetro della finestra si ricongiungono ritornando al loro posto e anche le tegole, fluttuando, si riposizionano sul tetto.

-E la casa? – domanda Newt alludendo al fatto che dentro lui e l'Horklump, nella loro lotta all'ultimo inchiostro, hanno messo tutto sottosopra.

-Mi dispiace caro, l'Horklump è fuggito e non potrà darti una mano. – lo canzona la madre entrando in cucina e lasciandolo solo a mettere il broncio in mezzo alle sedie ribaltate e le spezie sparse sul pavimento cadute dalle loro, un tempo ordinate, scatoline.


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