7. Il sapore delle parole

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Quella prima notte due fattori contribuirono a tenermi sveglio: uno era il respiro di Richard che arrivava dal letto inferiore risalendo l'aria densa della notte per insinuarsi tra le mie coperte e tormentarmi, l'altra era l'adrenalina e l'euforia accumulatesi in un paio di giorni durante i quali la mia vita era stata sconvolta.

E quella prima notte mi rigiravo nel letto alla ricerca del sonno che scappava via ogni volta che sembrava fossi quasi riuscito ad afferrarlo...è dispettoso il sonno, è scivoloso, ti scappa tra le dita come il fiato che si addensa nelle mattine d'inverno, e quella notte subentrò un pensiero a garantirgli la via di fuga.

Il dialogo che avevo origliato tra mia madre e zio Alfred. 

C'erano così tante cose che mi erano così poco chiare e non poteva fare a meno di chiedermi se avessero importanza. E dovevano averne. Molta, se per quelle cose la mamma aveva deciso di vivere isolata dal mondo, tenendo anche me, un bambino, lontano dalla civiltà e dalla vita. Tutto questo sembrava girare attorno alla figura di mio padre, di cui non sapevo nulla e che fino a quel momento non mi aveva nemmeno particolarmente colpito. 

Ma il tono della voce di Alfred mi si ripeté nelle orecchie, sovrapponendosi al russare di Richard, e percepii tutto il peso che avevano avuto le sue parole. Parole importanti. Doveva essere così.

Mi sentii pervadere da una sensazione nuova, sconosciuta: il bisogno di parlare con qualcuno. E il fatto che Colin fosse in qualche altra parte sconosciuta della scuola non era d'aiuto. Non avevo mai avuto un bisogno così impellente di esporre a qualcuno le mie idee. Mi erano sempre bastati i miei fogli e la mia penna d'oca. Sulla carta tutti i miei quesiti e le mie deduzioni prendevano forma facilmente, chiari, limpidi e concreti. In quel momento tutte le idee che galleggiavano eteree nella mia testa erano troppo astratte perchè potessero prendere la forma fisica delle parole d'inchiostro. No, quelle dovevano essere parole di voce. 

Le sentivo sulla punta della lingua, a volte piccanti, altre come caramelle effervescenti. Avevano un buon sapore, però.

Sentii il bisogno di avere un amico quella notte. Mi era stato detto che ad Hogwarts la mia vita sarebbe cambiata, ma mai mi sarei aspettato che il cambiamento sarebbe stato così rapido.

***

- Colin! - quando ho intravisto nei corridoi quei riccioli biondi l'ho subito riconosciuto. Secondo il mio orario alla prima ora avrei dovuto frequentare Trasfigurazione, ma, senza tanti giri di parole, non avevo la minima idea di dove fosse l'aula.

Ma soprattutto di dove mi trovassi io.

Mi ero perso. 

Solo con gli anni avrei scoperto che a Hogwarts, perdersi, è cosa comune, anzi, non perdersi è strano e può addirittura essere considerato leggermente inquietante.

Ma l'aver smarrito la strada e anche un po' la percezione di me e del senso della mia vita, messo in soggezione da quelle porte giganti e dalle figure semitrasparenti dei fantasmi che si divertivano ad attraversarti il corpo lasciandoti addosso un'ansia impalpabile, mi portò ad incontrare il ragazzo dei Corvonero con il quale avevo proprio necessità di parlare.

Forse erano state le scale che, sentendo questo mio bisogno, avevano fatto apposta a fare un giro in più, facendomi tornare esattamente da dove stavo arrivando senza che nemmeno me ne accorgessi.

- Newt! Mi dispiace un sacco che non siamo finiti nella stessa Casa, mi sarebbe piaciuto condividere la stanza con te, saremmo stati buoni coinquilini. Sono un tipo ordinato sai? Non ti avrei dato il minimo fastidio. Ti dispiace se intanto camminiamo, credo di essermi un po' perso e dicono che il professore di Trasfigurazione sia piuttosto severo...-

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