Prologo

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Diana

Me ne voglio andare. Vado via da questo schifo di città, da questo schifo di casa.
Non tollererò nient'altro. Prendo lo zaino più grande che ho e ci infilo quello che reputo necessario. Sospiro, indugiando con la mano sulla maniglia.
"Tra poco toccherà anche a te." No. No, a me non toccherà proprio niente.
Apro la porta della camera nel modo più silenzioso possibile, ma Rick è sveglio, cammina verso di me sbadigliando. Mi abbasso alla sua altezza, storcendo il naso per il suo alito. Si stiracchia con un mugolio, guardandomi con quegli occhioni tondi e teneri che mi fanno sempre sciogliere.
"Mi mancherai, lo sai?" bisbiglio, senza farmi sentire. Mi lecca una guancia ed io tento di non ridacchiare. È notte e stanno dormendo, ma mio padre ha sviluppato un sonno davvero leggero.
"Cristo, Rick. Che alito di merda" borbotto divertita, facendogli un grattino. Lui agita la coda ed io mi allarmo, perché se scodinzola vuol dire che tra poco abbaierà. Sono già in piedi, con gli occhi fissi sul cane per qualunque evenienza. Fortunatamente lui non emette suono, così sospiro. Gli lascio un ultima carezza, sorridendo.
"Mi dispiace, ma questa vita non fa per me. Vado via, devo andare via." Cammino verso l'angolo del muro, dove c'è la palla con cui gioca sempre e la faccio rotolare dal lato opposto del piano. Lui la rincorre, probabilmente per riportarmela.
"Ciao bello." Mi dirigo verso l'entrata, questa volta non esito. Prendo le chiavi, apro la porta che mio padre chiude sempre a due mandate nel silenzio totale. Chiudo velocemente mentre mi appoggio al muro a tentoni, per non accendere la luce.
Scendo le scale ed esco. Vado via.
Respiro a pieni polmoni l'aria notturna. Ha piovuto da poco, quindi qui intorno c'è un piacevole odore di terra bagnata.
Sorrido, camminando il più velocemente possibile lontano da lì.

È fatta, sono libera. Vado via.

Aira

"Ehi, bellezza! Che ne dici di un giro?" ghigna un tizio, dall'odore direi che è ubriaco. Come quasi tutti quelli che girano di qui. Emetto uno sbuffo sarcastico, dove rompere i coglioni proprio a me?
"Ma come Dylan? Non mi riconosci neanche più?" lo sfotto, continuando a camminare. Lo stronzo mi segue ed io accelero il passo. Ci manca solo il rompipalle.
"Io non..." fa un singhiozzo, in preda all'alcool.
"... non mi chiamo Dylan." Perdo quel poco di pazienza e mi volto verso di lui, con un sorrisetto.
"Andiamo, amico. Quanto hai bevuto? Cazzo, non ricordi nemmeno il tuo nome." Si gratta i capelli, totalmente sporchi e mi sorride con i denti lerci. Mi offre la mano ed io ho un brivido di ribrezzo. Mi fa vomitare.
"Hai ragione. Sono un maleducato." Mi rutta in faccia e tutta la mia messa in scena se ne cade, lasciando lo spazio ad una smorfia disgustata. Scoppia a ridere, prendendomi un braccio ma mi libero con uno strattone. Quanto vorrei rompergli la mascella...
"Dylan, lo sai che mi da fastidio quando la gente mi tocca. Fai il bravo, non farti pestare." Mi ride in faccia, piegandosi in avanti e mandandomi un'ondata stomachevole del suo alito schifo. Ma faccio buon viso a cattivo gioco, mi basta che lui si avvicini ancora.
"Calma dolcezza, potrei farti male." Diventa serio, mortalmente serio. Il mio disprezzo verso di lui aumenta ogni microsecondo.
Faccio spallucce, apparentemente divertita.
"Fammi vedere cosa sai fare, Dylan." Ripetere il falso nome ogni volta che si rivolgeva a qualcuno aveva effetti anche dopo la sbronza, l'avevo fatto tante volte con Marcus.
Il barbone non aspetta altro e mi afferra i capelli. Non ha capito proprio un cazzo.
Mi basta un pugno sul naso che lui si stacca, dolorante. Si piega su sé stesso, imprecando.
Mi viene da ridere, faceva tanto il gradasso e invece...
"Credi di avermi fatto male, puttana?"
"No." Sorrido e lui tenta di darmi uno schiaffo ma io gli afferro il polso; glielo storco, dandogli un calcio sul retro delle ginocchia. Perde l'equilibrio e cade. Nel frattempo stringo la presa. Giro di scatto la mano mentre sento un 'crack', poi lui urla di dolore.
"Ora ti ho fatto male, Dylan." Gli mando un bacio volante, lasciandolo a terra. Giro i tacchi, mi sistemo lo zaino sulle spalle e me la filo via.

D.A.M.A.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora