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Avevo solo sette anni quando mio padre morì.

Mia madre era tornata la sera da una riunione di lavoro e mi aveva portata a letto prima del solito senza nemmeno chiedermi com'era andata la mia giornata a scuola. Non dimenticherò mai le tensioni che attraversavano il suo volto quella notte: i suoi occhi erano gonfi e ricoperti di un nero sfumato che le rigava le guance, segno che aveva pianto davvero tanto; la bocca tremava e il suo sguardo era completamente assente.

Quando le chiesi cosa fosse successo lei mi guardò scrupolosamente, come se fossi una creaturina fragile ancora troppo piccola per capire certe cose, quindi si limitò a stringermi in un caloroso abbraccio. Fu quando la sentii singhiozzare che capii la gravità di ciò che era accaduto. Ricambiai l'abbraccio cercando di sembrare il più confortevole possibile ma la verità era che la mia testa era da tutt'altra parte. Fu proprio in quel momento che la mia mente fu invasa da un'ondata di domande, tutte senza risposta: Che cosa poteva essere successo di così grave? Perché non mi aveva detto niente? Papà non è tornato a casa questa sera... Perché? E se fosse successo qualcosa a lui?  Scartai immediatamente questa alternativa. Mio padre era un uomo forte, era stato lui a dirmelo e con il passare degli anni me lo aveva dimostrato. Se l'era sempre cavata, ed io restai fermamente convinta che sarebbe andata allo stesso modo anche quella notte.

Quando mia madre uscì dalla stanza e spense la luce, non riuscii a prendere sonno, poiché migliaia di domande continuavano a vagare per la mia mente. I miei pensieri furono interrotti da un forte colpo. Uscii di corsa dalla mia stanza e mi ritrovai completamente sola. Mia madre era uscita di casa. Una luce tenue si fece spazio attraverso le finestre ed arrivò ad illuminare il salotto. Con quello strano bagliore la mia casa sembrava così fredda e inospitale... Senza pensarci due volte corsi al piano superiore e mi misi sotto le coperte.

Ogni minimo rumore mi causava dei brividi che ripercorrevano la schiena e, nonostante fosse luglio, mi tirai le coperte fin sopra alla testa. Presi la mia scimmietta peluche e chiusi gli occhi, cercando in tutti i modi di allontanare i miei pensieri dalla situazione che mi ero lasciata alle spalle. Ovviamente fu tutto invano, le mie palpebre non erano per niente pesanti e gli occhi non ne volevano sapere di rimanere chiusi. Mi misi a sedere, ancora sotto le coperte, ed estrassi la mano soltanto per recuperare il libro e la piccola torcia. Quella sera papà, non essendo tornato a casa, non era riuscito a leggermi una parte della storia, com'era sua abitudine fare ogni sera da quando avevo quattro anni. Così quando ebbi il libro tra le mani e la torcia fu ben posizionata in modo da lasciare le pagine sottili illuminate, iniziai a leggere. Avevo imparato l'anno prima a scuola, ma facevo ancora piuttosto fatica. Ci misi circa un'ora per leggere solamente tre pagine, è vero che era scritto molto in piccolo, ma ci misi comunque troppo tempo rispetto a come sarebbero stati in grado di fare i miei compagni di classe.

Finito il capitolo rimasi qualche minuto a pensare. Quella storia mi piaceva parecchio e tutt'ora rimane il mio libro preferito in assoluto. Raccontava la storia di questa bambina e del suo papà i quali si ritrovavano ogni giorno ad affrontavano delle nuove avventure. Mi ricorda tanto il rapporto che avevo con mio padre, e forse è per questo che mi piacque tanto fin da subito...

Quando ricominciai a leggere una frase in particolare rimase impressa nella mia mente, era una citazione di un uomo colto che allora non conoscevo: ''La forza interiore è la protezione più potente che hai.''

Così, dopo aver letto le ultime righe del capitolo, i miei occhi cedettero al sonno, senza lasciarmi nemmeno il tempo di spegnere la piccola torcia.

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