3.

421 151 86
                                    

La prima settimana di scuola passò in fretta. Sidney mi aveva implorata di andare con lei alla festa di un suo amico, ma io avevo rifiato più volte dicendole che non era affatto il mio "genere" di feste.
In realtà nessuna festa era il mio genere.
Nessun gruppetto di amici.
Nessun "andiamo a vedere la partita di Noah?" Quando la squadra della nostra scuola giocava.
Niente di tutto ciò faceva per me.
Non volevo sembrare asociale o "strana", semplicemente non c'era niente che mi rapisse l'animo in quella scuola (tranne Sid, s'intende).
E così passavo le mie giornate: mi svegliavo (99,7% delle volte in ritardo), mi recavo a scuola dove mi esibivo in una divertente scenetta (per gli altri) che ero obbligata a fare per non tardare alla lezione della prima ora, poi arrivava l'intervallo e io lo passavo in classe, soprattutto per evitare altri avvenimenti sconvenienti, il pranzo era l'unica pausa che mi piaceva perché potevo finalmente passare un po' di tempo con la mia migliore amica. Il cibo, ovviamente, faceva schifo. Dopodiché, finite le lezioni, tornavo a casa e mi mettevo a fare i compiti per i giorni seguenti, una volta finite le consegne ero finalmente libera.
Libera? Davvero ero libera? E di fare cosa? Di sfruttare finalmente il mio "tempo libero"? Io non avevo un "tempo libero".
Non avevo degli amici con cui passarlo il mio "tempo libero".
Solo Sid, sempre e solo Sid. E a me piaceva così.
Ad interrompere i miei pensieri entrò mio fratello in camera che mi chiese se potevo aiutarlo ad apparecchiare la tavola per la cena.
Mi alzai mal volentieri dal letto e andai in cucina, dove mia madre stava cucinando, persa nei suoi pensieri.
Le chiesi se stesse bene e lei ovviamente rispose di si, ma io capivo che non stava dicendo la verità.

Quando finimmo di cenare io rimasi in salotto a leggere il mio libro preferito. Quello che mi aveva regalai mio padre tanti anni prima. 

«Vieni Mia, devo mostrarti una cosa!» mi interruppe mio fratello. 

Lo seguii fino in cantina e mi condusse nel sottoscala, dove vidi una valigia da lavoro e degli scatoloni. Non senza risparmiarsi un bel baccano, tirò giù dagli scaffali una scatolina di legno, piena di foto di papà. Quando era morto ricordo che ero andata a rubarne qualcuna per appenderla in camera o attaccarla all'interno del mio diario, ma ricordo che nessun'altra mi aveva colpita. Ethan me ne mostrò una che effettivamente non avevo mai notato. Rappresentava mio padre giovane vicino a mio nonno. Non era una semplice foto di una famiglia, c'era qualcosa di turbato nei suoi occhi, ma non riuscii a capire di che cosa si trattasse, mi limitai a prendere la foto e portarla in camera, insieme a mio fratello.

«C'è qualcosa di strano in questa foto» dissi.

«Perché te l'avrei mostrata se no?»

Ethan continuava a guardarla con quei suoi occhi verde intenso, si vedeva che anche se taceva il suo cervellino stava elaborando tante teorie per risolvere il conflitto che si era creato nella sua testa.
Qualcosa non tornava.
Un pezzo del puzzle non era al suo posto e io dovevo scoprire di che cosa si trattasse.
Quando mi resi conto che Ethan era immerso fin troppo nei suoi pensieri, gli proposi di guardare uno dei suoi film preferiti. Lui accettò volentieri cacciando per qualche secondo i brutti pensieri.

Mi ha lasciata.

Tre semplici parole che facevano più male di qualsiasi altra cosa, sopratutto se ad inviartele è la tua migliore amica...
Senza esitare due volte digitai il numero di Sid.

«...Mia?»

«Ehi Sid... Ho appena visto il tuo messaggio, mi dispiace tanto... Posso fare qualcosa? Vuoi venire qui da me che ne parliamo? Oppure posso venire da te io, come vuoi.»

«Si mi farebbe bene stare con te, ma per il momento preferisco non parlarne, ci ho già pensato abbastanza... Ti racconto tutto appena sto meglio, promesso.»

«D'accordo, tranquilla.»

«Sono lì per le 9:30, può andare?»

«Ti aspetto quando vuoi. E porta dietro la roba per dormire, non ti lascio da sola stanotte.»

«Okay, grazie...» Rispose e dopodiché attaccò.


Dieci minuti dopo qualcuno suonò al campanello, non ci misi molto a capire che si trattava di Sid.
Aprii la porta e lei mi guardò con i suoi occhi azzurri persi nel vuoto.

«Avevi detto che potevo venire quando volevo...» disse, scoppiando in lacrime.

L'abbracciai immediatamente, non potevo minimamente immaginare come potesse sentirsi, a me non era mai capitata una cosa del genere, o meglio, una volta si, ma pur sempre nulla di così serio.
Non riuscii a capire come Alex avesse potuto fargli una cosa del genere.
Si amavano, si amavano sul serio.
Tutta la scuola lo sapeva... E ora era tutto finito.

«Hai già in mente qualche vendetta delle tue?» le chiesi non appena si fu calmata e ci fummo sistemate sul letto.

Scoppiò a ridere con gli occhi ancora gonfi e io sorrisi. Era sempre bello far sentire bene qualcuno dopo una giornata storta.

Parlammo per un sacco di tempo e fui più che sicura di averla distratta almeno un po'.
Tra una risata e un pianto, Sid si addormentò e io dopo di lei.

«Devi cercare meglio, ma proteggi Ethan. Lui non merita di scoprire la crudele verità... È solo un bimbo, proteggi tua fratello, Mia.»

Era la voce di mio padre.
Mi svegliai di soprassalto e guardai l'ora. Erano le 6:30 di mattina.
Quel giorno almeno non avrei rischiato di fare ritardo.

BEDTIME STORYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora