6.

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Quel pomeriggio Sidney era tornata a casa con me e, dopo aver fatto una merenda veloce, ci eravamo recate in camera per finire di studiare alcune cose.

«Okay, direi che è arrivato il momento di fare una pausa e raccontarmi cosa cavolo sta succedendo tra te e Noah.» Mi disse dopo neanche 10 minuti da quando aveva aperto il libro.

«Sidney! Sei imbarazzante, abbiamo appena iniziato!» dissi ridendo.

Ma lei rimase impassibile e alzò il sopracciglio in attesa di una risposta.

Le raccontai in fretta quanto era successo fino a quando eravamo rimasti in silenzio ad ascoltare il concerto di Beethoven, che, purtroppo, non eravamo riusciti a finire.

«E a proposito di violino» aggiunsi, «io entro stasera devo anche suonare, quindi muoviamoci a finire questi cavolo di logaritmi.»

Ma Sidney non sembrò curarsene perché continuò incessante a farmi domande su domande. Alcune davvero stupide, tipo se Noah mi avesse già chiesto di uscire. "Certo che sei brava a farti dei film, dovresti fare le regista" le avevo risposto.

Dopo aver ottenuto tutte le risposte desiderate, Sid sembrò convinta e tornammo a studiare. In un'oretta io avevo finito e lei non ne volle più sapere di andare avanti, visto che le
mancavano ancora cinque esercizi.

«Puoi copiarli da me, se dopo mi prometti che mi lasci studiare un po' violino» le dissi.

«E va bene rompiscatole, tanto avevo intenzione di giocare con tuo fratello» mi rispose.

Ethan e Sid erano sempre andati d'accordo. Quando mio fratello era nato, noi due avevamo 7 anni e lei sembro affezionarsi subito al piccolino.
Era sempre stata figlia unica, anche se da tempo desiderava un compagno di giochi. I suoi però non l'avevano mai accontentata, sebbene si amassero tantissimo, le ripetevano da anni che le bastava lei e che un altro figlio sarebbe stato troppo difficile da mantenere, visto che suo papà lavorava nell'esercito e non era mai a casa. Per soddisfarla a metà, le avevano regalato un bellissimo Labrador, che Sidney aveva chiamato Sherlock in mio onore (ero una fanatica di Arthur Conan Doyle).
Fatto sta, che ogni volta che mia madre era fuori casa, Sid passava puntualmente a da me per aiutarmi a tenere Ethan. Da lì avevano cominciato a trovarsi in sintonia, e Sidney era ormai una di famiglia. Ora Ethan aveva 10 anni, e nonostante stesse entrando in un età un po' scontrosa, non aveva mai smesso di volere bene alla mia amica come a una sorella.

Mentre Sid finiva di fare in compiti, io tirai fuori la mia custodia rossa e iniziai ad applicare la pece sull'archetto. Estrassi il violino e montai la spalliera, che dopo un secondo fece uno scatto e si ruppe.

«Cavolo!» esclamai facendo sobbalzare Sidney. «Questa proprio non ci voleva! Scusa Sid, vado un secondo in cantina a prendere quella vecchia».

«Okay», fece lei.

Scesi le scale e accesi la luce nel seminterrato. Quel posto era davvero incasinato, c'erano scatole sparse ovunque e vecchi oggetti appoggiati dappertutto. In mezzo a quella confusione trovai finalmente la mia vecchia custodia di tela verde di quando ero piccola, incastrata in mezzo ad alcune scatole. Quando la estrassi, si levò in aria una nuvola di polvere che evidenziò ancora di più il fascio di luce che entrava dalla piccola finestra. Mi tappai il naso per evitare di respirare gli acari, visto che soffrivo d'asma. Tirai fuori la vecchia spalliera e feci per rimettere a posto la custodia, quando urtai contro una scatola che cadde a terra. D'istinto mi portai la mano davanti alla bocca, poiché pensavo contenesse qualche prezioso bicchiere o un set di tazzine di mia madre, ma mi rilassai non appena realizzai di non aver sentito alcun suono di vetro infranto. La presi e adagiandola sulle assi di legno, notai la scritta blu Mia che spiccava sul colore spento del cartone. Era chiusa con dello scotch e, nonostante la curiosità, decisi di nasconderla lì sotto per poi aprirla non appena fossi rimasta da sola.

Quando tornai di sopra, Sidney non era più in camera e immaginai fosse già stata catturata da mio fratello. Ne ebbi la conferma quando spostai le tende blu dalla finestra per far entrare un po' di luce e la vidi in giardino giocare a pallone con Ethan.
Posizionai il leggio davanti alla finestra e iniziai a fare qualche scala per scaldarmi.
Studiai la prima Sonata di Bach che avrei dovuto portare a lezione quella settimana e quando ebbi finito, adagiai sul leggio lo spartito del concerto di Beethoven. Era molto complesso per i miei standard, ma ero già riuscita a leggerne qualche spezzone.
Rimasi in silenzio per qualche battuta, immaginando le lente note dell'orchestra che entrava sui colpi ribattuti dei timpani.
Iniziai a suonare quando toccò al mio ingresso e mi immersi in quella magica atmosfera che avevo creato; le mie dita scorrevano sulle fragili corde del violino e costruivano, nota dopo nota, quel pezzo di storia che era il concerto di Beethoven.
Continuai a studiarlo fino a quando mi accorsi che stava calando il sole. Adagiai il violino nella custodia, dopo averlo pulito dalla pece che era rimasta sulle corde e allentai l'archetto.

Andai fuori a chiamare i due che non si erano ancora stancati e gli dissi che era ora di tornare in casa, iniziava a fare freddo. 

«Mia, Sid può fermarsi a cena da noi? Ti prego...» chiese mio fratello con tono importante. 

«Devi chiederlo a lei e alla mamma, non sarò certo io a dirti di no; ma prima vai a fare una doccia e copriti, che rischi di ammalarti» risposi scompigliandoli i capelli rossicci sudati. Le sue guance erano rosse come due peperoni e spiccavano sul suo viso insieme alle piccole lentiggini.

«Okay» disse sorridendo e correndo veloce in casa.

«Grazie come sempre per esserti occupata di lui Sid», le dissi.

«È un piacere, penso che se fosse un po' più grande lo sposerei» disse scherzosa.

Mentre tornavamo in casa presi il telefono che avevo lasciato a caricare in salotto. 

«Oh guarda, ti è arrivato un nuovo messaggio».

Sidney aveva ragione, avevo ricevuto un nuovo messaggio da un numero sconosciuto.
Lo aprii:

Sidney mi ha dato il tuo numero, volevo solo farti avere il mio. Non prendertela con lei, ho insistito io per averlo.

Ci vediamo in giro,
N

«Che significa?» le chiesi.

«Significa quello che c'è scritto, mi ha chiesto il tuo numero e mi faceva quasi pena quindi alla fine ho ceduto e gliel'ho inoltrato.»

«E perché ti avrebbe fatto pena?»

«Perché è chiaramente interessato a te.»

«È ridicolo.» Risposi convinta.

«Staremo a vedere... Non rispondi al messaggio?» mi disse con tono provocativo.

«No.»

Quella sera Sidney rimase a cenare con noi. A tavola parlammo nel più e del meno, mia madre voleva sapere come andava a scuola e quali progetti interessanti ci sarebbero stati quest'anno, l'ultimo anno. Chiese anche a Sid se avesse già delle idee su cosa fare dopo e lei rispose che era indecisa, anche se in questo periodo non era molto attratta dal college ed era più propensa a trovare un lavoretto per iniziare ad avere una sua indipendenza economica.

Quando finimmo di cenare, la accompagnai alla porta e le chiesi se avesse bisogno di un passaggio, ma lei rispose che a quell'ora sarebbe passato ancora l'autobus e avrebbe potuto benissimo prendere quello.
La salutai e mi recai in cucina per aiutare mia mamma nel mettere a posto.

«Notte mamma, io vado a letto», le dissi non appena finimmo.

«Buonanotte Mia» rispose lasciandomi un bacio sulla fronte.

Feci per salire in camera quando mi ricordai della scatola. Scesi nel seminterrato facendo meno rumore possibile, anche se risultava piuttosto difficile visto quanto scricchiolavano le scale di legno.
La trovai dove l'avevo lasciata e la aprii.
Non ebbi neanche il tempo di realizzare cosa contenesse che la lampadina si fulminò. Tirai fuori il telefono dalla tasca dei jeans e accesi la torcia.
Lettere bianche erano ammassate una sopra l'altra.

Ne preso una e la girai:

Aprila quando avrai sciolto tutti i nodi e scoperto la verità.

Era la calligrafia di mio padre.

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