A come amicizia

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Non è forse anche questo amore?

Me ne stavo lì, seduta su una sedia, ad aspettare che il Prof mi raggiungesse. Come ogni lunedì, ero in ambulatorio. Indossavo il camice lindo, stetoscopio in tasca (come ogni chirurgo o aspirante tale) e penna in mano. Ero pronta per affrontare un'altra giornata da studentessa di medicina in procinto di raggiungere il primo, solo il suo primo obiettivo.

-Dottoressa ?- mi chiamò un signore. Sollevai gli occhi dal cellulare e sorrisi all'uomo. Anche se non ero nessuno lì dentro, era complicato spiegare ogni volta che quell'appellativo non era adatto a me, così accettavo ogni volta quel "Dottoressa", sperando che un giorno lo sarei diventata sul serio.

-Mi dica.- lo conoscevo. Frequentavo quel reparto e quell'ambulatorio da tanto tempo, tanto da riconoscere i pazienti abituali.

- Il Dottore tarderà molto?- negai, alzando le spalle. Era una domanda a cui non avevo risposta. – Posso chiederle di far sedere il mio amico? Fuori non ci sono più sedie.- gli sorrisi.

-Ma certo, si accomodi pure lei.- e dopo tanti dinieghi, accettò una sedia, la mia, anche per lui.
Li guardai. Venivano ogni lunedì. Due signori di settant'anni più o meno, uno dei quali, il nostro paziente, soffriva di quella malattia di cui tanti della sua età soffrono.

- Sa, ci conosciamo da una vita.- mi disse a un certo punto. All'inizio pensavo fossero fratelli, quando invece il mio professore mi aveva detto che dietro quei due signori che venivano praticamente ogni lunedì c'era una storia diversa e, forse, molto più bella. – Lo conobbi quando avevo diciotto anni. Mi trasferii per cercare lavoro. Sa, Dottoressa, prima era diverso. Partivi, non sapevi cosa trovavi, chi trovavi e non potevi tornare. I soldi li avevi solo per il biglietto di andata, mica per quello di ritorno.- li guardai. Come erano da giovani? Pensai a tutti quei ragazzi che giungevano dall'Africa. Anche per loro era così? – Mi ero trovato una stanza in palazzo brutto, in un quartiere poco raccomandabile, ma quello potevo permettermi. Dovevo ringraziare uno del mio Paese che aveva vissuto lì prima di me e che mi aveva lasciato in "eredità" quel buco. Avevo paura, mi sentivo solo, non avevo niente. Poi però il giorno dopo, quando arrivai a lavoro mi misero di fianco a lui. Io non parlavo con nessuno, non alzavo mai la testa dal bancone. Lui parlava, parlava, non stava mai zitto. Ha continuato per giorni, settimane, fino a quando io non ho iniziato a rispondere alle domande. Così siamo diventati amici. Io avevo diciotto anni, lui venti e da allora non ci siamo mai separati.- mi sorrideva, orgoglioso e felice di quell'amicizia che durava da anni e che, ne ero convinta, non avrebbe mai avuto fine.

-Me lo ricordo quel giorno.- si intromise l'altro. – Lo so che spesso non ricordo nemmeno il tuo nome, ma di quel giorno mi ricordo tutto. Avevi un camice blu con le toppe sulle ginocchia e i capelli ricci ricci come non ne avevo mai visti e stavi zitto.- si strinsero la mano, complici come sempre.

- Mi manchi.- gli rispose.

Sapevo che la malattia peggiorava e ogni giorno si portava un pezzetto della loro vita. Facevo fatica a trattenere le lacrime, ma non potevo piangere, non di fronte a loro. E poi volevo arrivare alla fine della storia.

- Non ha nessuno. Aveva una moglie ma è morta tanti anni fa, come la mia, ma mentre a me la vita ha donato dei figli a lui no. E ora è solo e ha bisogno di me e io di lui. Quando non parla, quando è perso nel suo mondo, parlo io per lui, come lui faceva con me quei primi giorni.- come si faceva a non piangere? Respirai rumorosamente, mentre il Prof, giunto in mio soccorso, mi lasciava una carezza sulla spalla.

-Te l'avevo detto che avevano una storia meravigliosa da raccontare.- annuii tremante, incapace di parlare.

- Su, si comincia.- mi avvisò.

- Dottoressa, le auguro nella vita di trovare delle persone come lui.- disse il nostro paziente.

- E come lui.- gli fece eco l'amico.

Poi li vidi uscire dalla stanza per far posto al primo paziente della giornata.
Sorrisi. Lo speravo anche io.


Lo so, vi avevo promesso una storia d'amore e vi presento questa cosa. Liberi di mandarmi a quel paese, ma io ci tengo così tanto a queste poche parole che ho deciso di pubblicarle anche qui, come inizio di questa prova. Perché? Perché quella ragazza in camice sono io e quei due signori esistono sul serio. La loro storia non la conosco, ma sono sicura che sia molto più bella di questa.

Vi lascio e vi ringrazio. 

Vi invito, nell'occasione, a leggere l'altra storia che sto pubblicando qui. SI chiama "UN PRINCIPE SOTTO COPERTURA" e ho un disperato bisogno di ricevere commenti e opinioni. Grazie mille.

Un bacio e alla prossima.

Amore in corsiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora