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Sotto la porta, l'illuminazione va e viene nella semioscurità. Le luci fluorescenti erano accese quando mi sono addormentata, ma ora è tutto buio e c'è soltanto un fascio di luce lunare che entra dalle finestre. La luce che oscilla nella fessura sotto la porta sembra una torcia elettrica che va avanti e indietro. O è entrato un intruso con delle torce elettriche o mia madre ne ha accesa una quando è andata via la corrente. Qualcuno di sicuro si trova lì.
Non è che mia madre non si renda conto dei rischi che corre. È tutt'altro che stupida. È solo che per le sue paranoie ha paura più dei predatori soprannaturali che di quelli umani. Quindi, qualche volta, farsi luce per allontanare il male per lei è più importante che sfuggire ai comuni mortali. Sono proprio fortunata.
Nonostante le catene e lo sforzo di trascinare il carrello metallico, l'angelo si dirige verso la porta con l'agilità di un gatto.
Le sue bende bianche sulla schiena, oscurate dal buio, assomigliano ai disegni di Rorschach. Forse è abbastanza forte da rompere un rotolo di nastro adesivo, però è ancora ferito e sanguinante. Potrà combattere là fuori contro una mezza dozzina di teppisti di strada, così disperati da gironzolare di notte?
Tutt'a un tratto desidero non averlo incatenato. Con molta probabilità chiunque sia l'intruso non è da solo, non di notte.
«Ehilà» dice scherzosamente un uomo ad alta voce, nell'oscurità. «C'è nessuno?» L'atrio è moquettato e non ho idea di quanti ce ne siano finché non sento un gran trambusto da varie direzioni.
Dov'è mia madre? Ha avuto il tempo di fuggire e nascondersi? Do un'occhiata alla finestra. Non sarà facile romperla, ma se erano in grado di farlo i membri della banda, allora avrei dovuto riuscirci anch'io. Sicuramente per me è abbastanza larga da attraversare con un salto. Ci troviamo al pianterreno, grazie a dio, se ce n'è rimasto ancora uno.
Spingo contro il vetro per valutare quanto sia resistente. Ci vorrebbe un po' per romperlo. E poi il rumore risuonerebbe in tutto il palazzo se mi metto a battere contro la finestra.
Fuori, i teppisti si chiamano l'un l'altro. Fischiano e urlano, sfondano le porte e rompono tutto. Lo fanno per noi, per assicurarsi che saremo mansueti e terrorizzati quando ci troveranno. Dal baccano che fanno si intuisce che ce ne sono almeno sei.
Guardo ancora l'angelo. È intento ad ascoltare. Forse sta calcolando quante probabilità ha di salvarsi. Così ferito e incatenato a un carrello metallico, la sua probabilità di seminare una banda di teppisti è pari a zero.
Se la banda sarà attirata dal rumore della finestra che sto per rompere, saranno tutti concentrati sull'angelo non appena lo vedranno. Sarebbe la famosa miniera d'oro e loro i fortunati minatori. Io e mia madre potremmo approfittare di quel caos per scappare. E dopo? Se l'angelo muore non potrà dirmi dove si trova Paige.
Forse la banda si limiterà a fare razzia di cibo in cucina e se andrà. Un urlo di donna squarcia il silenzio della notte.
Mia madre.
Si sentono uomini che urlano. Sembrano divertiti, nello stesso modo in cui un branco di cani potrebbe esserlo se avesse circondato un gatto.
Prendo una sedia e la sbatto contro la finestra. Si sente un enorme botto e la sedia si piega, ma il vetro non si rompe. Voglio distogliere l'attenzione il più possibile, sperando che con quel rumore si dimenticheranno di mia madre. Do un'altra botta. E un'altra ancora. Provo disperatamente a rompere il vetro. Lei urla di nuovo. Le grida giungono alle mie orecchie. L'angelo prende il suo carrello e lo getta contro la finestra. Il vetro si frantuma in mille pezzi. Mi rannicchio, anche se un angolo remoto della mia mente è consapevole che l'angelo si è spostato, utilizzando il proprio corpo come scudo per bloccare le schegge che mi avrebbero colpita. Qualcosa batte forte contro la porta chiusa a chiave del nostro ufficio. La porta sbatacchia ma la serratura resiste.
Afferro il carrello e lo spingo fino al davanzale per aiutare l'angelo a uscire.
La porta viene sfondata e scardinata dalla parete.
L'angelo mi landa una dura e fugace occhiata.
«Scappa.» Salto giù dalla finestra.
Comincio a correre. Faccio subito il giro del palazzo in cerca dell'entrata secondaria o di una finestra rotta da cui passare. Penso a cosa sta succedendo a mia madre, all'angelo, a Paige. Ho una voglia matta, quasi irrefrenabile, di nascondermi e raggomitolarmi dietro un cespuglio. Per chiudere gli occhi, tapparmi le orecchie, spegnere il cervello, e rimanere lì finché non esisterà più niente.
Cacao le orribili immagini di urla in un luogo buio e silenzioso della mente, che ogni giorno diventa più profondo e pieno. Prima o poi le cose che ho infilato là dentro traboccheranno e mi contageranno tutta. Forse sarà il giorno in cui la figlia diventerà tale e quale alla madre. Fino ad allora, ho ancora il pieno controllo di me stessa.
Non devo allontanarmi troppo per trovare una finestra rotta. Considerando quante volte ho sbattuto contro la mia finestra pur non riuscendo a romperla, detesto pensare a quanto debba essere molto più forte il tizio che ha rotto questa. Ciò non mi rincuora molto visto che devo rientrare di soppiatto nell'edificio.
Corro da un ufficio all'altro, da una postazione all'altra, chiamando sottovoce mia madre.
Trovo un uomo a terra nel corridoio che porta alla cucina. È a petto nudo e gli è stata strappata la camicia. Dalla carne sporgono cinque coltelli, infilzati in forma circolare. Qualcuno ha disegnato un pentacolo con il rossetto in polvere rosa mettendo i coltelli all'estremità delle punte. Il sangue gorgoglia da ciascun coltello. L'uomo ha gli occhi sbarrati è in stato di shock, mentre fissa il suo petto deturpato come se fosse incapace di credere che abbia qualcosa a che vedere con lui.
Mia madre è salva.
Vedendo ciò che ha fatto a quest'uomo non posso non chiedermi se sia una cosa buona. Ha mancato appositamente il suo cuore e l'uomo morirà dissanguato, lentamente.
Se fossimo tornati al vecchio mondo, a prima della guerra, avrei chiamato un'ambulanza nonostante il fatto che fosse stato aggredito da mia madre. I dottori l'avrebbero rimesso, in sesto, e lui avrebbe avuto tutto il tempo che gli occorreva per guarire in prigione. Ma sfortunatamente per tutti noi, questo è il mondo del dopoguerra. Gli giro intorno e lo lascio alla sua lenta morte.
Con la coda dell'occhio vedo di sfuggita un'ombra di una figura femminile che esce furtivamente da una porta laterale. Si ferma prima che la porta si chiuda e si gira indietro a guardarmi. Mia madre muove convulsamente la mano con cui mi fa segno di seguirla. Avrei dovuto unirmi a lei, Faccio due passi, però non riesco ad ignorare i grugniti e il fragore della battaglia all'ala opposta dell'edificio.
L'angelo è circondato da una banda di sbandati dallo sguardo omicida.
Ce ne dovevano essere almeno dieci. Tre sono riversi agli angoli più inaspettati oltre il cerchio della lotta, privi di sensi o morti. Altri due stanno prendendo batoste dall'angelo mentre questo maneggia il carrello come se fosse un'enorme mazza ferrata. Ma persino da qui, persino al fioco fascio del chiaro di luna che penetra dalle porte di vetro, riesco a vedere le macchie cremisi che gli colano dalle bende. Quel carrello deve pesare una cinquantina di chili. L'angelo è visibilmente esausto e gii altri sono pronti ad attaccare per finirlo. Nella disciplina del dojo mi sono allenata con più avversari e la scorsa estate sono stata una delle assistenti agli istruttori del corso avanzato di autodifesa 'contro gli aggressori multipli'. Eppure non ne ho mai combattuti più di tre alla volta. E nessuno dei miei avversari ha mai voluto uccidermi sul serio. Non sono abbastanza stupida da pensare che posso competere con quei sette tizi contando sull'aiuto di un angelo menomato. Il cuore tenta di uscirmi dal petto al solo pensiero.
Mia madre mi fa di nuovo cenno di seguirla verso la liberta. Qualcosa si schianta sul lato opposto dell'atrio seguito da un grugnito di dolore. A ogni colpo inferto all'angelo sento che Paige mi sta scivolando via.
Con la mano faccio cenno a mia madre di andarsene e con le labbra mimo la parola 'vattene'. Lei mi fa ancora cenno, questa volta più convulsamente. Scuoto la testa e con la mano le faccio segno di andare via. Entra furtivamente nell'oscurità e scompare dietro le porte che si chiudono.
Vado di corsa verso lo schedario accanto alla cucina. Rifletto velocemente sui pro e i contro di utilizzare la spada dell'angelo e decido di non farlo. Con quest'arma potrei tranciare in due una persona, però senza allenamento sono sicura che me la leverebbero subito di mano.
Quindi prendo le ali e la chiave del lucchetto della catena. La ficco nella tasca dei miei jeans e srotolo in fretta le ali. La mia unica speranza è che la paura e il desiderio di sopravvivere della banda saranno dalla mia parte. Prima che il mio cervello possa riprendere a funzionare e mi dica che idea strampalata e pericolosa sia questa, mi precipito versò il corridoio buio dove il chiaro di luna è abbastanza intenso da disegnare il mio profilo e in controluce, ma non abbastanza da mostrare i dettagli.
La banda ha circondato l'angelo. Risponde agli attacchi, ma loro si sono resi conto che è ferito - per non parlare del fatto che è incatenato a uno strano e pesante carrello - e non si arrenderanno ora che hanno fame di sangue. Incrocio indietro le braccia e tengo le ali dietro la schiena. Tremolano. E come tenere alta l'asta della bandiera con le braccia contorte. Aspetto finché riesco a tenerle ferme, poi avanzo.
Spero con tutta me stessa che al buio le ali sembrino a posto, e do un calcio a un tavolo di fianco, sul quale c'è un vaso che, dopo tutto quel trambusto, è rimasto sorprendentemente intatto. Quell'inaspettato fragore attira la loro attenzione.
Per un istante, rimangono tutti in silenzio a guardare la mia scura sagoma. Prego tutto ciò che è sacro e profano di sembrare un Angelo della Morte. Se ci fosse stata più luce avrebbero visto una ragazzina scheletrica che prova a tenere alte dietro la schiena delle ali enormi. Ma è buio, e loro per fortuna vedono l'unica cosa che gli fa raggelare il sangue.
«Cosa abbiamo qui?» chiedo in quello che spero sia un tono molto sarcastico.
«Michele, Gabriele, venite a vedere» grido alle mie spalle come se ce ne fossero altri come me. Michele e Gabriele sono gli unici nomi di angelo che mi sono venuti in mente.
«Le scimmiette a quanto pare ora credono di poter attaccare uno di noi.» Gli uomini si irrigidiscono. Mi fissano tutti, In quel momento, mentre trattengo il fiato, le possibilità di successo rotolano intorno alla stanza come la pallina della roulette.
Poi accade qualcosa di davvero brutto. La mia ala destra scivola nella mia mano. Nella fretta di raddrizzarla, mi agito per prenderla meglio, ma ciò non fa che attirare maggiore attenzione sull'ala non appena questa comincia a oscillare su e giù.
Nel lungo istante prima che tutti assimilino quello che è appena successo, vedo l'angelo roteare gli occhi verso il cielo, come un adolescente totalmente sfiancato. Alcune persone non hanno proprio il senso della gratitudine.
L'angelo è il primo a rompere il silenzio. Solleva il carrello e lo scaglia contro i tre tizi davanti a lui, mandandoli a terra. Altri tre, invece, vengono verso di me. Faccio cadere le ali e scappo alla loro sinistra. Quando si combatte contro aggressori multipli il trucco è quello di evitare di lottare contro tutti simultaneamente. A differenza di quanto si vede nei film, gli aggressori non aspettano in fila di darti un calcio nelle chiappe; voglio saltarti addosso tutti insieme come un branco di lupi. Saltello in un semicerchio intorno a loro finché il tizio che mi è più vicino si trova in mezzo agli altri due. Ai teppisti occorre solo un secondo per correre intorno al loro amico, ma questo breve lasso di tempo mi basta per dargli un bel caldo all'inguine. Lui si piega in due, e sebbene muoia dalla voglia di dargli anche una ginocchiata in faccia, i suoi amici mi precedono.
Saltello all'altro lato del tipo piegato in due, facendo cadere gli altri indietro e in fila, per girargli intorno. Faccio lo sgambetto al tipo ferito, che cade subito sul picchiatore di donne numero due. Il tizio rimasto si lancia su di me e rotoliamo a terra in una lotta corpo a corpo per tentare di avere la meglio sull'altro. Finisco sotto di lui. È più pesante di me di una cinquantina di chili, però questa è una posizione su cui mi sono allenata migliaia di volte.
Gli uomini tendono a combattere contro una donna in maniera diversa rispetto a quando lo fanno contro quelli del loro stesso sesso. La maggioranza schiacciante delle lotte tra uomini e donne comincia con l'uomo che tenta di attaccare da dietro, e quasi subito termina a terra con la donna sotto di lui. Quindi una brava lottatrice deve sapere come guardarsi le spalle. Mentre lottiamo, libero la gamba per farmi leva. La punto contro di lui. Poi lo capovolgo da un lato con un colpo di bacino.
Si gira di schiena. Prima che possa riprendere l'equilibrio, gli mollo una tallonata sull'inguine.
Mi alzo in un baleno e prima che si riprenda gli do un calcio in faccia. Il calcio è talmente forte che la sua testa oscilla avanti e indietro. «Ben fatto.» L'angelo sta in piedi a osservare al chiaro di luna dietro il suo maledetto carrello.
Intorno a lui ci sono i corpi lamentosi dei nostri intrusi. Alcuni sono talmente immobili che non so dire se siano vivi. L'angelo annuisce in segno di apprezzamento come se stesse vedendo qualcosa che gli piace. Mi concedo una lavata di capo tra me e me non appena mi rendo conto di essere contenta della sua approvazione.
Un tizio si alza barcollando e corre verso la porta. Si tiene la testa tra le mani quasi impaurito che si stacchi dal corpo. Come se quello fosse il loro segnale, altri tre si alzano ed escono dalla porta inciampando senza guardarsi indietro. Gli altri teppisti giacciono a terra.
Sento una risatina e mi rendo conto che proviene dall'angelo. «Sei ridicola con quelle ali» dice. Il suo labbro sanguina, come pure un taglio che ha sopra l'occhio. Tuttavia, appare rilassato con un sorriso che gli illumina il viso.
Tiro fuori dalla mia tasca la chiave del lucchetto della catena e gliela lancio. L'angelo la prende pur essendo ancora incatenato. «Andiamo fuori di qui» dico. Il tono è meno insicuro rispetto a come mi sento. La scarica di adrenalina che ho dopo là lotta mi ha letteralmente fatto venire i brividi. L'angelo si libera, si sgranchisce e fa scrocchiare i polsi. Poi toglie una camicia di jeans dai tizi che si lamentano a terra e me la getta. La indosso con riconoscenza anche se è di diverse taglie più grande.
L'angelo torna nell'ufficio dirigenziale mentre io arrotolo velocemente le ali nella coperta. Corro verso lo schedario per prendere la spada, poi lo incrocio all'atrio non appena torna indietro con il mio zaino. Lego la coperta allo zaino tentando di non stringerla troppo forte sotto il suo sguardo fisso e me lo metto sulle spalle. Vorrei tanto avere uno zaino per lui, ma in ogni caso non sarebbe in grado di portarlo sulla sua schiena insanguinata.
Quando vede la spada il viso si apre in un meraviglioso sorriso come se si trattasse di un amico ritrovato dopo molto tempo invece che di un bel pezzo di metallo. Il suo sguardo di pura gioia per un istante mi toglie il fiato. È uno sguardo che credevo di non rivedere più sul viso di qualcuno. Ho il cuore più leggero solo a stargli accanto.
«Per tutto questo tempo hai tenuto la mia spada?»
«Ora è la mia.» La mia voce si fa più roca di quanto lo richieda la situazione. La sua felicità è così umana che per un attimo ho dimenticato chi è veramente. Affondo le unghie nel palmo della mano perché mi ricordino di non farmi sfuggire dalla mente ciò che mi è successo.
«Tua? Ti piacerebbe» dice lui. Ciò che vorrei è che smettesse di sembrare così dannatamente umano.
«Hai idea di quanto lei mi sia stata fedele in tutti questi anni?»
«Lei? Non sarai mica uno di quelli che danno il nome alle loro auto o alle tazze del caffè, vero? È un oggetto inanimato. Lascia stare.» L'angelo allunga il braccio per prendere la spada e io indietreggio non avendo alcuna intenzione di dargliela.
«Cosa vuoi fare? Combattere?» chiede. Sembra quasi che stia per scoppiare a ridere.
«Cosa vuoi farci?» Sospira, visibilmente stanco.
«Usarla come gruccia, cosa pensi?» C'è un momento in cui si intuisce che presto verrà presa una decisione. La verità è che non gli serve la spada per colpirmi ora che è libero e si regge in piedi. Avrebbe potuto già prenderla, e lo sappiamo entrambi.
«Ti ho salvato la vita» dico. Inarca un sopracciglio.
«Discutibile.»
«Due volte.»
Alla fine abbassa la mano che aveva allungato per prendere la spada.
«Non me la ridarai, vero?»
Prendo la carrozzina di Paige e infilo l'arma nella sua tasca posteriore. Fintanto che è stanco di discutere, farei meglio a mantenere il controllo. È davvero esausto o ha deciso di lasciarmela portare come se fossi il piccolo scudiero di un cavaliere. Dal modo in cui guarda la spada con un mezzo sorriso presuppongo che sia la seconda.
Giro la sedia a rotelle di Paige e la spingo fuori.
«Non credo che avrò più bisogno di questa sedia» dice l'angelo. Sembra esausto e ci scommetto che non si rifiuterebbe se mi offrissi di spingerlo in carrozzina. «Non è per te. Serve a mia sorella.» Rimane in silenzio mentre camminiamo nella notte, e so che pensa che Paige non rivedrà più la carrozzina. Per quanto mi riguarda, può andare al diavolo.

Angel FallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora