Capitolo 3

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La luce artificiale, costantemente accesa, filtrava dalla tenda della mia stanza.

Il fatto di avere la luce sottoterra e l'acqua nelle abitazioni, era dovuto al fiume che attraversava la nostra città, posto all'ultimo livello delle fondamenta di un palazzo chiamato Empire State Building, costruito agli inizi del 1930. I nostri ingeneri hanno lavorato per parecchi anni prima di riportare in piena funzione le pompe che gli Esterni utilizzavano tutto il giorno per smaltire l'acqua che si accumulava in questo livello, riutilizzandole sia come sistema idraulico che, sfruttando la forza dell'acqua, come sistema elettrico.

Molti dei nostri cittadini lavoravano lì, insieme ai soldati del generale Stone che si assicuravano che nessuno manomettesse l'impianto.

Una volta, nello studio di mio padre, trovai dei libri che parlavano della nostra città sotterranea come di un mito, un mistero. Forse non si aspettavano che un giorno, sarebbe diventata il rifugio di migliaia di sopravvissuti, ma chi l'aveva progettata forse si.

Mi stiracchiai nel letto e mi soffermai a ripensare alla sera precedente

<<Accidenti!>> sospirai e mi coprii gli occhi desiderando di tornare a dormire, ma non era possibile, quel giorno dovevo andare in visita all'ospedale cittadino, in rappresentanza di mio padre per visitare alcuni dei soldati tornati da una missione esterna che erano rimasti gravemente feriti.

Guardai la sveglia vicino al comodino e mi accorsi di essere in perfetto ritardo.

Scostai le coperte e corsi in bagno a prepararmi, indossai un abito adatto all'occasione e mi precipitai fuori dalla porta, andando a sbattere contro qualcuno.

Alzai lo sguardo pensando fosse mio fratello, ma inspirai quando mi accorsi di chi era

<<John, cosa ci fai qui?>>

Lui mi sorrise <<Buongiorno Allison, sei in ritardo>>

Indossava l'uniforme, e mi ritrovai a fissare i suoi occhi scuri.

Con una smorfia presi a percorrere il corridoio

<<Lo so, per questo devi scusarmi se non posso fermarmi a parlare con te>>

Lo sentii ridere dietro di me <<Non c'è problema, avremo il tempo di parlare tra poco, oggi vengo con te, tuo padre mi ha chiesto di farti da scorta oggi>>

Mi bloccai in mezzo al corridoio per assicurarmi di aver capito bene, così mi girai per affrontarlo ma lui mi afferrò per le spalle e mi attirò verso di sé per baciarmi.

Rimasi un attimo impietrita tra le sue braccia, poi mi rilassai al contatto con le sue labbra e mi abbandonai contro di lui.

Poco dopo mi scostò da sé e mi sorrise <<Ora possiamo andare>>

Gli sorrisi anch'io ma mi affrettai a guardarmi intorno, nel caso qualcuno ci avesse visto, ma fortunatamente non c'era anima viva.

Mi diede una leggera spinta verso la porta esortandomi a proseguire.

Percorremmo una parte del tunnel, dove i fari posti in alto seguivano i nostri passi illuminandoci il cammino e spegnendosi subito dopo il nostro passaggio, una cosa superflua, dato che potevamo vedere al buio, ma più che altro un modo per ricordarci com'era la luce all'esterno.

Arrivammo nei pressi dell'ospedale, situato vicino alla centrale elettrica, a circa 20 metri dalla superficie, sopra la nostra testa un tempo sorgeva la Grand Central Station.

All'ingresso dell'ospedale, una giovane infermiera ci venne incontro e prima di rivolgersi a me fece un sorriso in direzione di John.

<<Ciao John che piacere vederti, cosa fai da queste parti?>>

Mi fermai ad osservarla, il tono che aveva usato era un po' troppo famigliare e la cosa mi infastidì.

Aveva lunghi capelli castano chiari e occhi chiari, nel complesso una bella ragazza e stava maledettamente bene anche con quell'orrenda divisa di poliestere bianca.

John le sorrise calorosamente e poi indicò me con un cenno della testa

<<Sto scortando la signorina Carter, deve andare a fare visita ai soldati feriti>>

Lei si girò verso di me e con un finto sorriso di cortesia accennò un saluto nella mia direzione

<<Signorina Carter, piacere, sono Sarah, se volete seguirmi vi accompagno nel reparto dove si trovano i soldati ricoverati>>

Non appena si girò, scimmiottai il suo "cortese" saluto e John si avvicinò al mio orecchio sussurrandomi <<Gelosa?>> poi ridacchiò

Il fatto che non sapessi niente di quello che aveva passato nell'ultimo anno mi rendeva nervosa e insicura, perciò non mi presi nemmeno la briga di rispondergli e continuai a camminare seguendo miss gambe lunghe all'interno del reparto.

L'odore di medicinali, disinfettante e di sangue mi diede la nausea, ricordando al mio stomaco che quella mattina non avevo mangiato niente a colazione.

Nella stanza in cui entrammo erano di sposti quattro letti uno di fianco all'altro, l'occhio mi cadde sul letto più a destra, l'unico occupato, dove l'uomo che vi era sdraiato aveva gli occhi bendati e respirava affannosamente.

Doveva averci sentito arrivare però perché volto la testa nella nostra direzione.

<<Chi c'è? Chi è entrato?>> chiese allarmato

<<Tenente Malcom, sono John Stone il foglio del Generale e con me c'è Allison Carter la figlia del sindaco>>

L'uomo parve tranquillizzarsi quando riconobbe la voce di John

<<Capitano, è un piacere ed un onore per me ricevere la sua visita ed anche quella della signorina Carter>>

<<E' un piacere anche per me, Tenete Malcom>> avevo ritrovato la voce e dopo un attimo di esitazione mi avvicinai al letto dove presi la mano dell'uomo per dargli conforto.

L'uomo sussultò al contatto e mi chiesi cosa gli fosse capitato là fuori.

Miss gambe lunghe nel frattempo uscì, seguita da John e mi voltai verso di loro distogliendo lo sguardo dall'uomo, la porta scorrevole si chiuse alle loro spalle.

La presa sulla mia mano in quel momento si fece più stretta, costringendomi a riportare lo sguardo su di lui.

<<Stanno arrivando, signorina Carter, stanno arrivando e non avranno pietà di noi!!>> mi spaventai per l'improvviso scatto dell'uomo e cercai di liberare la mano.

Il suo corpo fu scosso dalle convulsioni e in quel momento riuscii a liberarmi e a schiacciare il pulsante d'emergenza per chiamare aiuto.

Nel momento esatto in cui le porte si aprirono e un team di medici ed infermiere entrava nella stanza, due braccia forti mi strinsero per portarmi al sicuro.

L'uomo si accasciò sul letto e gli allarmi del monitor a cui era attaccato presero a suonare ininterrottamente. Da sotto le bende iniziò a fluire del sangue e così anche dalla bocca, poi l'uomo morì.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 21, 2016 ⏰

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