Parte 3: Il salvataggio della Principessa

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Il mattino dopo Piut fu svegliato con un potente scossone dallo gnomo Yoppa; quindi andarono a trovare Chemonte nel cavo della quercia più imponente della foresta, all'interno della quale il mago aveva ricavato il suo laboratorio. Al centro stava un enorme calderone nero, con uno scoppiettante fuoco sotto. Alle pareti era appoggiata, appesa, raccolta un'inimmaginabile rassegna di borracce, bottiglie, pentolini, vasi, coppe, alambicchi, catonzi e altri tipi di recipienti dalle forme più bizzarre, e bacchette, bastoni, posate, mestoli, pugnali, balestre, oltre a un paio di mantelli e due grosse casse ai piedi delle due pareti più lunghe.

Chemonte era stranamente silenzioso, pensò Yoppa, e sicuramente assorto attorno al pentolone ove qualcosa bolliva con rumore sommesso. Non dissero parola, tutti e tre concentrati sul contenuto del grande recipiente nero in centro all'antro arboreo.

Infine il mago prese un mestolo lunghissimo alla sua destra, senza neanche girarsi, e lo immerse con prudenza nel liquido bollente, lo tirò fuori, scuotendolo un po' per far cadere le ultime gocce e lo portò alle labbra. Un refolo di vento era riuscito a entrare e sibilava, arrotolando le volture di fumo, e in quel mentre Piut fece istintivamente un passo indietro, paventando una magia esplosiva o una trasformazione improvvisa. Allora Chemonte assaggiò e, senza scomporsi, allungò di nuovo il mestolo nel calderone e avendolo riempito lo porse al giovane Piut, che fece uno sguardo un po' atterrito e un po' sorpreso.

- O piccolo pauroso scoiattolo della foresta, perché hai paura di un po' di minestra? Credi forse che creassi qualche sortilegio davanti ai tuoi miseri occhi? Lo stesso Yoppa, mio fido amico, seppure incostante e incosciente come una donna appena sposata, ha visto pochissimi sortilegi e soprattutto preparati nel calderone.

- Orsù, Chemonte, andiamo - intervenne Yoppa - il castello ci aspetta e una fanciulla stasera non dovrà più dormire in una fredda cella.

Chemonte si girò lentamente, prese un grosso corno di qualche strano animale di dimensioni ragguardevoli, lo appoggiò a una feritoia naturale nel tronco della quercia e riprese:

- Stanotte ho pensato al modo di entrare nel maniero. Alfine giudicai di minor pericolo e maggior possibilità di riuscita usare uno dei miei sortilegi. In effetti, è di per se stessa una notizia buona e cattiva. Partirete subito e vi troverete all'interno della torre dove si trovano le celle senza colpo ferire.

Continuando a parlare, il mago aveva afferrato dei cerchi di legno e li aveva sistemati per terra, spingendo Yoppa e Piut all'interno degli stessi; quindi, buttando della strana polvere sul fuoco, cominciò a soffiare nel grande corno. Mentre il muggito si levava imponente nella foresta, annunciò:

- La parte buona del sortilegio è che potete trovarvi in un posto qualsiasi superando guardie, mura, porte, ponte levatoi e fossati di qualsiasi genere.

Mentre aveva parlato il muggito del corno aveva continuato a farsi sentire, rimbalzando come per un'eco all'interno dell'antro, e solo quando smise, Yoppa e Piut si accorsero di non essere più nel cavo di un albero, bensì all'interno di una qualche costruzione ben fatta. Allora giunsero a loro, lontanissime, queste ultime parole:

- La parte cattiva è che non ho modo di farvi tornare indietro...

In quell'istante un rumore di passi pesanti li fece addossare al muro, nella nicchia di una finestra, ove Yoppa poté vedere che, in effetti, si trovavano su una torre e con molta probabilità proprio nella torre del castello del Barone.

Il padrone dei passi era un imponente soldato ricoperto da un usbergo di maglia metallica e uno spadone appoggiato pigramente su una spalla. Con l'altra mano si trascinava dietro, in catene, un poveraccio, probabilmente un contadino che non aveva pagato la decima o che si era rifiutato di concedere la figlia ai soldati del Barone.

Piut fece per muoversi, ma Yoppa lo trattenne per un braccio. Solo quando il soldato col suo seguito furono lontani, lo gnomo fece cenno al giovane di seguirlo e si avventurò nella direzione opposta. Scesero giù, scala dopo scala, cella dopo cella, sbirciando in tutte, nella speranza di trovarvi la principessa. Erano quasi tutte vuote, a eccezione di qualche vecchio contadino, di un paio di giovinastri e di due o tre massaie.

Nessuno però fece cenno di interessarsi al giovane e allo gnomo che passeggiavano liberamente all'interno della torre. Yoppa per un attimo aveva quasi sperato che Chemonte avesse concesso loro anche il dono dell'invisibilità, ma in quel momento una rude voce lo disilluse:

- Voi due!

Giratosi con calma, Yoppa sorrise senza timori al soldato che, a gambe larghe, lo fissava con uno sguardo bieco, le mani sul pomo della spada. Indossava un'improbabile guarnacca, probabilmente rubata a qualche mercante, ma sbrindellata e con tutti i legacci sostituiti da cordini; anche la spada aveva avuto sicuramente una bella storia, ma la lama benché lucida e curata era intaccata in più punti e aveva il cuoio dell'impugnatura liso e nero.

- Salve, o grande cavaliere - fece Yoppa, sapendo che quel soldato lì non sarebbe stato cavaliere nemmeno in cent'anni - siamo venuti a cercarvi per chiedere aiuto contro il furfante che ci ha derubato. Ci hanno indicato voi, fra i custodi della torre, come il più grande, glorioso, giusto e modesto cavaliere del contado.

- Di tutto il feudo, vorrai dire, nanerottolo - rispose l'inorgoglito soldato, tirandosi su a raddrizzar la schiena - cosa posso fare per voi?

- Potreste, se la vostra magnanimità lo consente, mostrarci qualcuno di questi lestofanti che voi avete qui nelle vostre celle, per vedere se c'è quello che ci ha derubato.

Allora il soldato, tronfio come un pavone dalla coda spennata, cominciò a portarli in giro per la torre. Al pianterreno scoprirono in una stanza fra le meno scure una giovane dalle fattezze meravigliose, e dagli abiti sicuramente non da contadina.

Fu allora che Yoppa decise di agire. Alla cella successiva, che non era molto illuminata, chiese al soldato di entrare per vedere bene in faccia il prigioniero, un grosso orco butterato. Il soldato, afferrata una torcia sollevò la sbarra che chiudeva la cella, aprì la porta e fece cenno allo gnomo di entrare.

Fulmineo come un gatto, appena anche la guardia ebbe varcata la soglia della porta, lo gnomo ruotò su se stesso, aggirò il soldato sorpreso, uscì repentino e fece cadere la sbarra sulla porta chiudendo il carceriere nel suo stesso carcere.

Mentre Piut, stupefatto più del soldato, lo seguiva automaticamente Yoppa con rapidità aprì la porta della cella di Delsole, facendo uscire la fanciulla ancora più stupefatta.

Costretto a tirarsi indietro i due giovani interdetti dal veloce andamento delle cose, Yoppa fece un po' fatica a trovare l'uscita, mentre dalla cella dell'orco arrivavano rumori e gridolini che si potevano scambiare per quelli di un incontro fra due amanti, dall'urlo iniziale al confuso mischiare di ossa.

Sali, scendi, di là, di qua.. Yoppa giunse finalmente davanti al portone centrale della torre: alzò la sbarra che lo teneva chiuso e si nascose nell'anfratto dove le guardie tenevano le alabarde.

Richiamati dalle urla del carceriere incarcerato, giunse dentro la torre un manipolo di altre guardie. Passato l'ultimo, uscirono con passo felpato, felici di aver aggirato furbescamente la soldatesca. Ma appena fuori il sorriso svanì perché una mezza dozzina di guardie era allineata davanti dalla torre, con le armi sguainate e dirette verso loro.

Il sogno di YoppaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora