[3] Ossessione ciambellosa

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"Puoi smetterla di parlare? Mi sembra di avere un alveare incastrato nei timpani" sbottai acida.

Nicole mi guardò male e riprese a conversare con il nostro vicino, imbarazzato da tutte le attenzioni che gli riservava la ragazza bionda ossigenata.

"Qualcuno qui è nervosetto" mi sorrise John.

Non risposi, per non sembrare scortese e perché lui non mi aveva mai fatto niente, non meritava l'ira di una quindicenne incazzata col mondo.

Il moro si passò una mano in testa, scompigliandosi i riccioli corvini e sbadigliando senza pudore.

"Deve essere traumatico per voi ricominciare la scuola in questo modo, lo è perfino per me dopo un solo weekend!"

"Non sai quanto, magari potresti aiutarmi a farlo diventare un po' di meno..." risponde Nicole, quasi sussurrando.

John deglutì rumorosamente tirandosi il colletto della maglia.

"Per l'amor di Dio, Nicole! Smettila di fare queste scene da gatta morta!" esclamai infastidita.

Lei mi ignorò, attorcigliandosi una ciocca del caschetto al dito. Mi sistemai meglio lo zaino e presi a camminare più veloce, alla ricerca della segreteria, dove di lì a poco mi avrebbero dato tutte le informazioni necessarie, più dei buoni pasto per la mensa scolastica.

La mattinata passò lenta e noiosa, ogni tanto mi perdevo ed ero costretta a fare giri improbabili per trovare l'aula interessata. Altre volte, invece, mi rinchiudevo in bagno, mi passavo una mano sulla faccia, esausta, e giocavo la carta del "sono nuova" per evitare le sgridate per il ritardo. Mentre camminavo per il corridoio principale e ricevevo tante di quelle spallate da farmi cascar le braccia, notai una porta socchiusa da cui proveniva un forte odore di donuts. Ora, dovete capirmi, io adoro, e quando dico adoro è adoro, le ciambelle glassate. Talmente tanto da fregarmene di una stupida targhetta che recitava "Aula Insegnanti" ed entrare chiudendomi la porta alle spalle.

Dei divanetti in pelle nera erano a ridosso della parete sinistra affiancati da due piantine, un distributore d'acqua era situato di fianco ad una piccola libreria, ed eccole lì, sopra un lungo tavolo in legno lucido, le ciambelle. Mi guardai ancora intorno, prima di accertarmi che non ci fosse nessuno e mi scagliai a ridosso del cartone ancora fumante, con il nome del negozio stampato sopra: "The Coffee Corner". Lo sollevai e feci per afferrare un dolce, quando qualcos'altro attirò la mia attenzione. Un quotidiano era poggiato poco più in là, ancora chiuso sulla prima pagina. Aggiornati le sopracciglia per poi spalancare gli occhi.

"O-omicidi..?" mi uscì dalla bocca un verso strozzato che voleva essere una parola.

Allungai una mano per prendere il giornale, ma un rumore improvviso mi sorprese, facendomi rovesciare il contenuto del cartone che avevo in mano. Un uomo in giacca e cravatta mi osservava appoggiato ad una porta che non avevo notato prima, di fianco al distributore di acqua. Mescolò la bevanda nel suo bicchiere continuando a fissarmi senza ritegno.

Aprì la bocca e con una voce grossa e gracchiante mi chiese: "Ti ho spaventata?" prima di scoppiare in una fragorosa risata.

"Il gatto ti ha mangiato la lingua?"

Pian piano la paura prese posto al fastidio.

"Come può vedere bene lei, qui non ci sono felini" risposi incrociando le braccia al petto.

Si irrigidì e mi guardò irritato, "Cosa ci fai qui, mocciosa?".

Mi morsi l'interno della guancia dandomi della stupida per non esser scappata a gambe levate finché potevo ed azionai le rotelle del mio cervello alla ricerca di una scusa.

"Ero... Ero qui per portare le ciambelle!" mi riscossi ed iniziai a raccoglierle, "Ne vuole una?".

Declinò l'offerta grugnendo e scrutandomi fino a quando non mi congedai ed uscii dalla stanza. Una volta fuori, ripresi a respirare normalmente.





Una mano svolazzante richiamò la mia attenzione.

"Mia!" urlò John per sovrastare il vociare dei ragazzi intenti a pranzare.

Puntai il tavolo rotondo e mi diressi lì, compiendo zigzag in un campo minato da sedie, oggetti volanti e borsette dimenticate sul pavimento.

Salutai il ragazzo con un cenno del mento, "Mia sorella dov'è?".

Allungò un braccio e mi indicò un gruppo di ragazze in divisa.

"Si è integrata bene" mi fece l'occhiolino.

"Bene, se lei è contenta a stare accerchiata da quelle oche starnazzanti, allora sì" aggiunse una voce femminile.

Mi voltai verso la ragazza che aveva appena appoggiato il vassoio di fianco al mio. Aveva gli occhi grigi contornati da trucco nero, le labbra sottili ricoperte di rossetto scuro e i capelli raccolti di un rosso tendente al viola. Completamente vestita di nero, compreso lo smalto.

"Max, lei è Mia. Sono così sicuro che andrete d'accordo" ci presentò John, aggiungendo poi un: "Povero me...".





"A domani!" salutai l'auto che riprese a sfrecciare per poi frenare bruscamente dieci metri più avanti, facendo cadere i bidoni della spazzatura.

Ridacchiai ed entrai in casa scuotendo la testa. Prima o poi quel ragazzo farà un incidente e finirà di una morte prematura.

"Oh... Papà, ciao anche a te!" esclamai ritrovandomi il suo sguardo arrabbiato puntato su di me. Sto prendendo troppi colpi in questi giorni, porca miseria.

"Sono appena sceso giù" muove le sopracciglia in un espressione arrabbiata, "La. Tua. Camera. Fa. Schifo.".

"Papà siamo appena arrivati, non puoi biasim-"

Mi interrompe facendomi sbuffare, "Appunto per questo! Siamo qua da due giorni e già non si riesce ad aprire la porta! Fammi il favore di andare di sopra e pulire quel porcile, prima che lo faccia Stefania al posto tuo".

Lo superai veloce ed imboccai le scale irritata. Arrivata davanti alla camera, aprii la porta con un calcio e buttai lo zaino azzurro su un cumulo di roba da lavare accatastata sul pavimento. Mi cambiai ed infilai una tenuta da ginnastica. Avrei messo a posto dopo, mi dissi, ora dovevo andare in un posto.

Corsi sull'asfalto bagnato e non mi fermai fino a che non li vidi: due battenti in ferro che si aprivano con una calma rassicurante.

Corri da me.

The Cherry Chronicles -Back to the originsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora