[8] Tutorial: come svenire in occasioni sbagliate? Fate come Alissa.

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Quel lunedì, il primo di ottobre, feci finta di avere l'influenza. Dovetti solo mettere un po' di fard sul naso, creare una piramide di fazzoletti sul comodino e produrre una voce nasale. Quando Stefania mi dichiarò malata, me ne tornai beatamente sotto il piumino della mezza stagione. Ma, dopo un'ora abbondante passata a rigirarmi fra le coperte, mi decisi a guardare se c'era qualcosa d'interessante in televisione.

"...ma le indagini proseguon-"

Spensi il televisore di colpo, lanciando il telecomando al mio fianco. Tutti i canali parlavano di quello che era successo, era come se il mondo non mi volesse lasciare in pace, destinandomi a restarci dentro fino al collo ogni qualvolta che desideravo scappare.

La casa taceva, priva di vita. Il silenzio era assordante.

Smisi di fissare il soffitto ed andai in cucina per bere del latte fresco. Versai il liquido nel bicchiere di vetro con movimenti meccanici, rovesciandone una buona parte quando un rumore interruppe il ronzio del silenzio. L'apatia, che finora aveva governato le mie sensazioni, lasciò il posto all'agitazione. Fuori c'era qualcuno, l'avrei potuto dire per certo, ed aveva la grazia di un elefante in una cristalleria. Dei ladri? Che fosse l'Assassino?

Per tutti i biscotti, sono troppo giovane per morire.

Aprii veloce un cassetto, sfilandone un coltello. In punta di piedi, mi accostai al muro di fianco alla vetrata, che dava al giardino sul retro. Con una mano sulla maniglia, attesi altri rumori. Non si fecero aspettare: del baccano proveniente da fuori interruppe le mie suppliche interiori.

"Ma che cavolo?" sussurrai, mentre un cipiglio confuso si formava sul mio viso. Sembrava che qualcuno stesse prendendo a calci il salotto da esterno di Stefania. Seguì una risata, alla quale aprii la portafinestra di scatto, con il coltello stretto in pugno e la confusione che si leggeva in viso.

"Uo, uo! Metti giù quell'affare!"

"Max? John?"

Due poltrone erano cadute a terra e il tavolino da caffè si trovava poco distante dalla sua posizione originale. Il ragazzo era steso a terra, mentre la rossa si asciugava gli angoli degli occhi con un dito, ridacchiando.

"Ma che caz... Okay, ho sempre pensato non foste persone normali voi due, ma, razza di trogloditi, avete idea di che cacchio di accidente mi sono presa?! Brutti deficienti, c'avete della cacca al posto del cervello? Stupidi, esiste la porta d'ingresso, o l'hanno inventata solo per bellezza?"

Max smise di ridacchiare per guardarmi in faccia, "Non ho capito una singola parola di quello che hai detto, escludendo 'okay', ovviamente, ma non penso siano state cose carine.".

Sorrisi innocente.

John aggiunse: "Ma l'italiano mi piace, anche se ci hai insultati come se non ci fosse un domani, aveva un suono dolce".

Mi misi le mani sui fianchi, "Ah davvero? Anche questo?" e glielo dissi.

Lui annuì con foga, "Mi ha ricordato gli spaghetti alle polpette".

Scossi la testa divertita, "Ah, americani senza cultura".

I due ragazzi mi guardarono confusi, ma io feci segno con la mano di lasciar perdere.

"Comunque, cosa ci fate qui?" domandai.

"Ti portiamo una ciambella!" rispose ovvio il ricciolo, sventolando un sacchetto unto.

Doveva rimanere arrabbiata e fargliela pagare per essersi intrufolati in casa mia dal retro, ma il profumo mi arrivò sotto al naso, accarezzandolo come una soffice piuma.

"Dammela."

Sorrise divertito e me la lanciò.

"Davvero persavi di affrontare qualcuno con quel coltello?" mi derise Max, indicandolo, "Cosa ci tagli, la gelatina?".

The Cherry Chronicles -Back to the originsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora