La mia bambina

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Credetti di non rivedere più la mia piccola Marion, invece quella notte, tornò da me, per avvertirmi.

La tenevo tra le braccia e mi sorrideva. Di colpo, rompendo la gioia che stavo provando, le sue labbra si chiusero e i suoi occhi si pietrificarono. Il suo corpo si freddo' ed io mi svegliai in preda al panico e al dolore, ricordando che mia figlia era morta e non potevo più vederla sorridere tra le mie braccia.
Un mese prima la trovai sul mio letto con vicino le mie pasticche per il sonno e gli anti-depressivi, ero sicura di averli posti nel cassetto prima di uscire quella mattina e invece non era stato cosi.
Ero sotto accusa, ritenuta colpevole della morte di mia figlia. Non era stata colpa mia, non lo avrei mai fatto. Neanche mio marito mi guardava più come prima. Mi disprezzava.
Dopo l'incubo provai ad abbracciarlo, era proprio vicino a me nel letto e dormiva ma appena mi avvicinai si svegliò e mi scanso'. Mi sentii sola, sola nel mio dolore. Rivolevo mia figlia. La volevo tra le mie braccia di nuovo, giocare con i suoi riccioli biondi ma non potevo più.
Le lacrime mi fuoriuscirono dagli occhi e non riuscivo a fermarle ma un rumore al piano di sotto mi costrinse a tirare indietro le lacrime. Quello che sentii non era un rumore ma un pianto, un pianto di bambino.
Scesi dal letto e senza mettermi le ciabatte, così da non fare rumore, mi incamminai fuori la camera da letto e verso le scale. Le scesi piano, accovacciandomi per guardare di sotto, guardai prima verso destra, verso il salone, divano, tv, tavolo, tutto era tranquillo, poi indirizzai lo sguardo verso sinistra alla porta in fondo alle scale. Da li proveniva il lamento.
Raggiunsi la porta. Avevo timore nell'aprirla. Dall'altro lato il lamento, alternato ad un pianto strozzato, continuava senza sosta.
Aprii la porta.
«Marion» urlai con disperazione.
La cercai sotto al tavolo della cucina, nei cassetti sotto il lavandino, nella credenza, nel forno ma niente Marion non era li. Eppure il pianto continuava. Che fosse nella mia testa?
Mi girai di colpo allo sbattere della porta che si chiuse. Una bambina era seduta proprio li, mi dava le spalle e teneva le braccia sulla porta. Cominciò a muoverle e con le unghie cominciò a graffiare la porta. Un rumore assordante e fastidioso pervase le mie orecchie.
Aveva un abito bianco, sporco di terra e fango, era scalza e aveva dei riccioli biondi. Era davvero lei?
Provai ad avvicinarmi. Più lo facevo e più i suoi movimenti si agitavano.
Volevo accendere la luce ma l'interruttore era vicino la porta, dovetti accontentarmi del chiarore della luna che entrava dalla finestra sopra il lavandino alla mia sinistra.
«Il mostro è qui dentro» una voce roca uscì dalla bambina. Parlava così bene quindi non poteva essere la mia.
«Cosa intendi?» chiesi con un nodo alla gola.
La bambina si girò di scatto. Aveva gli occhi neri e intrisi di rosso, il viso sporco, era la mia bambina, la riconobbi, ma una versione diversa.
Mi guardò e poi corse verso di me. Mi si buttò addosso facendomi cadere. Avevo il suo viso davanti al mio. Cominciò ad urlare e prese la mia testa tra le sue mani. L'urlo si fece più forte e di colpo cessò. Mi ritrovai davanti la porta della camera da letto, tutto era pervaso da una luce forte e luminosa, sentivo delle urla all'interno della camera.
La aprii. Il comodino sulla destra era al suo posto. Lo specchio sopra di esso anche. Guardai verso il letto, al centro della camera e riconobbi la mia bambina seduta su quelle lenzuola gialle. Piangeva. In piedi vicino al letto, sulla destra, vidi mio marito. Le urlava contro.
«Sei un abominio» le diceva «non dovevi nascere» urlava sempre più forte «tua madre non doveva condannarti a questa vita di sofferenza» e intanto prese le mie pasticche da dentro il comodino.
«Io ti liberero', non verrai più presa in giro da nessuno, non usciremo più senza che tutti gli altri ci guardano provando pietà» si sedette vicino la bambina «Ora bevi» le ordinò mettendole il bicchiere sulle labbra «ti farà bene, te lo dice tuo padre».
Sentii la rabbia salirmi dentro.
Corsi verso mio marito, volevo prenderlo ma appena mi ci buttai sopra il tutto svani' e mi trovai di nuovo in cucina. Ero sdraiata sul pavimento ed ero arrabbiata.
«Ti voglio bene mamma» disse la voce che proveniva dalla bambina che sparì dalla mia vista.
L'adrenalina salì nel mio corpo. Presi un coltello da cucina.
Salii le scale e andai in camera. Mi posizionai al mio posto sul letto. Poi strinsi la mano sul coltello e con uno scatto lo passai sulla gola di mio marito. Cominciò a sgorgare sangue. Cominciai a ridere. Ero felice. Ed ora potevo finalmente rivedere mia figlia anche io.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 03, 2016 ⏰

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