"Ok ok basta così; ti sento abbastanza stanco. Posa le cuffie e riproviamo domani" mi disse Francesco da dietro il vetro mentre teneva gli occhi incollati allo schermo del Mac. Sbuffai togliendo le pesanti cuffie dalle orecchie e lo raggiunsi al mixer: lavoravo da mesi a quel progetto in cui ho messo tutto me stesso ma sentivo che manca ancora qualcosa; i testi, le melodie, il ritmo, l'ambiente erano perfetti ma una strana sensazione mi pervadeva ogni volta che lavoravo. Forse sarà stata la stanchezza oppure la dedizione che dedicavo alla cura di ogni piccolo dettaglio a darmi quella sensazione di incompletezza che ogni tanto si prendeva qualche mia lacrima. Guardai pensieroso il monitor del computer del mio produttore senza però capire nulla di ciò che raffiguravano tutti quegli schemi colorati. Ad un tratto una vigorosa pacca sulla spalla mi riportò alla realtà facendomi voltare verso Francesco: "Che hai stellina?" mi disse mentre con la mano con cui non mi teneva la spalla spegneva il computer e staccava dei cavi da esso. Io e lui fin dal nostro primo incontro abbiamo sempre avuto un feeling tale da riuscire a scherzare sempre anche nei momenti più seri e col tempo sono arrivati anche i nomignoli da coppietta diabetica come "Stellina", "Sciocchino" o "Tesoro". Sorrisi appena e scossi la testa camminando fino al fondo della stanza per arrivare al mio zaino da dove estrassi una bottiglietta d'acqua. Presi due lunghi sorsi e cercai lo sguardo di Francesco per cercare di capire quello che volesse fare ma non ci riuscii: per quanto io provassi a leggere le intenzioni nei suoi occhi non arrivavo mai ad una conclusione mentre per lui era facilissimo, sotto il suo sguardo io ero come un libro aperto.
"Ti vedo perso Michele, sicuro che vada tutto bene?" mi chiese nuovamente Francesco con l'aria preoccupata. Avrei voluto raccontargli delle mie strane sensazioni e di tutte quelle domande che mi stavano nascendo in testa ma non lo feci per chissà quale ragione oppure perchè non sapevo nemmeno io spiegarmi certe emozioni e spiegarle agli altri sarebbe stata più ardua di una delle fatiche d'Ercole.
Uscimmo dallo studio di registrazione tirandoci alle spalle la pesante porta d'ingresso: erano circa le sette e quaranta di sera e il sole risplendeva ancora alto nel cielo donando ai nostri volti un'illuminazione tale da farci strizzare gli occhi. Faceva caldo quel giorno, troppo caldo per una normale giornata di metà agosto e mentre la mia mente si concentrava sul caldo torrido i miei occhi vagavano per la strada e non la riconoscevano come una strada di casa.
Eh si, la bella Verona. Ero arrivato a Verona da qualche giorno per registrare le parti mancanti del mio progetto musicale ma non mi ero ancora abituato al clima afoso di quel luogo meraviglioso.
Saliti sulla mia pandina grigia mi misi alla guida ma non feci in tempo a mettere in moto che già Francesco smanettava con la vecchissima radio in dotazione: "Katoo se non accendo la macchina la radio non parte sai" dissi ridendo e guardando la sua testa che si muoveva velocemente tra radio e porta cd, lui mi rispose sfilando un disco dall'astuccio "Allora cosa aspetti a far partire la macchina?". Il tono allegro della sua voce nascondeva sempre un nonsochè di autoritario che andava a braccetto con il sorrisetto beffardo che si stampava sul volto ogni volta che non era concentrato sul lavoro.
Misi in moto per farlo contento senza però sapere la destinazione esatta allora rimasi immobile ad osservare Francesco ancora intento a fare chissà cosa con la mia povera e vecchia radio: il ciuffo scuro ben pettinato era lasciato libero alla forza di gravità e penzolava sulla sua fronte sudata, gli occhiali tondi e neri erano scivolati sulla punta del suo naso e dietro di essi campeggiavano due vivaci occhi color carbone, le sue labbra erano dischiuse e due goccioline di sudore rotolavano giù dal suo collo fino a scomparire dentro la t shirt.
"Dove dobbiamo andare?"
"A casa! Non so tu ma io sono stanchissimo"
Fu facile ricordarsi la strada, anche per uno smemorato come me, infondo facevo da quattro giorni la stessa strada almeno due volte al giorno ed iniziava a diventare una normalità data dalla routine.
"Mangiamo qualcosa insieme?" chiesi abbassando di poco il volume della musica, risvegliandolo da chissà quale pensiero "Basta che non cucini tu" rispose spostando il suo sguardo dal finestrino a me; mi sentii stranamente osservato, un mix di imbarazzo e protagonismo mi pervase e, se devo essere sincero, tutto ciò non mi dispiacque.
Arrivammo a "casa" (altro non era che un piccolo appartamento in affitto per il tempo che sarei rimasto a Verona) salimmo le scale ed entrammo con qualche difficoltà a causa della serratura difettosa.
Sebbene quelle stanze mi servissero solo per dormire la sera l'apocalisse era comunque esplosa tra quelle mura facendo sembrare il salotto una discarica.
Mi tolsi la giacca e la buttai sul divano poi aprii il frigo nella speranza di trovare qualcosa di commestibile ma, subito dopo aver osservato i vuoti ripiani illuminati, mi ricordai del perchè quei ripiani fossero vuoti: "Dai Michele andiamo a fare aperitivo", "Michi ho trovato un ristorante bellissimo, dobbiamo andare!", "Michele sei stato invitato a pranzo da un discografico della zona non puoi perdere questa occasione", "Stellina mia dobbiamo continuare a lavorare, se puoi posso mandare qualcuno a prendere due panini" e avanti così quindi non avevo mangiato neppure una volta in quell'appartamento.
"Pizza?" urlai con ancora la testa nel frigo; Francesco mi mise una mano sulla spalla ed io sobbalzai dallo spavento raddrizzandomi e voltandomi verso di lui: mi ritrovai il suo volto talmente vicino da riuscire a sentire il suo respiro caldo e regolare infrangersi sul mio mento, i nostri petti si sfiorarono appena ed io mi imbambolai a guardare ogni tratto del suo viso analizzandone ogni dettaglio con la bocca dischiusa.
Uno schiaffetto sotto il mento mi riportò alla realtà facendomi battere i denti: "Chiudi la bocca altrimenti ti entrano le mosche..." disse Francesco voltandosi verso il divano poi aggiunse con un ghigno "...bocca da pompini".
Sbuffai e chiusi il frigo rimanendo in piedi a guardare il mio produttore seduto sul divano mentre muoveva svogliatamente il pollice sullo schermo del telefono.
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The Other Riverbend #mikatoo
FanfictionIn bilico tra bianco e nero, tra luce e oscurità, tra dolcezza e passione.