Capitolo 3

439 21 0
                                    

"Ciao Monica!" esortai felice al telefono, quando ero in una situazione imbarazzante lei veniva sempre a salvarmi ma andiamo con ordine: Monica era la mia coinquilina a Milano ed era scappata proprio come me dalla sua città natale (un paesino da qualche parte nel veneto che ora non ricordo, sono sempre stato una frana in geografia) per cercare fortuna e lavoro nella città dal grigiore perenne e c'era perfino riuscita aprendo una bellissima pasticceria appena fuori dal centro.
Da quando Giulio mi aveva abbandonato per girare il mondo la mia casa era ritornata fredda, buia, trascurata e ogni tanto tornava quel vecchio vizio di ripensare agli errori commessi.
Serate piene di "E se..." riempivano i miei occhi di lacrime e il pavimento di fazzoletti; poi come una specie di angelo è arrivata lei con il suo ottimismo, le sue abilità culinarie e il suo vizio di fare battute pungenti.
La sua voce mi risuonò nelle orecchie chiara e squillante: "Ciao Michi! Com'è andata oggi? Sei riuscito a girare un po' la città? Mi ha chiamato tua madre e mi ha detto di ricordarti che esiste anche lei. Ah sì la Signora Longari sta bene; per sbaglio gli ho dato uno dei miei tortini di patate ma lei non ha disdegnato. Sai che ho comprato delle tende nuove?! Adesso la sala ha tutto un'altro aspetto. Sabato pensavo di invitare un po' di persone a casa per te è ok? Quando torni a Milano? Ci sono ragazze carine a Verona eh...". Dimenticavo di dire che a Monica piaceva parlare molto e a volte la sua logorrea mi stordiva ma lo consideravo un pregio non un difetto.
I miei occhi vagarono nel vuoto fino a che non scontrarono di nuovo quelli di Francesco che mi fissava con aria interrogativa. Io allontanai il telefono dall'orecchio dicendo "È la mia coinquilina, posso?", lui annuì con le guance gonfie da far invidia ad uno scoiattolo.
Corsi in camera sbattendo la porta e mi buttai sul letto schivando la valigia che ancora non avevo completamente disfatto: "Bene Moni ora sono tutto tuo, dimmi"
"Devo ripetere ogni cosa?!"
"Beh ho capito che hai preso delle tende nuove, devi andare ad una festa sabato e...devi portare la Signora Longari e dei tortini di patate?"
"Come al solito non hai capito proprio niente" sbottò lei iniziando a ridere e io risi con lei lasciandole il tempo di rispiegarmi tutto.
Le raccontai velocemente dello studio di registrazione, della casa, dei tramonti solitari sul lung'Adige ma non feci una parola sul senso di disordine che provavo da qualche giorno.
Ad un tratto Monica cambiò il suo tono di voce e mi chiese cantilenando "Ma, per caso, sei già stato in un locale che si chiama Alter Ego? So che non sei tipo da discoteche ma quella non è male sai, riusciresti a rimorchiare anche tu!". Io rimasi di stucco per qualche secondo poi tossicchiai nervosamente e le dissi "Ti sei risposta da sola: la vida loca non mi si addice molto
Non ricordo per quanto stetti al telefono ma quando salutai Monica e tornai in sala Francesco era sparito, la tavola sparecchiata, le posate nel lavello e un biglietto campeggiava sul piano della cucina: era una stampa venuta male di uno dei testi su cui avevamo lavorato quel giorno e sul retro portava scritto ininchiostro nero queste parole

Non voglio essere d'intralcio, torno a casa e continuo a lavorare al mix dei cori e delle seconde voci. Preparati bene sulla sesta traccia per domani.
##########
##########

Uno scarabocchio finiva il messaggio; incuriosito rimasi ad analizzare quella grossa macchia nera e mi parve di leggervi una T come iniziale e una M da qualche parte o forse una A manon ci feci molto caso.
Mi sentivo in colpa ad averlo lasciato solo. Dopo tutto quello che faceva per me avrei voluto, anzi dovuto, ripagarlo in qualche modo ma ogni volta che provavo a progettare qualcosa i miei pensieri si soffermavano su azioni per nulla caste e assolutamente fuori luogo.
Ció non era da me.

Trascorsi la serata sul letto a guardare una serie tv al pc come facevo sempre quando non volevo pensare e mi addormentai con il viso sulla tastiera.
Mi svegliai il mattino seguente con l'assordante rumore della sveglia sul comodino. Come mio solito controllai le notifiche crogiolandomi ancora un po' tra le lenzuola poi mi alzai, mi lavai, mi vestii e mi sistemai i capelli.
Uscii di casa a stomaco vuoto e mi misi in macchina pronto ai venti minuti peggiori della giornata che avrei passato fermo in macchina procedendo a passo d'uomo verso lo studio di registrazione. Il traffico mi metteva ansia e urtava i miei nervi come nient'altro sapeva fare. Usufruii di quella mezzoretta libera per ripassare bene il testo della sesta traccia come mi aveva raccomandato Francesco e fu come se lo stessi facendo più per lui che per la buona riuscita del mio album.

Tra tutti i miei progetti musicali a cui ho lavorato con lui questo aveva un sapore diverso: sapeva di primavera e di ciliegie, di bibite frizzanti e di caramelle sour, di cose nuove e amori vecchio stampo; quest'album sapeva di tante cose ed era in poche parole quel casino che infondo ero io, nel bene e nel male quella matassa disordinata era tutto quello che Michele Bravi non aveva ancora detto al mondo.
Dopo l'odio, dopo l'amore, finalmente il centro della mia musica ero io ma tutto ciò non fu per niente semplice.
Mi ero perso e ritrovato molteplici volte riscoprendo ogni volta nuovi lati di me stesso e i miei nuovi testi parlavano di questo continuo viaggio nel mio essere pieno di alti e bassi.
Avevo quasi l'impressione di essermi perso di nuovo tra gli angoli oscuri dei "perché?" e dei "come?", ancora non sapevo che questo nuovo percorso mi avrebbe fatto riscoprire proprio quella parte nascosta di me che avrebbe sconvolto la mia vita per sempre o almeno fino a questo momento in cui vi sto narrando.

Il sole era alto nel cielo ma la vera luce si trovava dentro a quello studio.

The Other Riverbend   #mikatooDove le storie prendono vita. Scoprilo ora