5 dicembre 2003

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  - Perché la signora Hudson l'ha fatta entrare? – Chiedo affacciandomi dalla porta che conduce alle scale per controllare che la donna sia ancora lì. La sento canticchiare dal suo appartamento e sbuffo sonoramente. Saranno circa le sette del mattino, la signora Hudson è sempre stata mattiniera. E lui è qui dentro da circa un'ora.

- Le mie referenze hanno funzionato su di lei. – A quel punto mi soffermo a guardarlo. Indossa un completo blu con una camicia azzurra, il tutto accompagnato da una cravatta rossa e... da un paio di inusuali scarpe di tela rosse. Il resto della descrizione la conoscete già grazie a Tracy, che non scherzava affatto sul taglio di capelli bizzarro. Dimostrava meno di quarant'anni ma i suoi occhi... sembravano così vecchi, talmente tanto vecchi che la scusa del leggere molto non mi avrebbe per nulla convinto se solo me lo avesse detto. Era così diverso. – Credo che abbia pensato fossi un agente di Scotland Yard, mi ha subito chiesto se lavorassi insieme ad un certo Lestrade. Ho risposto di sì e mi ha fatto entrare. Non credevo che un tipo come lei dormisse così tanto e così profondamente! – Per un attimo ho l'istinto di controbattere all'ultima sua affermazione, ma il suo discorso insensato mi fa scuotere la testa.

- Quel foglio era bianco. – Dico, ritornando alla mia espressione fredda e calcolatrice di sempre.

- Beeeeh, non funziona su tutti. Molti vedono sulla carta psichica ciò che vogliono vedere, mentre le persone più intelligenti e più geniali vedono solo un inutile foglio bianco. - Non riesco a seguire il suo discorso, né riesco a capire come sia possibile l'assurdità che mi sta dicendo... ma ciò che mi interessa di più sapere in questo istante è ben altro.

- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –

- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.

– Il suo vero nome. –

- Beh, è questo il mio nom... -

- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così... Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.

- Oh, è proprio bravo come dicono... – Mi dice con un tono leggermente sconvolto, poi finge una leggera tosse, forse per gettare via la vergogna che gli si è dipinta sul viso mentre gli sputavo in faccia tutta la verità sul suo conto.

- Ovviamente. Ma lei non mi dirà il suo vero nome, no. Non lo conosce nessuno, perché dovrei conoscerlo io? – Sta per parlare e dire qualcosa, quindi lo interrompo appena in tempo. – Tracy l'ha vista nel suo giardino un paio di volte, e ieri pomeriggio mi ha spiato mentre parlavo di questo caso all'ispettore Lestrade. Non è affatto un criminale, non è stato lei a rapire il signor Jefferson e non mi sembra affatto una minaccia, quindi il suo volermi aiutare è la pura verità. Ma perché crede che mi serva il suo aiuto se sa che sono così bravo? –

- Perché non capisce cosa sta accadendo, signor Holmes. –

- E anche se fosse, lei come potrebbe aiutarmi? –

- Io so che fine ha fatto Jefferson, e so chi è stato. – Lo guardo come se mi avesse appena schiaffeggiato senza alcun motivo. La nostra interessante chiacchierata viene interrotta da John che, mezzo addormentato, ci raggiunge confuso in salotto. Indossa ancora il pigiama: una t-shirt bianca e dei pantaloni grigi della tuta. Quando nota l'uomo che mi sta di fronte, la sua espressione è prima sorpresa, poi confusa, ed infine imbarazzata, lo si può capire dalle sue guance che a poco a poco assumono un colorito rossastro.

- Ho interrotto qualcosa? – Chiede mentre cerca invano di nascondere il suo abbigliamento notturno.

- Affatto, lei deve essere il dottor Watson! – Dice lui porgendogli la mano e tirando fuori quel portadocumenti per mostrarglielo. John lo osserva incuriosito e subito dopo gli stringe la mano con vigore ed accenna un timido sorriso.

- Esattamente, ispettore Smith! Immagino lei sia nuovo a Scotland Yard, è qui per il caso Jefferson? – Con stupore strappo letteralmente il portadocumenti dalla mano del "Dottore" e lo studio con attenzione, sotto l'espressione confusa di John. È completamente bianco e non ho idea del perché il mio amico abbia riconosciuto il nostro nuovo conoscente come "ispettore Smith". Forse la cosa che aveva detto poco fa è vera? O forse sono io che sto impazzendo per la difficoltà del nuovo caso che da poco stavo affrontando?

Il Dottore mi lancia un'occhiata d'intesa e poi espone la mano, aspettando che gli porga quella che lui chiama "carta psichica". Lo faccio, titubante, e lui la ripone nella tasca della giacca, infine si rivolge al mio amico, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, confuso dalla mia improvvisa e strana reazione.

- Non sono un ispettore, John. Volevo solo dimostrare al suo amico che non è pazzo. – Dice, come a leggermi nel pensiero, lasciandomi leggermente interdetto.

- Allora quello era un documento falso? – Il Dottore punta nuovamente lo sguardo su di me con un sorrisetto divertito.

- Lo capirà col tempo, la cosa che importa sapere adesso è che la mia presenza qui potrebbe esservi di grande aiuto per quanto riguarda il caso di Luke Jefferson. – Io sono ancora intontito dalla situazione, e più lo osservo e lo studio, più non riesco a leggere nulla di lui, cosa che mi riusciva benissimo fare con chiunque (tralasciando Irene Adler).

D'un tratto afferra dalla scrivania un aggeggio strano che prima non avevo per niente notato. Il mio amico inarca un sopracciglio e sta per dire qualcosa, quando rimane con la bocca mezza aperta non appena sentiamo quel "ding" provenire dall'oggetto che ha in mano.

- Oh, lei è il tizio che Tracy ha visto! – So cosa sta pensando John, soprattutto quando mi accorgo della sua espressione tra lo spaventato e l'arrabbiato.

- No, John, non è lui il rapitore. Sta dicendo la verità, vuole aiutarci. –

- Quindi lei sa dove è stato portato Luke Jefferson? – La domanda di John pare stupirlo, perché lo vedo sollevare la testa dal suo strano aggeggio, assumendo immediatamente un'espressione sorpresa.

- Oh... oh, non lo sapete? Certo, come potete saperlo... Luke Jefferson è morto. – John sobbalza all'indietro, stupito da quell'affermazione, io mi limito ad osservare il Dottore con un pizzico di scetticismo dipinto in volto, cosa di cui, ovviamente, si accorge subito.

- Com'è difficile spiegare le cose a voi essere umani senza essere preso per pazzo! – Detto ciò, solleva quello strano oggetto a cui non so ancora dare un nome e comincia ad aggirarsi per la stanza, utilizzando quell'affare come se fosse uno stupito metal detector. – Luke è morto, ve lo posso assicurare! Andate al cimitero se non mi credete. -

- "Voi essere umani"? Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo! Abbiamo un altro che si crede una mente superiore. – Dice John, accennando una risata incredula, e passandosi una mano fra i capelli ancora scombinati dal sonno.

- Oh no, non è per quello! Beeeeh, sì, sono una mente superiore... ma non mi riferivo affatto a quello. – Risponde lui mentre tira fuori dalla tasca un bullone arrugginito, che riconosco subito come quello che io e John avevamo trovato sulla scena del rapimento. – A proposito, grazie per questo! Non riuscivo più a trovarlo. – Dice rivolgendosi a me, mentre con fare esperto lo avvita ad una parte all'interno del suo "strano oggetto".

- E allora cosa intendeva dire? –

- L'ho preso a Scotland Yard, mi hanno scambiato per uno nuovo della scientifica. Sono stato al gioco e l'ho preso. Vi posso assicurare che non ho ostacolato nessuna prova, dato che questo mi appartiene. – Quando solleva lo sguardo, storce il naso e ci fissa entrambi, mentre i suoi occhiali vengono sistemati per bene sul proprio naso. Ad un certo punto si sofferma sul mio blogger ed allunga una mano verso di lui a palmo spiegato. – Lei è un dottore, giusto? –

- Sì, sono un dottore. –

- Mi dia una mano! – John mi guarda, come a chiedermi il permesso o per assicurarsi, tramite le mie deduzioni infallibili, se potesse o no fidarsi di quell'uomo. Io annuisco, rassicurandolo, e lui in un attimo porta la mano col palmo rivolto verso l'alto su quella del Dottore. Quest'ultimo la afferra e gliela fa poggiare sul proprio petto, a sinistra, dove ci sarebbe dovuto essere il cuore. John inarca le sopracciglia e aspetta una qualunque delucidazione da parte del Dottore, che per fortuna non tarda ad arrivare. – Che cosa sente? –

- Il battito del suo cuore. –

- Benissimo. – A quel punto, il Dottore sposta leggermente la mano di John sulla parte destra. – Adesso cosa sente, John? - Quest'ultimo viene investito dalla sorpresa, lo posso dedurre dalle sue palpebre sbarrate e dalle sue labbra semiaperte, che borbottano parole incomprensibili. Quindi indietreggia, abbandonando la stretta dell'uomo e fissandolo come a chiedersi se egli fosse reale o se stesse solo sognando.

Il Dottore si aspettava quella reazione, riesco a capirlo dal suo comportamento per il quale porta entrambe le mani dietro la schiena, talmente tanto tranquillo che fa quasi paura. Ma più guardo la scena, più sono sicuro di non aver capito che cosa sia appena successo.

D'un tratto sentiamo un altro "ding", e il Dottore tuffa subito la sua attenzione sull'aggeggio che ha in mano.

- Oh, appena in tempo! – Urla, in preda all'euforia mentre si aggira per la stanza come un bambino alla ricerca di caramelle. Nel frattempo quel "coso" continua ad emettere quello strano suono. Riesco a leggere nel viso di John quella sorpresa che ancora non lo ha per niente abbandonato, ma allo stesso tempo capisco che si sta chiedendo perché per tutto questo tempo non ho proferito una sillaba. – Qui non c'è nulla. – Si dirige verso la porta d'ingresso con fare svelto e, poco prima di mettere il piede sul primo scalino, si gira verso di noi e si inchina leggermente come segno di saluto. – Mi farò vivo io! – E, detto ciò, si precipita giù per le scale e sfreccia via sul marciapiede. Quando mi avvicino alla finestra è già sparito.
John è ancora fermo immobile a fissare un punto indefinito della stanza, con uno sguardo indecifrabile, mentre la sua mano, ancora a mezzaria, trema leggermente tornando lungo il fianco.

- Che cosa hai sentito? – Chiedo mentre mi avvicino con passo svelto a lui.

- Quell'uomo non è umano. – Scoppio in una risata incredula, scuotendo la testa ed incrociando le braccia al petto.

- Seriamente! –

- Sherlock, per amor del cielo! –

- Che c'è? –

- Quel tipo lì, ha due cuori. – Il silenzio cala immediatamente. La mia bocca è semiaperta, pronta per dire qualcosa, ma da essa non fuoriesce nessun suono. Con un lungo respiro cerco di darmi un contegno. Sarà per questo motivo che i suoi occhi sembrano così vecchi? Sarà per questo motivo che John riusciva a leggere le sue referenze mentre io non potevo? E quell'oggetto che lui aveva, era forse qualcosa di alieno? Per l'amor del cielo, gli alieni non esistono.

- Magari è quello che vuole farti cred... -

- No, Sherlock, sono un medico, e quell'uomo ha due maledettissimi cuori. - Non poteva essere possibile, anche se guardando John capisco che non sta mentendo, che ha davvero sentito qualcosa fuori dal normale quando lo ha toccato.

Improvvisamente, mentre il mio cervello cerca di mettere in ordine tutte quelle informazioni impossibili, John mi chiede di lui, di cosa è successo prima che arrivasse. Gli racconto tutto: del suo nome fittizio, dei suoi occhi anziani rispetto a tutto il resto, del modo in cui l'ho trovato a controllare il mio computer e di quella "carta psichica" che mi aveva lasciato senza parole. Io senza parole? Perfino il mio blogger ne era stupito.

- Vestiti, John! –

- Perché? Dove andiamo? –

"Andate al cimitero se non mi credete."

- Sembra che il nostro nuovo amico ci abbia appena lanciato una sfida. Come posso rifiutare! Voglio verificare di persona. –

In poco tempo il mio amico è già vestito e pronto ad andare insieme al sottoscritto. In un attimo, grazie al taxi che avevamo chiamato, ci ritroviamo al cimitero.

Il custode è un mio vecchio amico. In verità lo avevo assolto da un tentato omicidio senza recargli alcun danno e mi disse che per qualunque cosa sarebbe stato disponibile ad aiutarmi. Molti dei miei casi sono stati risolti grazie alle sue testimonianze e al suo aiuto.

- George! – L'uomo sulla cinquantina, leggermente sovrappeso e ormai calvo, si stava occupando delle pulizie. Quando mi vede sorride sorpreso e corre quasi, per raggiungermi e stringermi la mano.

- Oh, Sherlock! Che piacere, cosa posso fare per te? –

- Lui è John Watson. – I due si stringono la mano, mormorando un "piacere di conoscerla". – Vogliamo sapere dove si trova la tomba di Luke Jefferson. – Lui pare pensarci su ed io capisco che le parole del Dottore erano solo una grande menzogna, ma devo subito ricredermi, perché George si illumina.

- Oh, ma certo! La ricordo bene perché quasi nessuno va a far visita a quella tomba e non so perché. – Detto questo inizia a camminare per farci strada e noi lo seguiamo. Durante il tragitto, John sofferma lo sguardo su qualcosa e mi accorgo che è proprio il punto in cui, tempo fa, c'era la mia lapide. Il suo sguardo è triste, malinconico, deluso, e per un attimo mi sento più in colpa del solito.

- Ecco qui! – Per fortuna la voce di George lo distrae e John torna a concentrarsi sul nostro caso.

- Sherlock, come diavolo è possibile? – Chiede mentre guarda la lapide di fronte a noi. Non è stupito perché Luke è morto, ma del fatto che la data di morte non è affatto quella che ci aspettavamo.
5 dicembre 2003. Tredici anni fa.


Note autrice:
Ok, so di essere un po' in ritardo, ma come ho detto ci sono casi in cui non posso aggiornare regolarmente per via degli impegni.
Grazie comunque di continuare a seguire questa storia, buona lettura!  

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