Capitolo 19

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Sentii un rumore robotico persistente, un bip continuo.
"Tris! Tris ti prego svegliati! Ti prego, non lasciarmi! Tris, ti amo!" furono le uniche cose sensate che riuscii a dire tra i singhiozzi, mentre tentavo disperatamente di rianimarla.
Un infermiere sentì le mie urla e chiamò un medico che ci raggiunse con un équipe e un defibrillatore. Mi spinsero fuori dalla stanza e io mi accasciai su una sedia. Caleb mi raggiunse, pallido in volto e trafelato. Si sedette accanto a me e appoggiò la sua mano sulla mia spalla; i suoi occhi si stavano facendo umidi.
"Una volta" iniziò "Beatrice mi disse che non voleva restare negli Abneganti perché non si sentiva al suo posto. Io non le ho mai parlato del fatto che nemmeno io sarei voluto restare così l'ho fatta illudere di poter scappare, sarei rimasto io con mamma e papà. Quando ho scelto gli Eruditi, sapevo che per lei sarebbe stato un duro colpo, sapevo che nella sua mente si insinuava un pensiero di nostalgia e senso di appartenenza alla famiglia, sapevo che non se ne sarebbe andata. L'ho fatto perché sapevo il risultato del suo test, o più che altro, l'ho intuito. Era affascinata dagli Intrepidi e non mi spiegavo il perché; poi una sera l'ho capito e ho deciso che se lei si fosse allontanata dal luogo sicuro che era casa, sarebbe stata troppo esposta e minacciata. Anche stavolta, ha dimostrato molto coraggio sacrificandosi per i nostri genitori. Credo che sia un po' una dote naturale ma credo che sia anche merito tuo." disse, riferito a me. Continuò a raccontare prima che potessi interromperlo. "Le hai insegnato che ha la forza per fare qualsiasi cosa e che spesso il coraggio degli Intrepidi si intreccia all'altruismo degli Abneganti e diventano una cosa sola."
"Non sono coraggioso, non sono un Intrepido. Non ho affrontato mio padre ma sono scappato, ho rifiutato il ruolo di capofazione pur di non vederlo. Ho ancora paura di lui e non solo." Dissi. "Sì capisco. Ma tutti hanno paura di qualcosa, avere paura ci rende umani. L'importante è saper affrontare le proprie paure senza farsi sopraffare da esse." Si alzò e si avviò verso la sua stanza. "Caleb... mi dispiace... se non l'avessi convinta a prendere parte a questo scontro..." Mi interruppe: "Non è colpa tua, è solo una conseguenza della sua scelta. Vedrai, andrà tutto bene." Sorrise, mentre una lacrima solitaria scendeva lungo il suo viso.
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Dopo aver parlato con Tobias, mi resi conto che tutto ciò che gli avevo detto l'avevo detto a me stesso, in realtà: è stato come capacitarmi di cosa fosse successo in tutto quel tempo.
Iniziai ad attribuirmi colpe e a lodarmi per aver compiuto determinate azioni, ripercorsi tutti i miei ricordi senza soffermarmi troppo su nessuno di essi: volevo solo distogliere il pensiero da quello che stava succedendo a poche camere di distanza da me; mi abbandonai al pianto, quando non riuscii a vedere altro che il corpo senza vita di mia sorella. Pensai a quanto eravamo uniti da piccoli, ai sorrisi rubati, ai giochi e ai pomeriggi invernali passati vicino al camino a giocare io con i soldatini lei con le sue principesse. Puntualmente io scatenavo una guerra civile e dovevo mettere al sicuro le sue principesse e puntualmente una di loro si innamorava di uno dei miei soldati. La guerra, allora, ci sembrava astratta e lontana e finiva sempre con un uomini feriti ma vivi e innamorati: il classico lieto fine. "Un lieto fine che purtroppo non esiste..." Mi dissi.
Ma non avevo perso la speranza, in cuor mio c'era ancora qualcosa che mi incoraggiava a credere in quel lieto fine, quello che da bambino avevo tanto desiderato.
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"Come sta?" chiesi ad uno dei medici che uscì dalla porta della camera di Tris. "Non mi è concesso divulgare informazioni sulle condizioni della signorina Prior finché non saranno completamente certe. E comunque, lei non è un parente stretto, signorino." Odiavo quei medici: usavano paroloni intrisi di altezzosa convinzione di essere i migliori.
Si avvicinò un giovane infermiere proprio quando il medico si era allontanato per discutere con i genitori di un altro paziente. Mi strinse la mano cordialmente: "Piacere, Randy." "Tobias." dissi, rispondendo anche alla sua amichevole stretta di mano. "Sei il suo ragazzo?" si riferiva a Tris. Annuii imbarazzato, senza nemmeno essere certo che avesse ragione. "Ora nella stanza non c'è nessuno: entra, ti copro io; hai al massimo un minuto e mezzo, non posso fare di più, amico." Lo ringraziai e passai attraverso quella porta.
Lei era lì, su quel letto, stesa e immobile come l'ultima volta. Aveva il volto rilassato l'aria tranquilla, oserei dire felice. Le accarezzai una guancia con due dita e le spostai una ciocca di capelli dietro le orecchie; era così bella, così delicata, come un fiore. Restai lì immobile a guardarla come pietrificato e quando Randy mi fece cenno di uscire, le lasciai un bacio sulla fronte e le sussurrai un leggero "Ti amo, ci vediamo presto" poi uscii, ringraziai di nuovo Randy e andai a trovare Caleb nella sua stanza.

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