Speciale.
È così che mi definivano sempre i miei genitori fino a quando erano in vita. Mi dicevano sempre Alyssa tu sei una bambina speciale, devi prestare più attenzione e devi temere gli sconosciuti più di chiunque altro.
A quei tempi non davo peso a queste parole, ero piccola ed ingenua. Pensavo che tutti i genitori fossero molto protettivi nei confronti dei loro figli e mi sentivo grata e amata per tutte queste attenzioni.
All'età di 14 anni vivevo praticamente in un altro mondo. Mentre tutte le mie amiche passavano il pomeriggio al centro commerciale della nostra piccola città, io e mia madre ci occupavamo del giardino e delle bellissime rose che abilmente riusciva a far crescere.
Mentre i miei compagni di scuola partecipavano alle prime feste, io e papà andavamo al cinema insieme a guardare vecchi film e a mangiare troppi popcorn al caramello, i nostri preferiti.Mi ricordo ancora quel giorno in cui dopo la scuola al posto di correre direttamente a casa come facevo di solito, mi fermai più a lungo con la mia compagna di banco nel cortile. Ci fumammo una sigaretta che lei aveva rubato alla nonna dalla borsetta quella mattina. Ci bevemmo una sprite e parlammo del ragazzo più carino della scuola. Era così divertente fino a quando non comparve il preside con accanto mio padre che mi trascinò a casa in fretta e furia.
Mia madre pianse molto. "Non capisci Alyssa, non sai quanto può essere pericoloso per te la fuori. Se solo sapessero chi sei, chi siamo noi..tu sei diversa dagli altri"
Speciale.
Non capii mai il senso di queste parole, fino a quel momento. Anzi, mi ritenevo piuttosto una ragazzina ordinaria. Piccola ed esile, intimidita dal mondo che faticavo a scoprire mentre crescevo piena di dubbi e curiosità.
Avevo solo 15 anni quando i miei genitori morirono. Fatalità della vita, le persone che tanto volevano proteggermi mi lasciarono sola proprio quando avevo più bisogno di loro, triste all'interno del mio guscio dal quale non volevo più uscire. Sola, ecco come mi sentivo, non di certo speciale.
Dopo cinque anni dalla loro scomparsa, in una calda serata estiva, ancora quelle parole pronunciate al mio orecchio "speciale" ma questa volta non da una persona amica.
Allora le parole acquistarono un senso.
*****
Ero andata a questa festa organizzata da alcuni compagni di università vicino al fiume. Era sabato sera e faceva caldo. Avevo indossato un vestito nuovo, corto sulle gambe e nero che Bu definiva super sexy.
"andiamo a cercarti un ragazzo" mi disse lei uscendo di casa.
Non poteva accettare il fatto che fossi sola da così tanto tempo. Dopo Ivan, il ragazzo spagnolo del mio anno con il quale ero stata per un po' di tempo, non ero più uscita con nessuno. Lui era stato il mio primo vero amore, la mia prima relazione duratura, ma ad un certo punto mi ero semplicemente svegliata accanto a lui ed avevo pensato che ci eravamo insegnati tutto ciò che sapevamo, eravamo arrivati al capolinea.
Avevamo vissuto tante intense emozioni per poi giungere alla noia, alla monotonia come una coppia sposata da anni che non si ama più ma resta insieme grazie a questo filo invisibile che collega i ricordi di ciò che è stato a ciò che ora non c'è più. Un po' come quando ti addormenti al sole e ti svegli con la pelle ancora calda ma in realtà sta già scendendo la sera e presto se ne andrà quel tepore lasciando spazio ai primi brividi di freddo.Penso anche a lui mentre le mie ginocchia cedono nella terra, si graffiano, piango e mi sento tirare i capelli.
Penso ai momenti di tenerezza passati insieme e ai primi passi mossi insieme in questa avventura chiamata vita.
Penso ai miei genitori, a quante volte mi avevano detto di stare attenta, che il pericolo è dietro l'angolo. Penso ai loro caldi sorrisi mentre mi baciano la testa, al calore delle loro mani nelle mie, penso a quella sera dell'incidente dove non tornarono più e non posso che chiedermi se presto non li rivedrò.
Sento un dolore fortissimo al collo, sono sdraiata per terra e lui è sopra di me. Il peso del suo corpo mi schiaccia e le sue mani mi tirano i capelli per farsi spazio alla mia gola.
Mi morde con forza, mi ferisce, non si preoccupa dei miei pugni che picchiano sulle sue spalle o dei miei gemiti soffocati. Mangia da me, beve il mio sangue. Si ferma solo per dirmi che non sono solo una leggenda e che finalmente mi ha trovata.
Penso a Bu, la mia migliore amica da tempo, penso a quella prima sigaretta fumata insieme nel cortile della scuola e poi a tutte le altre. Mi ricordo la prima volta in cui ci siamo ubriacate insieme in un bar durante una gita scolastica e poi lei ha vomitato sulle mie scarpe. La mattina dopo mi disse " se mi perdonerai il fatto di averti rovinato le scarpe nuove, ti perdonerò qualsiasi cosa farai nella vita ".
Ci stavamo divertendo insieme a quella festa, avevamo bevuto qualche birra e poi lei aveva adocchiato quel ragazzo che lavorava alla gelateria. "vado a vedere se rimedio una scopata" mi aveva detto e facendomi l'occhiolino era andata a salutarlo.
Non so perché decisi di allontanarmi da sola, mi tolsi le scarpe e mi misi semplicemente a camminare salutando i miei compagni, i miei amici, per poi ritrovarmi a percorrere il fiume a piedi nudi. Ero immersa nei miei pensieri, forse aveva ragione Bu, era da troppo tempo che vivevo senza la felicità del sesso. Mi scappò da ridere pensando a quante volte me lo aveva ripetuto e alzai lo sguardo per vedere quante stelle c'erano in cielo.
Sentii un dolore al piede e mi chinai a controllare. Una piccola pietra mi aveva scalfito un taglietto tra le dita. Stavo pensando di tornare indietro quando lo vidi.
Era un uomo che non conoscevo, all'apparenza normale ma non appena comparve il mio istinto mi disse di fuggire. Odorava l'aria come se fosse un segugio, e poi mi guardò diritta negli occhi. "Tu" disse "non posso crederci, esisti." si fece sempre più vicino. "ti prego" dissi io arretrando.
Ma era troppo tardi, non appena mi girai per scappare lui mi era già addosso e mi aveva già sbattuta a terra con tutta la forza che aveva. Profumava di lavanda, lo avevo così vicino da sentirgli l'alito ed era chiaramente lavanda. "Speciale" mi disse con un tono roco e io mi sentii in trappola. Mi guardavo in giro in cerca di qualcosa per difendermi quando lui mi morse. Urlai con tutte le mie forze. Faceva così male, era così doloroso, mi sentivo così impotente in balia di quell'uomo che non conoscevo. Poi iniziai a vedere tutto nero, non avevo più forze per battere i pugni su di lui, sentivo il freddo che si impossessava di me. "Resta sveglia Alyssa, non mollare" mi dicevo mentre respiravo l'ultima boccata di lavanda. Quando pensavo di aver perso, di stare per morire arrivò lui.
"Lasciala andare!"
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Indistruttibile
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