Come tutti i giorni, allo scadere dell'orario lavorativo mi fiondavo verso la vettura, conscio che quei piccoli secondi recuperati li avrei persi nel traffico durante il tragitto verso casa con un aggravio sostanzioso di tempo perso, ma al contempo se non lo avessi fatto era come se mi sentissi in difetto verso me stesso.
Spesso ridevo del mio comportamento e di quello dei colleghi che avevano le mie stesse gestualità, mi vedevo come un piccolo Fantozzi e immaginavo, come nel film, alcuni del mio ufficio che si paracadutavano fuori dalle finestre allo scadere delle otto ore lavorative.
La macchina era calda, avevo avuto la malaugurata idea di prenderla nera.
Misi il condizionatore a palla e m'immisi nel traffico delle 17.30 un costante bollino nero nella gaussiana quotidiana.
Imboccai il controviale per immettermi nell'arteria principale che mi avrebbe portato al collo di bottiglia determinato da quell'unico semaforo che a mio avviso era mal tarato.
Percorsi il chilometro successivo a passo d'uomo, ma almeno per ora non avevo avuto alcuno stop ed era positivo se paragonato ai giorni antecedentemente passati nel medesimo tragitto.
Come immaginavo, il semaforo era rosso, la colonna di fronte a me era cospicua, a occhio e croce vedevo circa una ventina di auto tutte incolonnate , con mediamente una sola persona a bordo, i gas di scarico che emettevano sostanze nocive a fronte di un nulla di fatto.
Ricordavo una vignetta vista su Facebook in cui si vedeva una miriade di automobili che popolavano una intera via, ciascuna di loro con una solo occupante, successivamente la medesima via con un numero esiguo di auto e quattro occupanti su ciascuna ed infine persone sedute a terra e incolonnate a due a due come fossero su sedili, e la scritta bus sopra di loro. Mi sarebbe bastato il secondo esempio per partire mezz'ora dopo da casa, arrivare mezz'ora prima e non far si che il mio fegato s'ingrossasse ogni volta che ruotavo la chiave di accensione.
Verde, passano una decina di auto, mi sento meglio, inizio ad avvicinarmi alla meta. Altro tempo a pensare a mio figlio, alla moglie, alla serata che mi attendeva.
Rosso, altro stop ed altra attesa
Nuovamente verde, arrivo a ridosso del semaforo, una sola auto davanti a me, giallo, dai ce la puoi fare schiaccia che passiamo entrambe, ma nulla si ferma e sono costretto ad attendere ancora minuti preziosi che possono compromettere la mia sanità mentale e fisica.
Cerco di distogliere lo sguardo, odio la macchina di fronte a me, sento il livello di nervoso alzarsi di molte tacche. Poi mi tranquillizzo pensando che ero quasi alla fine di questa tortura quotidiana, non una via alternativa, non un mezzo che mi portasse in tempi umani verso casa, ero un topolino ingabbiato in una scatoletta di lamiera fumante, nervoso come non mai.
Verde, finalmente, ora si che si ragiona, si va a casa, mentalmente penso che devo in qualche maniera accelerare per guadagnare un po' di tempo.
Ma che fa sto stronzo non parte? Non si sarà mica spento il motore? con la coda dell'occhio osservo gli scarichi, sono fumanti contemporaneamente mi attacco con ambedue le mani al clacson, prima con squilli intermittenti e poi con un suono prolungato. Nulla, giallo, cazzo parti, partiiiiii. Mi rendo conto che urlo e impreco in auto e poi il rosso. Sono al limite inizio a dirgliene di tutti i colori, lo fisso nello specchietto da un pezzo ma quella bestia mi fa vedere solamente la fronte, sarà il solito sfigato di turno, do ancora due colpi di clacson.
La testa dell'uomo cambia leggermente angolazione ed i suoi occhi si posizionano sullo specchietto retrovisore, finalmente ha avuto il coraggio di guardarmi in faccia, automaticamente tolgo le mani dal volante applaudo e nel contempo muovo la bocca molto lentamente affinché si accorga che gli sto dando nello stronzo.
La porta si apre, io sono infuriato, non può rovinarmi una giornata del genere, lentamente scende una figura ben piazzata, torace ampio e gambe muscolose a giudicare dall'aderenza dei pantaloni, taglio corto dei capelli, una maglietta nera ed una giacca verde militare, e stranamente inizio a domandarmi se non ha caldo con sta giacca indosso, ma poi il nervoso prende il sopravvento. Tiro giù il finestrino e attendo che sia vicino alla mia auto. Osservo le scarpe da ginnastica logore ed anche i jeans sporchi, le sue mani sembrano più dei badili che delle estremità umane sono luride, forse grasso o terra.
- Ma che fai cazzo? Non vedi che ti sei fumato due semafori verdi? Non ho intenzione di dormire incolonnato -
Nulla mi guarda con viso inespressivo, gli occhi fissi sui miei.
- Ehi sto parlando con te, oltre che daltonico sei anche sordo? Non riconosci quando è verde? –
Continuo con una serie d'improperi, il fatto che stesse in silenzio fissandomi con quegli occhi scuri mi faceva montare ancora di più il nervoso.
Poi un gesto, la giacca che si sposta di lato, un brivido lungo la mia schiena, il mio subconscio già aveva intuito un forte pericolo. Estrae una rivoltella senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi.
Mi sento di colpo svuotato, la gola è ridotta ad un orifizio durante un attacco di asma, desertica. Che cosa devo dire? ma cosa mi sta capitando, non può farlo, ci sono testimoni.
Guardo per una frazione di secondo lo specchietto retrovisore e gli occupanti dell'auto dietro alla mia sono spariti, si sono sdraiati sui sedili, e penso che se chiamassero la polizia mi farebbero un gran favore.
- Hai commesso un grave errore – mi disse l'uomo,
Il suo tono di voce non ha inflessioni dialettali, e la cosa strana è che anche se ha pronunciato una piccola frase non ho sentito cambiamento di toni, una voce piatta e profonda.
- Scusa, scusa non so cosa mi sia preso, io... io non –
le parole erano pesanti come macigni, il cervello non elaborava nulla di concreto, uscivano frasi sconnesse.
- Senti facciamo così, come posso fare per scusarmi, ti prego –
Sentivo le viscere che si scioglievano, un fiotto di urina aveva già imperlato i miei pantaloni di Armani in cotone color beige, sentivo il calore scendere lungo la gamba sinistra. Non può essere vero, sto sognando, questa è una trasposizione tragicomica e amplificata del film di Fantozzi.
Vedo la pistola abbassarsi lentamente, fare un movimento rotatorio a scostare la giacca per essere nuovamente riposta nel retro dei pantaloni. In quel momento i nervi cedono, ho voglia di piangere, chiedo ancora mestamente scusa con un filo di voce, ora le lacrime iniziano a scendermi lungo il viso.
Lui non parla, mi fissa costantemente, non ha mai mollato la presa sui miei occhi. Ruota lentamente su se stesso e fa due passi verso la sua vettura. Il semaforo è rosso, chissà quanto verdi mi sono già perso nel frattempo.
Poi si ferma, torna indietro. Istintivamente attivo il meccanismo del finestrino e lo chiudo. Mi fissa, scatta il verde, estrae la pistola nuovamente, all'improvviso tamburella la canna della pistola sul cristallo, ondeggia il polso che serra l'arma in segno di apertura del vetro. Sono paralizzato ma obbedisco.
Sul suo viso nessuna espressione, e le ultime parole monocordi che sento uscire dalla sua bocca sono state:
- Ci ho ripensato, sei morto –
Il fragore dell'esplosione è l'ultima cosa che ho sentito.
Se solo potessi tornare indietro.
Ora vedo mio figlio sull'altalena nel prato di casa, ha compiuto quattro anni da pochi mesi, la mamma lo spinge e tutti e quattro i nonni lo guardano mentre divertito continua a dire di non smettere di farlo dondolare.
Eh si, sono tutti a casa che aspettano un papà, marito, figlio e genero che mai tornerà, sono tutti a casa perché oggi avrebbero dovuto festeggiarmi, oggi era il mio giorno speciale.
Io sono morto nel giorno in cui sono nato.
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Luce rosso morte
Kısa HikayeMorire per una routine quotidiana, un gesto di nervoso dettato dall'automatismo del momento. Si riflette su quello che a tutti noi potrebbe accadere.