Capitolo 5

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Sento per la millesima volta quello stesso suono che mi perseguita ogni volta che devo andare all'inferno, ovvero la sveglia. La spengo come ogni mattina e, come ogni mattina, vado in cucina per fare colazione. Durante la colazione riflettei su quello successo il giorno prima e un sorriso mi si formò sulla bocca. Forse per il modo in cui Sascha si era sentito in imbarazzo a parlarmi, o per il fatto che non mi abbia insultato come al solito, mi sentivo soddisfatta, e non potevo non essere felice di quella situazione.
Ritornai con i piedi per terra solo quando Giuseppe, che nel frattempo era entrato in cucina, mi domandò:
- Ti sei divertita con Stefano, ieri? - mi voltai, stupita dal fatto che lui fosse a conoscenza della mia uscita di ieri. Mi spia, forse?
- Mi stolkeri, per caso? - di risposta ricevetti un semplice occhiolino e, sorridendo, uscì di casa.
Sospirai mentre continuai la mia colazione, non potevo avere una famiglia normale.

Arrivata a scuola entrai in classe e subito mi si parò davanti una ragazza. Bassina, capelli lunghi e neri, un pò ondulati che non avevo mai visto prima d'ora.
- Posso farti alcune domande? - aprì la bocca per rispondere ma vidi che tirava fuori un taccuino dove scrivere e una pena, per poi ricominciare a parlare.
- Da quanto vi conoscete tu e Sascha? Come vi siete conosciuti? È stato lui a dichiararsi o tu? Da quanto state insieme? - stupita da quelle inutili domande, la fermai.
- Ehi, ragazza che non conosco, non sprecare il fiato! Io e Sascha non stiamo insieme e non capisco perché ci tieni tanto a saperlo. - lei mi porse la mano con un sorriso tanto falso che poteva pure sembrare vero.
- Kate, scrittrice del giornalino della scuola, sono tenuta dalla preside a fare domande agli alunni su quello che può interessare il giornalino. - le strinsi la mano, stranita dal suo comportamento e fingendo un mezzo sorriso anche io. Poi lei riprese a scrivere sul suo taccuino.
- Allora? Mi rispondi o no? - provai a ribattere ma da dietro Kate spuntò Camilla che si intromise nella nostra conversazione.
- Kate, lasciala stare. È nuova, non avrà niente da dire, vai da qualcun altro. - Kate, come terrorizzata, annuì e scappò via. Mentre Camilla mi rivolse uno sguardo omicida, che io non capì finché non parlò.
- Senti carina, sei nuova e nessuno ti conosce ma vedi di non provarci con tutti, prima con Sascha, adesso con Stefano, stai alla larga da lui o ti ritroverai senza capelli, cara. Non metterti contro di me. - mi disse con fare minaccioso. Non ci volevo credere. Non ce la feci più e, arrabbiata, le dissi.
- Perché tutti pensano che io ci voglia provare con tutti e non mi lasciano in pace! - urlai. Camilla mi guardò stupita e notai che tutta la classe mi stava fissando, compresi Stefano e Sascha che mi guardavano preoccupati. Per l'imbarazzo corsi fuori dall'aula e mi rifugiai in bagno. Mi appoggiai al lavandino, mentre delle lacrime solcavano il mio volto. Le asciugai in fretta, sperando che non mi avesse visto nessuno e aprii il rubinetto per sciacquarmi la faccia. Purtroppo il mio intento di passare inosservata non funzionò dato che sentì una voce alle mie spalle.
- Perché scappi? - alzai la testa e nel riflesso dello specchio vidi Sascha con le mani in tasca appoggiato alla porta del bagno.
- Io non scappo - dissi abbassando lo sguardo per non incontrare il suo attraverso lo specchio.
- Oh si, invece - rispose lui avvicinandosi a me. Le lacrime minacciavano di uscire e dovetti strizzare gli occhi per trattenerle mentre Sascha si avvicinava al mio orecchio.
- Scappi perché sei debole. Sei ancora una bambina. Una stupida bambina che vuole sembrare grande ma non ci riesce perché questo non è il suo mondo. Ed è debole ma non vuole ammetterlo credendo di sembrare forte ma io so che non è così - mi sussurrò. Ormai le lacrime stavano scendendo a fiotti insieme a dei singhiozzi sommessi.
Ha ragione. Sono debole. Sono debole, e da quando i miei genitori mi abbandonarono mi sono rifugiata da Giuseppe e continuavo a piangere. Ogni volta che facevo quell'incubo non la smettevo di piangere. E mio fratello mi abbracciava, dicendomi che andava tutto bene, e io mi convincevo che era così.

Ma non volevo più essere debole.

Volevo cambiare, volevo affrontare la realtà e capire che mia madre è morta e non ritornerà più, mio padre è un assassino in galera ed è stato capace di uccidere sua moglie per motivi a me sconosciuti e che di amici avevo solo mio fratello.

- Sei solo una stupida, bambina debole - mi sussurrò ancora all'orecchio. Mi girai di scatto gli occhi rossi dal pianto, le lacrime che non volevano smettere di scendere e la voglia di cambiare dipinta sul volto di chi è stanco di questa vita, di essere rinchiusa nei ricordi, di non poter essere felice come vorresti, di non voler abbandonare il passato quando devi vivere il presente e lottare per avere la felicità che desideri. Lo guardai dritto negli occhi, era impassibile.
- Io non sono debole - sibilai. I nostri volti a pochi centimetri di distanza, i miei occhi incastonati nei suoi marroni che quasi non battevano ciglio. Nessuno si muoveva, ci guardammo per secondi che sembravano ore. Quando Sascha alzò una mano e mi accarezzò la guancia con le nocche bianche bagnata dalle lacrime.
- Perché ce l'hai tanto con te stessa? - mi disse con un filo di voce mentre un brivido mi percorse la spina dorsale a quel tocco delicato della sua mano. Non risposi. Gli buttai le braccia al collo e mi lascia andare ad un pianto straziante. Volevo solo liberarmi, liberarmi dal peso di quelle parole, anche se le aveva dette il ragazzo su cui stavo bagnando la felpa. Sascha mi strinse a se, senza dire niente.
Restammo così qualche minuto finché io non mi calmai e, piano lo lasciai andare. Avevamo ancora i volti molto vicini. Lui mi asciugò le lacrime con li pollice, guardandomi negli occhi. Eravamo calati in un silenzio rassicurante anche se ci aspettavamo entrambi che l'altro iniziasse a parlare. Così iniziai io rompendo questo silenzio.
- Perché sei qui? - lui si fermò e fece tornare gli occhi puntati su di me, mentre io non smettevo di guardarlo. Il suo volto era come tornato sul pianeta terra, e risvegliato dal mondo dei sogni quando mi rivolse la solita occhiata da 'non vorrei che tu esistessi' sospirando.
- Non lo so - rispose indietreggando e creando uno spazio tra noi che mi sembrava un abisso. Si passò una mano dietro la nuca e uscì, mentre io esaminavo ogni suo movimento. Mi appoggiai al muro, sedendomi per terra. Appoggiai la testa in dietro, contro il muro, mentre un'altra lacrima mi scivolò sulla guancia. Questa volta non dovuta alla conversazione precedente, ma al fatto che ero consapevole che non avrei più dimenticato quegli occhi marroni.

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