1. Ciò che affermo di aver visto

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Dunque questa era No. 6
Questa era Elyurias.

***

Mio grazioso signore,
Io dovrei riferirvi ciò che affermo di avere visto,
Ma non so come fare.
-Macbeth, Atto V Scena V

  Stavano precipitando. Cadevano quasi perpendicolarmente.
  Più velocemente di quanto Shion avesse immaginato. Sapeva fosse impossibile, ma aveva l'impressione di udire il suono del vento. Lo stesso di quella notte di tempesta.
  Era il 7 Settembre 2013 – il giorno del suo dodicesimo compleanno. La Città Santa era stata colpita da un uragano. La pioggia martellante al suolo, il vento che ruggiva furioso. Gli alberi del giardino oscillavano selvaggiamente, rami carichi di foglie venivano strappati via e trasportati dal vento. C'era un violento ed esteso uragano, di quelli che non si vedevano da diversi anni. Ma era certo che nessuna creatura vivente a Cronos si sentisse minacciato o ansioso. Anche per Shion e sua madre Karan era lo stesso.
  Quella era No. 6. Una città utopica, il risultato della saggezza e della più avanzata tecnologia umana. E in una simile utopia, Cronos occupava la più prestigiosa posizione tra i lussuosi quartieri residenziali, una città in cui solo ai prescelti era concesso vivere. Semplici disastri naturali come quello, non avrebbero mai potuto turbarne l'equilibrio.
  Tutti ne erano convinti senza il minimo dubbio. Gli era stato permesso di farlo.
  Quella notte di tempesta aprii la mia finestra.
  Per quale motivo? Se lo domandava spesso. Per quale ragione aprii quella finestra? Perché ero incitato da quella natura impazzita? Mi spingeva un violento impulso? Per quale ragione? Di certo ho aperto la finestra e ho urlato con tutte le mie forze, gridando come per gettare fuori tutta la rabbia. Se non lo avessi fatto, avevo l'impressione che sarei andato in pezzi. A modo mio, temevo sarei stato intrappolato e addomesticato da No. 6.
  Una paura indefinita – forse qualcosa che tu non hai mai conosciuto, Nezumi.
  Mi sembrava di soffocare. Avevo paura, volevo gridare.
  Ecco perché ho aperto la finestra – no?
  No.
  Non è questo.
  Tu mi hai chiamato.
  Io ho udito quella voce – la tua voce – che mi chiamava.
  La tua voce, che strisciando nel vento e correndo tra la pioggia, mi ha raggiunto.
  Mi hai chiamato, ed io ho udito la tua voce.
  Ecco perché ho aperto quella finestra. L'ho spalancata verso l'esterno.
  Ho esteso la mia mano alla tua ricerca.
  Rideresti di me? Ti prenderesti gioco di me, con quel sorriso che toglie il fiato ad adornarti il viso? Scuoteresti il capo esasperato in quel tuo modo elegante?
  'Fantasie sconclusionate. Un intollerabile massa d'imbarazzanti sciocchezze, prodotto a basso costo del tuo stesso autocompiacimento, come il lavoro di un artista mediocre' – sono queste le parole che mi riverseresti addosso? Probabilmente sì. Ridi pure, se vuoi. Credi anche si tratti di mie illusioni; non importa.
  Ma è la verità.
  Mi hai chiamato, ed io ho udito la tua voce. Ho proteso la mano e tu l'hai afferrata. Ho aperto quella finestra perché potessi incontrarti.
  È questa la verità su di noi, Nezumi.
  Un rumore gli risuonava nelle orecchie. Non era il turbinare del vento, ma il suono di qualcosa che scivolava lungo tubature di plastica. E se non fosse stato uno scivolo per rifiuti, ma una via di fuga per l'Inferno?
  All'improvviso la sua coscienza cominciò a offuscarsi. Ogni ferita sul corpo si era fatta calda e pulsava. Le forze lo stavano abbandonando.
  Andare all'inferno... non sembra così male se sono con te. Dovrei smettere di resistere? Perché non smettere semplicemente di sforzarmi, di combattere, di cercare di vivere?
  Se svenissi ora, sarei libero da questo dolore, da questa stanchezza.
  Shion chiuse gli occhi. L'oscurità gli si diramò davanti.
  Così...proprio così...
  "Ugh," il gemito di Nezumi gli trafisse i timpani come un fulmine che squarcia il cielo notturno, dissipando l'oscurità dalla coscienza.
  Dannazione. Shion si morse le labbra dolorosamente, rimproverandosi duramente. Razza d'idiota, cosa diavolo stavi pensando? Non puoi darti per vinto proprio ora. Vivi, devi sopravvivere. C'è un posto a cui dobbiamo fare ritorno, dobbiamo raggiungerlo a qualunque costo.
  Aveva fatto quel giuramento. Aveva giurato a se stesso che avrebbe protetto Nezumi fino alla fine, e sarebbero sopravvissuti insieme a quella prova.
  La presa gli sfuggì di mano, il palmo era impregnato dal sangue di Nezumi. Un topolino nero fece capolino dalla tasca, cominciando a correre lungo la parete del condotto. Non stava cadendo, stava sicuramente correndo.
  Conto su di te, Tsukiyo. Dì ad Inukashi che siamo vivi.
  Digrignando i denti, Shion puntò entrambi i piedi contro la parete. Sentiva le ossa scricchiolare sotto il peso. In qualche modo la velocità di caduta diminuì. Le ossa continuavano a scricchiolare come se stessero gridando di dolore.
  Dannazione, non mi arrenderò ancora. Shion si morse le labbra ancora più forte. Non avvertiva il sapore del sangue, la lingua era già abituata al suo gusto metallico.
  Inukashi – Aiutaci, Inukashi.
  Inukashi!

No.6 (Volume 9, Fine)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora