Evan e Trey sono amici di infanzia. Hanno due caratteri opposti, nessun sogno comune. Sono due poli opposti di una calamita. Sono come l'acqua e il fuoco. Evan sa benissimo quello che vuole dalla sua vita, lo sa da quando ha conosciuto Trey. E sa be...
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Non poteva essere vero.
La commozione cerebrale lo aveva trasportato in un mondo parallelo. Un universo ideale dove tutte le sue fantasie si erano improvvisamente avverate.
O forse era in coma. Forse l'incidente era stato più brutto del previsto e alla fine era stato trasportato in ospedale d'urgenza.
Oppure era morto e quello era il paradiso dove tutto sembrava normale eppure allo stesso tempo non lo era.
C'era la sua famiglia che si preoccupava per lui, c'era Aaron che si muoveva frenetico per aiutare chi ne aveva bisogno. E poi c'era Trey che fino ad un'ora prima non gli aveva neanche rivolto la parola. La voce del suo migliore amico si era piegata dalla sofferenza facendolo uscire da quell'oscurità che lo aveva avvolto dopo l'impatto. Una voce pastosa e roca che lo aveva spinto ad aprire di nuovo gli occhi. Aveva sentito troppa sofferenza in quella voce e per nulla al mondo avrebbe voluto essere un motivo di dolore per Trey.
Ma Trey non dimostrava mai i suoi sentimenti ed era per questo che continuava a chiedersi se fosse un sogno, perché lo aveva sentito tremare contro il proprio corpo, il respiro caldo che gli aveva sfiorato il collo. Aveva aperto gli occhi incrociando quelli grigio piombo vedendo la paura mischiata con la sofferenza, la preoccupazione e il sollievo. Una tempesta carica di pioggia che gli aveva fatto stringere lo stomaco.
Ma c'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che rendeva la sua realtà una forma distorta di sogni e desideri.
Trey era lì, accanto a lui, che si comportava come se gli ultimi giorni non fossero mai esistiti.
Come se fossero tornati ad essere Trey e Evan. Ma quella era ancora la versione sbagliata della realtà.
Anche seduti l'uno accanto all'altro, nel sedile posteriore dell'auto dei suoi genitori, sentiva un'elettricità diversa provenire dal corpo del suo migliore amico. Sembrava quasi in procinto di saltargli addosso per proteggerlo qualora ci fosse stato un nuovo pericolo.
Sapeva di aver provocato in Trey una reazione del tutto sensata. La paura di perdere di nuovo qualcuno lo stava spingendo a comportarsi in quella che si potrebbe chiamare la sindrome da supereroe.
Essere l'oggetto di quella protezione era piacevole anche se portava con sé una strana amarezza che gli riempiva la gola.
Trey aveva perso i suoi genitori in un incidente e anche se tra di loro non c'era mai stato un buon rapporto, il dolore era ancora lì a sedimentare dopo anni.
Trey non gli aveva mai detto il perché tra lui e la sua famiglia le cose fossero precipitate ma sapeva che c'erano parole che il figlio avrebbe voluto dire ai genitori e adesso Trey non poteva più farlo.
Il rimpianto e la consapevolezza che la vita potesse essere fugace avevano spinto Trey ad essere un ragazzo premuroso che però non dimostrava mai di esserlo, nascondeva tutto dietro una facciata menefreghista ed ironica.