Capitolo 1

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Capitolo 1
Le nuvole coprono il cielo di color grigio scuro che si avvicina al blu. Poca luce illumina le strade anche se il sole è già alto nel cielo. Una giovane donna scende dal taxi in quella zona malfamata di Gotham City. Si sta recando a lavoro all'Arkham Asylium, il manicomio della città. Qui sono rinchiusi tutti i peggior malati di mente e pazzi che si siano mai conosciuti. Si da quando era piccola Harleen Quinzel ascoltava i problemi degli altri e gli aiutava a risolverli. Come con la madre, quando il padre le abbandonò cadde in una depressione profonda e la bambina la fece uscire dall'oscurità. Da qual momento capì qual'era la sua strada e dopo grandi sacrifici, divenne psichiatra. Oltre a questa sua dote naturale, incrementò la sua passiona per la materia un'ossessione per i diversi, coloro che pensavano in modo strano, quasi malsano a dire degli altri. Grazie ai brillanti studi trovò lavoro quasi subito e da ormai un paio di anni era fissa in quella struttura.
Stringendosi il cappotto blu entra nel grande edificio. I lunghi capelli biondi le volavano negli occhi.
Dopo essersi messa il camice, sale le numerose scale che portano all'ufficio del suo capo, un uomo non molto comprensivo. Da settimane cercava di incontrare un nuovo ospite. Voleva scrivere un libro su di lui. La affascinava. Voleva studiarlo e riuscire a capire in fondo quello che lo ha trasformato nel nostro del Joker. Sapeva che questa era la volta buona, il capo le aveva telefonato la sera prima che avrebbe ricevuto una sorpresa e così fu.
"Vuole vedermi?" Esclama sbattendo le porte dietro di se.
"Si. Abbiamo compiuto varie analisi e molti esperti hanno deciso che il paziente Zero è pronto a ricevere visite faccia a faccia. Quindi si puoi incontrarlo quando vuoi"
"Grazie mille, non si pentirà. Uscirà un bellissimo libro. Grazie ancora" nella sua voce traspare quel raro entusiasmo che solo poche volte si lascia fuggire.
Si sente così eccitata all'idea di poter parlare con quell'uomo, se si può definire tale, che le mani le tremano. Trascorre il resto della mattinata nel suo piccolo ufficio a leggere svogliatamente fascicoli di altri pazienti e compilando moduli per conoscere Mr J. Ogni dieci minuti si appunta nel taccuino delle domande da poter rivolgerli, utili per la sua opera.
L'ora è arrivata. Si alza da quella poltrona di pelle rosso scuro quasi marrone, per dirigersi nei sotterranei. È lì dove sono i "prigionieri". Le guardie la scortano dentro una stanza blindata con solo un tavolino di metallo e due sedie. Nella parete c'è una piccola finestra che non da da nessuna parte e circondata da sbarre. Si accomoda nel posto più vicino all'uscita. Uno degli uomini le affida una specie di telecomando da premere in caso di pericolo è che loro sarebbero stati fuori dalla porta. Non gli era permesso ascoltare quei colloqui. Harleen inghiottisce la saliva per la paura. In quel momento vorrebbe non aver chiesto di trovarsi in quella situazione, ma ormai è troppo tardi. Altri due soldati entrano dalla porta opposta costruita solo di sbarre di ferro tenendo saldamente il pazzo per le braccia e lasciandolo cadere pesantemente sulla sedia. Indossa una camicia di forza che lo costringe a tenere le mani dietro la schiena. Tiene la testa bassa sul tavolino per poi alzarla con un sorriso gigante e inquietante mostrando i denti argentati. La ragazza è a bocca aperta, si sente indifesa a quella presenza, anche se quello in svantaggio è lui. Non riesce a togliere gli occhi di dosso. Ammira i capelli verdi tirati all'indietro, la pelle consumata dall'acido bianca cadaverica, i tatuaggi e la sete di potere e pazzia nelle pupille.
"Uhm.. Sono la dottoressa Harleen Qunzel.."
"Ma che bel nome. Scommetto che i suoi amici la chiamano Harley" la interrompe sporgendo la testa verso di lei.
"Oh.. Non ho molti amici" ammette con molto imbarazzo.
"Beh Harley.. Ne ha uno" sorride di nuovo. È contagioso perché anche lei accenna un sorriso un po' timido.
Era vero non ha molti amici. Ha sempre vissuto in solitaria e non era nemmeno una tipa molto socievole, colpa dell'infanzia difficile e della vita crudele.
"Sono la sua nuova psicanalista e le vorrei fare qualche domanda, se non le dispiace.."
"Non ho niente di meglio da fare e non credo di uscire presto. AH AH AH" scoppia in una fragorosa risata che riesce a penetrarti le ossa e rabbrividire tutto il corpo. Non era causata da divertimento, ma celava quasi odio, sacrificio, tristezza e sicuramente pazzia.

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