01. Ultimo Quarto

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("Chiaro di Luna" by Claude Debussy)

Camminava in mezzo alla strada, e non aveva paura.
Le mani nelle tasche, il cappuccio tirato sopra il capo, gli occhi che brillavano nel buio. Somigliava ad uno spirito viandante della notte, avvolto in un fascino oscuro e misterioso che aveva intrigato molte persone. Nessuna si era mai davvero avvicinata a lui, però. Nessuna.
Perché lo spirito della notte aveva il cuore di un lupo solitario senza branco, di una stella senza costellazione. Era bello e forte, ma solo.
Si fermò e si sedette sul bordo del marciapiede, mentre tirava fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette ed un accendino. Estrasse una delle sue piccole ed effimere forme di felicità e l'accese, facendo un lungo tiro e lasciando che la nicotina iniziasse a circolare nelle sue vene. Una smorfia simile ad un mezzo sorriso si aprì sul suo volto quando si rese conto di non sapere come tornare a casa. Magari avrebbe potuto chiamare Percy, quella sera sarebbe dovuto uscire con Annabeth. Si chiese che ore fossero. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, pigiò il tasto per sbloccarlo e lo schermo si illuminò. 12.47. Non era poi così tardi, Percy sarebbe dovuto essere già sulla strada di ritorno, dopo aver accompagnato la sua ragazza a casa. Lo chiamò.
- Lasciami indovinare. Sei da qualche parte, da solo e non sai come riportare le tue chiappe a casa.
La calda voce di Percy dall'altro lato del telefono risuonò prima ancora che il ragazzo potesse salutarlo.
- Cloxford Road, fratello. - pronunciò con la sua solita voce roca, ridacchiando appena.
- La prossima volta ti ci lascio. - sbuffò Percy, prima di mettere giù.
Prese un altro paio di boccate, tenendo la sigaretta in bilico fra le sue pallide e affusolate dita. Sua madre diceva sempre che aveva delle mani da pianista, ma lui il pianoforte non aveva mai saputo suonarlo. Gli sarebbe piaciuto, forse. Saper suonare il Requiem di Mozart, o il Silenzio di Beethoven, magari il Lago dei Cigni di Cajkovskij o il Chiaro di Luna di Debussy. Sì, gli sarebbe piaciuto, saper suonare la musica, essere capace di esprimersi così, senza parole. Gli sarebbe piaciuto davvero.
Finì la sigaretta assorto nei suoi pensieri, senza quasi accorgersene. Ecco cosa era capace di fare, lui. Distruggere, distruggersi i polmoni, l'anima, solo di questo era capace. Sua madre e sua sorella sarebbero state disgustate da lui.
Spinse l'estremità accesa del mozzicone di sigaretta sul marciapiede, spegnendola, ed abbandonandola lì.
Dopo qualche attimo la piccola macchina blu scura di Percy si fermò, e lui si abbassò il cappuccio, liberando i suoi capelli color dell'ebano, per poi salire affianco a Percy, salutando il guidatore con un cenno del capo e posando i piedi sul cruscotto. Percy era abituato ai suoi modi di fare forse un po' odiosi, e a volte non faceva nemmeno più caso alla strafottenza e al menefreghismo dell'"amico", come ogni tanto osava definirlo, facendosi rifilare un'occhiataccia dal ragazzo.
- Ciao, Nico. - disse con fare rassegnato, ripartendo e guidando moderatamente verso casa. I fari illuminavano la strada buia, e Nico teneva la fronte posata sul finestrino, e fissava il paesaggio fuori, pensieroso. Percy non sarebbe mai riuscito a capire cosa passava per la mente di quel ragazzo.
Nico aveva due anni meno di lui. Percy lo conosceva da quando ne aveva sei, e allora era un bambino così entusiasta. Era loquace, sempre allegro, sorridente. Aveva una passione per i pirati, ne disegnava di continuo, e girava sempre con una piccola spada di plastica in mano, giocando a fare gli assalti. Spesso Percy assecondava i suoi giochi, e continuò a farlo anche quando, ad otto anni, andò in fissa con Mitomagia. Ogni volta che Percy andava a trovarlo, gli portava una carta nuova, e Nico gli regalava un grandissimo sorriso pieno di gioia e gratitudine, prima di obbligarlo a giocare con lui, utilizzando la scusa di dover imparare ad usare la carta nuova. Erano anni bellissimi quelli, e Percy non poteva fare a meno di ricordarli con nostalgia... Ricordava di quando andavano a casa dei Di Angelo, e Maria apriva a lui e a sua madre la porta, accogliendoli con un abbraccio che solo lei era in grado di dare, che ti scaldava tutto. Poi Nico lo prendeva per il polso e lo trascinava in camera sua. Mentre le loro madri chiacchieravano in cucina, davanti ad una bella tazza di caffè, loro giocavano per ore. Bianca, sorella di Nico e coetanea di Percy, qualche volta si univa a loro. Altre invece rimaneva ad osservarli soltanto.
Poi tutto cambiò. Una sera, sua madre entrò in camera sua, gli occhi umidi di lacrime appena asciugate, e abbracciandolo gli disse che Bianca e Maria Di Angelo erano morte in un incidente stradale. Percy era rimasto sconvolto.
Al funerale, non faceva altro che gettare occhiate preoccupate a Nico, il quale sedeva in prima fila. Non piangeva. Non parlava. Non parlò per due mesi, Percy lo ricordava. E quando ricominciò, le sue parole non tornarono più come un tempo, ma rimasero così, come spezzate. E Nico non parlò e non sorrise mai più come una volta.
Dopo il giorno del funerale, Nico fu affidato al padre, Ade, ed andò a vivere da lui a Los Angeles, insieme al suo fratellastro, Thanatos. Il rapporto fra Nico ed il padre non era mai stato bello. I due non comunicavano granché, e non si capivano. Per questo, appena compiuti diciotto anni, Nico era tornato a vivere a San Francisco. Aveva trovato un piccolo monolocale proprio sopra quello di Percy, ed ormai vi abitava da quasi un anno.
La macchina venne parcheggiata non lontano dal portone, ed i due ragazzi scesero, stringendosi entrambi nei loro giubbotti e fermandosi davanti al palazzo. Percy estrasse le chiavi ed aprì, lasciando che Nico sgattaiolasse dentro, per poi seguirlo.
- Com'è andata con Annabeth? - chiese Nico, sovrappensiero.
- Oh bene. - rispose, iniziando a salire le scale dietro di lui.
- Frank è fuori con Hazel stasera?
- No, credo siano a vedere un film da lei.
- Ottimo. Vado a fregargli delle uova, sto morendo di fame. - disse il minore, fermandosi davanti alla porta del loro vicino canadese e tirando fuori una chiave, fregata proprio a Frank, con la quale aprì la porta ed entrò come se nulla fosse.
Percy sospirò, prima di seguirlo controvoglia. - Nico, quando la smetterai di intrufolarti negli appartamenti degl'altri?
Il piccolo Di Angelo gli rispose dalla cucina, dove si era già impossessato del frigo. - Quando smetteranno loro. Ti devo ricordare della volta in cui Jason mi ha rubato il disco di Chopin per studiare, prima dello scorso esame? O di quando hai beccato proprio il caro Frank seduto sul tuo divano a giocare a GTA?
Percy ridacchiò. - Hai ragione, fratello.
Nico risbucò dalla cucina con due uova in mano e fece cenno a Percy di andare. Uscirono e chiusero la porta, per poi continuare a salire. L'appartamento di fronte a quello di Frank era abitato da un anziano signore, che era lì da anni e che evidentemente non aveva alcuna intenzione di andarsene. Al piano subito sopra c'erano gli appartamenti di Jason e Percy. Infine, al terzo piano, c'era l'appartamento di Nico, ed uno vuoto, che da anni era in vendita ma che nessuno comprava. Sopra ancora, si apriva un grande terrazzo, un bel ritrovo comune ai quattro ragazzi del condominio.
- Vuoi che salga un po' da te? - chiese Percy, con finta noncuranza. Lo ripeteva tutte le volte che tornavano a casa insieme, la notte. Percy sapeva che Nico diventava triste nella solitudine della sera, e sperava sempre di poterlo preservare un po' da essa. Ma Nico rispondeva sempre di no. Quel che non aveva mai confidato a nessuno è che a lui piaceva, la malinconia della sera. Se ne andava in balcone, posava i gomiti sul davanzale e fumava, osservando la vita della città scorrere silenziosa, le persone dormire e le anime sole come la sua perdersi nella luce della luna.
Nico scosse la testa. - No, va' a dormire, mi sembri stanco. Buonanotte, e grazie per il salvataggio di questa sera. - disse, rivolgendogli poi un sorriso tirato.
- Buonanotte anche a te, Di Angelo. - rispose Percy ridacchiando e facendo l'occhiolino al minore, per poi scomparire dietro la porta del suo appartamento.
Nico sospirò e corse su per le scale, fermandosi davanti alla sua porta ed aprendola, per poi entrare.
Si trovò nel suo piccolo salone: sulla parete davanti alla porta c'era una grande finestra che si affacciava sulla strada, e sotto di essa era posta una cassapanca di legno scuro, sulla quale lui amava sedersi, a leggere, ad ascoltare la musica o semplicemente a guardare fuori. Attaccato alla parete di sinistra, c'era un morbido divano, e di fronte un grande porta dischi, pieno di CD di musica classica, per lo più. A destra dei dischi, c'era una libreria di legno, zeppa di libri, in gran numero di poesia, poi romanzi di Oscar Wilde, Italo Calvino, Bukowski e molti altri. Poi, su un ripiano tra la libreria ed il porta dischi era posato il suo fantastico stereo, con il quale allietava le giornate piovose.
C'erano solo altre tre stanze in quell'appartamento: un piccolo bagno, la cucina, stretta e lunga, arredata in modo molto rustico, ed infine la sua camera, riempita soltanto dal suo spazioso letto dalla trapunta nera, una scrivania stracolma di fogli e libri, ed un armadio a muro.
Nico era abbastanza orgoglioso della sua casa, ed era contento di viverci.
Andò in cucina, dove cucinò le uova rubate a Frank, le quali costituirono il suo unico pasto della giornata. Mangiò lentamente, in piedi, con il piatto in una mano e la forchetta nell'altra, poggiato al ripiano. Finito, li aggiunse alla pila di stoviglie da lavare e si diresse verso la sua stanza da letto, dove si lasciò cadere sulla sedia girevole nera, piazzata davanti alla scrivania. Accese la lampada, tirò fuori appunti, libri vari, matita ed evidenziatore; si mise a rovistare in mezzo a tutto quel caos di fogli bianchi, sottolineati, scribacchiati, stropicciati, finché non scovò la sua preda, ovvero un fodero che, una volta aperto, mostrò dei semplici occhiali neri da riposo, che posò lentamente sul naso, per poi mettersi a studiare. Filosofia, da sempre reputata una materia pericolosa. La sapienza è pericolosa, perché rende gli esseri umani meno ciechi, e sempre più capaci di capire da soli la strada giusta, di renderli addirittura capaci di contestare leggi e regole imposte dalla società. Davvero una materia pericolosa, per questo Nico aveva deciso di studiarla. Era sempre stato affascinato da essa, davvero da sempre. Perciò quella sera mettersi a studiarla non fu per lui affatto un peso. Anzi, fu quasi un privilegio. Era come se gli dei gli stessero concedendo di scoprire le più segrete e più antiche conoscenze dell'uomo, come se il mondo stesse permettendo a lui di guardarlo dall'alto, studiarlo e perfino criticarlo, per far in modo che un giorno lui potesse essere in grado di migliorarlo. Sì, Nico era felice di studiare la filosofia. E la studiò per tutta la notte, e lo avrebbe fatto per molte notti successive, senza mai smettere di essere assetato di parole, senza mai smettere di volerne ancora, senza mai smettere di sorprendersi di quanto bella potesse essere la saggezza.
Quando i suoi occhi iniziarono a bruciare talmente tanto da non riuscire più a decifrare le parole scritte sui suoi libri, fu costretto a smettere, e così si alzò e barcollò fino alla cassapanca in salone, vi si buttò sopra, dopo aver acceso lo stereo. Qualche attimo dopo il "Claire de lune" di Debussy riempì la stanza. Il volume non era altissimo - non voleva che qualcuno dei suoi vicini venisse a bussare alla sua porta con in mano la scopa da rompergli sulla testa - ma comunque lo rilassò, e lo trasportò lontano dal mondo, in un universo parallelo, deserto, silenzioso e bellissimo. Sotto le sue palpebre chiuse, vide la luce della luna rispecchiare sul pelo dell'acqua, di uno stagno, un laghetto, o forse del mare, non avrebbe saputo dirlo. Sentiva la luce chiara aderirgli addosso, il bianco della luna sembrava sempre più vicino, e quasi gli parve di sfiorarlo con un dito.
Oh, come faceva sognare la musica classica... Anche sua sorella lo ripeteva sempre.
Era stata Bianca a regalare a Nico il primo disco: le Quattro Stagioni di Vivaldi. Era stato amore a prima vista, anzi, a primo ascolto. Sua madre ricordava spesso con gioia dell'espressione stupefatta che si era aperta sul volto del piccolo Di Angelo la prima volta che ascoltò quel disco. Da allora le sue giornate di bambino furono allietate da quella dolcissima musica. Gli faceva sembrare sempre che tutto andasse bene, che sarebbe sempre andato tutto bene. Che passione.
Con gli anni, la collezione di Nico si era ampliata sempre di più. S'impilarono via via dischi su dischi. I soldi racimolati a Natale e quelli rubati dal resto del supermercato, tutti andavano spesi per quella droga così delicata e perfetta. Andavano spesi per Schubert e per Wagner, per Bach e per Hendel. Come ne era orgoglioso, il piccolo Nico. La musica entrava ogni giorno di più nelle sue vene, come una droga da cui non avrebbe mai voluto disintossicarsi. Riempiva il suo mondo, lo riempiva di quel suono così dolce e perfetto, lui era diventato parte della musica.
Poi ci fu il silenzio. Con la morte della madre e della sorella, la musica si spense. Piano piano anche lei lo aveva abbandonato. Nico non capiva più che poesia ci potesse essere in una vita tanto crudele, fredda ed ostile. Dannati i compositori, che l'avevano illuso, che lo avevano lasciato credere nell'arte. Dannato i pittori, gli scultori, gli architetti, gli scrittori, che avevano iniettato in lui il gene artistico, che lo indotto a credere nella bellezza della vita, che gli avevano mostrato un mondo meraviglioso, che però non esisteva. Dannati. Lo avevano illuso, avevano infuso in lui la speranza, ed avevano fatto in modo che ci si ferisse irrimediabilmente. Il silenzio aveva riempito quei giorni, quei mesi, quegl'anni... soltanto il silenzio. Un silenzio assoluto, vuoto e freddo, un silenzio che nessuna parola sarebbe mai stata in grado colmare: tutte venivano risucchiate dal suo buco nero. Aveva iniziato a fumare, a mentire, a chiudersi. Aveva iniziato a coltivare l'apatia e ad idolatrarla.
Ci era voluto tempo, ma lentamente ne era uscito. Circa. Nico sapeva che la bellezza esisteva, e sapeva anche che essa spesso era generata proprio dal dolore che lui aveva odiato tanto. Ciò però non lo aveva reso più socievole né meno scontroso, non aveva aumentato di molto il numero delle sue parole né gli aveva fatto togliere il vizio del fumo. Ma per lo meno gli aveva dato la coscienza che oltre a quel dolore che provava sotto la pelle, c'era anche la bellezza, la gioia e lo stupore. Ed il dolore ed il senso di solitudine non erano poi così terribili.
Riaprì gli occhi, ed erano passate forse ore, tanto che già le prime delicate pennellate di rosa iniziavano a comparire nel cielo, ormai non più così nero. Alzatosi, uscì in balcone, posò i gomiti sulla ringhiera e, fumando con eleganza, si godette la fine di quella notte.

*Spazio Autrice*
Heylà! Quanto tempo che non ci sentiamo, eh gente?
Lo so, lo so, ho abbandonato Go Away a se stessa, mi spiace davvero tanto. Ma trovavo la stesura di quella storia estremamente morbosa. Magari un giorno quando avrò finito questa (e sarò più regolare nel pubblicare, giuro) la riscriverò daccapo.
Spero apprezzerete questa storia un po' diversa tanto quanto l'altra. L'ho molto a cuore, e l'ho tenuta nascosta per molti mesi. Finalmente é arrivato il momento di mostrarvela!
Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima! ✨
-Elgi

Lone Wolves - ValdangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora