Seconda Prova

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Lui era in pericolo. Lo era quasi sempre, in realtà, ma quella volta avrebbe potuto essere fatale. Aveva passato praticamente tutta la sua vita, con lui. Aveva fatto cose importati, per lui, nonostante non avesse che qualche anno di vita. Aveva imparato da tempo, stando con lui, che non sempre le cose vanno come si vorrebbe, ma era contenta di essergli stata vicina. L'aveva visto felice come non mai, quando si erano incontrati per la prima volta, con lo sguardo incantato di chi, di momenti felici, ne aveva passati davvero pochi; con la meraviglia negli occhi caratteristica di tutti i visi giovani che in passato si erano fermati ad ammirarla. Doveva ammettere di essere stata piuttosto spaventata quando l'uomo gigantesco, che anche in quel momento era di fianco a lui, l'aveva portata via da casa, ma si era ambientata presto ed aveva visto un sacco di posti, viaggiando per svolgere i suoi compiti.
Ricordava una delle prime consegne importanti che aveva effettuato: un manico di scopa da parte della donna severa con i capelli sempre raccolti. Lui era stato così entusiasta! E con quella, avrebbe potuto essere felice, sentirsi libero e volare esattamente come lei... o quasi: nessuno volava bene come lei, di questo era assolutamente certa.
Ricordava la terribile estate in cui non era potuta mai uscire dalla gabbia, perché quel vecchio coi baffoni e la bionda col collo lungo non gliel'avevano permesso, e ricordava quando i tre rossi, quello piccolo e i due uguali, erano arrivati per portarli via e finalmente aveva potuto aprire di nuovo le ali e volare alta nel cielo.
Ricordava i sibili di serpente che durante l'anno avevano pervaso il castello e quanto era stata grata alla fenice per averlo tratto in salvo quando lei non avrebbe potuto farlo.
Ricordava il professore lupo, tutto trasandato, che vegliava di nascosto su di lui, e anche l'orribile gatto dell'amica riccia che chissà perché ce l'aveva con il topo del rosso.
Ricordava l'ippogrifo sul quale era scappato quell'uomo che sembrava un po' pazzo, e al quale lui si era tanto affezionato. Gli aveva portato moltissime lettere, negli anni, ed a volte quell'uomo era un cane: l'aveva invidiato, perché le sarebbe piaciuto poter essere una persona e poter dire ciò che pensava, che vedeva quando apriva le sue ali bianche e osservava tutto ciò che la circondava con attenzione...Era certa che sarebbe stata di aiuto.
L'anno dopo era stato pieno di novità, per lei: nella Guferia erano arrivati un sacco di nuovi abitanti, ed aveva scoperto quanto fosse grande il mondo e desiderato poterlo girare tutto, prima o poi, magari quando lui avesse finito la scuola.
Era stato anche un anno pericoloso: quel mostro sputa-fuoco l'aveva rincorso per tutto lo stadio di Quidditch, e poi lui si era gettato nel Lago Nero per un sacco di tempo per riprendersi il rosso, con il quale aveva fatto pace dopo che non si erano parlati per tanto tempo, e quando era tornato dal labirinto aveva portato con sé un ragazzo morto. Quello successivo, era stato un periodo veramente difficile: lui era stato intrattabile, urlava e tutti gli dicevano che era un bugiardo. E poi c'era quell'insegnante sempre vestita di rosa, che gli faceva sanguinare la mano per punizione. Le avrebbe volentieri beccato gli occhi, ma purtroppo un comportamento simile non si confaceva ad una civetta come lei. Una volta, lui l'aveva chiamata altezzosa. Non sapeva cosa significasse, ma la parola non le era piaciuta e non si era fatta vedere per qualche giorno.
Era stata molto preoccupata per l'uomo gigantesco, all'inizio di quell'anno scolastico, perché non era nella sua casetta nel prato dove spesso andava a trovarlo: dopo la prima impressione, si era davvero affezionata a quell'uomo dalla riccia barba lunga, che la trattava sempre così bene e le parlava a lungo di tutto ciò che accadeva nel castello - anche se ogni tanto si pentiva di ciò che le aveva detto, come se lei avesse potuto raccontarlo a qualcuno! Dopo un po' di tempo, però, era tornato, e lei era stata davvero felice, anche se non aveva mai capito perché avesse il viso coperto di lividi: non riusciva ad immaginare che qualcosa o qualcuno potesse far del male ad un uomo così grande.
Quell'anno, l'uomo al quale lui era tanto affezionato era morto: lo sapeva, perché non gli aveva più portato lettere e non l'aveva più visto. Lui non era mai stato tanto triste come in quei mesi. Doveva essere una persona davvero speciale.
Prima di tornare a scuola, quell'estate, lui e l'orribile ragazzo che abitava nella stessa casa erano stati aggrediti dalle ombre volanti che avevano invaso anche il castello anni prima, e c'era stato il pericolo di non poter tornare ad Hogwarts, ma alla fine tutto si era risolto: fortunatamente, aveva pensato, perché non avrebbe potuto passare un altro istante nella casa grigia, con quel quadro urlante e quel bruttissimo elfo dalle orecchie enormi, senza diventare matta ed iniziare ad agitarsi come quel minuscolo gufetto che la piccola rossa- che tanto piaceva a lui - aveva preso. Non lo sopportava,quel gufo: era totalmente indisciplinato e non perdeva occasione per mostrargli come avrebbe dovuto comportarsi, ma lui pareva non comprendere e continuava ad essere poco professionale. Eppure, tutti sembravano adorarlo... e, sia chiaro, lei non era assolutamente gelosa!
Durante l'anno, lui aveva passato molto tempo con l'uomo dalla lunga barba bianca, l'uomo più importante di tutti gli altri, quello con cui stava la fenice.Una sera, se n'erano andati via insieme, e il castello era stato attaccato: maghi e streghe vestiti di nero erano entrati ed avevano iniziato a far del male a tutti quanti e, alla fine, l'uomo con la barba bianca era morto, ucciso da quello con i capelli neri ed il naso lungo, quello che sembrava odiare tanto lui, anche se - a suo parere - non ne aveva motivo.
Lui si era arrabbiato, aveva gridato e pianto, aveva rincorso l'uomo dai capelli neri, ma non aveva potuto fare niente, e tutti gli uomini cattivi erano spariti.
Lei sapeva, però, che sarebbero tornati, ed aveva avuto ragione: erano tornati proprio quella sera, mentre andavano come sempre a casa dei rossi... Solo che ci stavano andando in modo un po' strano rispetto al solito: avevano fatto in modo che molti di loro sembrassero come lui, anche se lei non si sarebbe mai lasciata ingannare e non l'avrebbe mai confuso con gli altri.
Si erano impegnati tutti, per tenerlo al sicuro, ma non era bastato.

Lanciò un ultimo sguardo ai suoi occhi verdi e ai capelli neri, e lo sentì urlare il suo nome. Lampi di luce verde la sfiorarono, mentre la sua gabbia cadeva nel nulla. Quanto avrebbe voluto essere libera, poter volare, poterlo proteggere da quelle luci mortali. Ma era in gabbia, e non poteva fare nulla. Un lampo la colpì, e fece maledettamente male. Stridé, e cadde. Cadde per quello che le parve un momento lunghissimo - lei, che non era caduta mai, che aveva avuto sempre le sue forti ali a tenerla al sicuro, cadde sul fondo della gabbia, e morì.



Si svegliò in un luogo tutto bianco, in cui non si distingueva la terra dal cielo. Sembrava il posto ideale in cui nascondersi e stare al sicuro: tutto era del colore delle sue piume e della neve.
«Edvige!» sentì esclamare una voce triste e sorpresa allo stesso tempo. Era lui?
Piegò la testa con sguardo interrogativo di fronte a qualcuno che a lui somigliava moltissimo, ma era più vecchio... E non aveva i suoi occhi verdi, quelli che tanto le piacevano.
Li aveva lei, però. Era rossa, ma un rosso più scuro di quelli a cui era abituata.
E c'era l'uomo che si trasformava in cane, con loro.
E, dopo poco tempo, li raggiunse anche il mago strano con l'occhio di vetro.

Si guardò attorno, non più confusa: una cosa ora era certa di sapere, ossia che sperava di non vedere lui, in quel posto. Non per molto tempo ancora.

E più avanti, quando sarebbe stata l'ora, sarebbero stati nuovamente insieme.

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