Capitolo 3: ferite

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Ancora una volta la luce del mattino proveniente dall'alta finestrella con le sbarre mi dà il buongiorno, illuminando fiocamente la mia cella e facendo scomparire l'ultimo brandello di sogno che, come la tela di un ragno, mi aggroviglia a sé, intrappolandomi in un limbo in cui coscienza e incoscienza sono la stessa cosa.
Vedo ancora, sotto le palpebre socchiuse, i volti freddi e scuri dei miei familiari, protagonisti dell'ennesimo incubo che ha abitato il mio sonno, come un inquilino difficile da cacciare via, che una volta accomodatosi con i suoi bagagli e i suoi mobili, cambia le serrature, sigilla ogni finestra e non esce più di casa.
Sono sempre loro. Sempre uguali a quando li ho visti l'ultima volta: il viso dolce e affettuoso di mia madre, incorniciato dai lunghi capelli scuri che mi dice di fare il bravo all'accademia; l'espressione seria e burbera di mio padre mentre esce per andare a lavoro; il volto pallido e gli occhi scuri di Itachi mentre il suo corpo torna cenere.
Quando riuscirò finalmente ad accettare il passato? Non ce la faccio più a continuare così.
Giorni e nottate serene che mi fanno pensare di essere finalmente arrivato a convivere coi miei ricordi vengono inframezzate da incubi improvvisi e decisamente non desiderati.
Con l'unica mano ancora a disposizione, mi stropiccio gli occhi, cercando di liberarmi dalla mia ossessione notturna e mi giro sul duro materasso.
Una nuova fitta di dolore mi trafigge il moncherino ed io sopporto ancora, stoico come al solito, e rassegnato al fatto che mi porterò dietro questo problema fino alla fine dei miei giorni. 
Sono ormai passate tre settimane da quando Sakura mi ha portato la mirror box eppure finora non ho visto miglioramenti evidenti nella mia condizione e la cosa mi spaventa non poco.
Pur senza un braccio continuo ad allenarmi, ostinato, nella speranza che una volta uscito da questo posto io possa continuare a fare il ninja, ad essere uno shinobi di Konoha a tutti gli effetti, ma se non guarisco da questa sindrome come potrò anche solo pensare di sopravvivere ad uno scontro? Se mi prendesse uno dei miei dolori durante un combattimento perderei la vita come il più infimo ed inutile degli idioti. Una fine ignominiosa per un Uchiha.
Il solo pensiero di sprecare così le tante vite sacrificate in questi duri anni di lotta, mi riempie di una rabbia tanto intensa da spingermi ad alzarmi e smettere di perdere tempo in simili elucubrazioni. 
L'unica costante della mia vita è sempre stata la dura disciplina fatta di allenamenti, studio di vecchie tecniche utili per rafforzare le basi della mia formazione ninja e sperimentazioni per creare nuovi colpi.
Faccio scivolare la manica della maglia in modo da sfilare il moncherino dall'interno e poi facendo leva con il gomito dell'altro braccio mi libero, a fatica, della restante parte in modo da restare a torso nudo. A forza di fare pratica finalmente riesco senza troppe difficoltà a vestirmi e svestirmi, ho sempre odiato aver bisogno dell'aiuto degli altri per le cose importanti, figuriamoci per queste questioni quotidiane ed intime.
Avvicinandomi alla bacinella di acqua fredda che mi concedono per lavarmi, prendo la pezzuola e la uso per asciugare il sudore freddo che mi è rimasto attaccato addosso dopo l'incubo, poi mi posiziono in modo da cominciare a praticare le forme del taijutsu. 
La mancanza di un braccio mi rende sbilanciato e per questo ho cercato di trovare un nuovo punto d'equilibrio da sfruttare per non avere problemi durante i combattimenti corpo a corpo.
Anche Naruto si è allenato per riuscire ad andare comunque a svolgere le missioni e se c'è riuscito lui di certo non posso fallire io. Ne andrebbe del mio orgoglio.
Abbiamo lavorato insieme per cercare un modo per comporre i segni utilizzando solo una mano e i risultati si sono visti, infatti lui adesso riesce ad utilizzare la Moltiplicazione superiore del corpo come prima ed io riesco ad usare il Katon senza problemi, ma mi è vietato impastare il chakra senza la presenza di un membro del mio ex-team che mi controlli, quindi non posso sperimentare come vorrei per riuscire ad utilizzare di nuovo il chidori, magari con l'ausilio di una katana e non mi resta che rafforzare i muscoli e tenermi in forma mentre aspetto di poter uscire da questa cella che si fa ogni giorno più stretta e soffocante.
Simulo un calcio con rotazione aerea, atterrando senza problemi sui due piedi, poi cambio gamba e lancio anche un pugno con l'unica mano a disposizione. Proprio mentre slancio di nuovo la gamba ecco che un'altra fitta di dolore mi blocca e cado a terra come un cretino, trascinando a terra con me anche il basso tavolino su cui era posta la bacinella piena d'acqua.
Maledizione!impreco, tirando un pugno contro il terreno, poi mi rialzo in piedi quando sento lo scalpiccio dei sandali di una delle guardie che si avvicina, attirato dal rumore.
"Cosa succede qui?" chiede l'uomo, guardando attraverso la feritoia della porta.
"Niente di interessante" gli rispondo, nonostante sia conscio del fatto che il disastro che ho combinato non passerà di certo inosservato.
Lui si limita ad aggrottare la fronte, scrutando la stanza e soffermandosi sul pavimento bagnato e il mobile a terra, poi torna al suo posto senza aggiungere altro.
Imprecando tra me e me rimetto apposto il tavolo e la bacinella, fregandomene dell'acqua a terra visto che non ho niente a disposizione per asciugarla se non i miei vestiti.
Afferro con rabbia il moncherino, stringendo la presa fino a farmi male, come a fargli capire cosa significa sentire un dolore reale e non immaginario, poi prendo la mirror box e inserisco la mano all'interno assistendo all'ennesima 'magia' che fa riapparire ciò che ho perso durante l'ultima battaglia.
Perché la mia mente non capisce che non c'è più nessun braccio in quello spazio vuoto?
Con quell'interrogativo in testa continuo a muovere l'unica mano, osservando il riflesso allo specchio fare la stessa cosa.

When Love Is PatientDove le storie prendono vita. Scoprilo ora