Capitolo 2: Mirror box

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Plic. Plic.
Un suono dolce, ma allo stesso tempo intenso mi sveglia.
Gocce di pioggia colpiscono la finestrella con le sbarre, suonando una dolce melodia nell'urtare contro il ferro, e poi scivolano lungo le pietre della parete, inumidendo l'ambiente.
Mi stropiccio gli occhi per mettere meglio a fuoco quella che è la mia stanza da quando sono tornato al villaggio e cerco di liberarmi degli ultimi sprazzi di sonno. Se mesi fa mi avessero detto che avrei di nuovo dormito una notte intera senza incubi e senza il timore che qualcuno mi uccidesse nel sonno, non gli avrei creduto, eppure da quando sono tornato a Konoha riesco di nuovo a chiudere gli occhi fiducioso di non trovare ad attendermi ipnotici occhi rossi, mani insanguinate che mi toccano la fronte e labbra che pronunciano parole d'amore e di addio.

Non ci sarà una prossima volta...
Voglio che tu sappia che qualunque cosa deciderai io ti amerò per sempre.

Ovviamente non tutte le notti sono tranquille, non sarebbe possibile dopo tutto quello che mi è successo in questi anni e non credo nemmeno di meritarmi una tregua dal dolore e dal tormento, ma più passano i giorni e meno incubi mi svegliano, come a farmi capire che questo è il mio posto. Konoha è la mia casa.
Spesso sogno la mia infanzia...

I miei piccoli piedi da bambino raggiungono la porta di casa, la apro con una spinta delle mani paffute e, fatti pochi passi, mi tolgo in fretta, ma con difficoltà i sandali, mentre urlo: "Sono a casa!"
Dalla cucina la voce di mia madre mi dà il benvenuto: "Bentornato, Sasuke!"
Con impazienza, seguendo il buon odore di riso, pesce e verdure che satura l'aria attorno a me, mi precipito nella stanza, dove lei mi accoglie con il grembiule indosso e le braccia aperte. In un balzo mi rifugio nel suo caldo abbraccio, ebbro di felicità, come ogni volta che la vedo, mi piace uscire a giocare con gli altri bambini del quartiere Uchiha, immaginando importanti missioni e combattimenti contro ninja nemici, ma la parte più bella è tornare a casa e trovarci mia madre intenta a cucinare che mi accoglie come il più gradito dei regali.
Si stacca da me solo quando sente sfrigolare la pentola sul fuoco ed è costretta a girarsi e concentrarsi sulla preparazione della cena.
Mi comporto così solo quando siamo soli perché mio padre è molto severo e dice che un uomo non dev'essere sdolcinato, ma ogni volta che vedo la mamma non resisto alla tentazione di farmi coccolare, di godermi il calore della sua pelle e di crogiolarmi nel suo profumo.
Dei passi che scendono le scale distolgono la mia attenzione dalla contemplazione estatica di quei lunghi capelli neri che si muovono al ritmo dei suoi movimenti. Un attimo dopo la figura sottile di mio fratello Itachi varca la soglia.
"Nii-san! Oggi mi hai lasciato solo, ma domani ci alleniamo insieme? Giuro che colpirò tutti i bersagli sugli alberi!" dico con entusiasmo aggrappandomi ai suoi fianchi.
"Vedremo, otouto. Vedremo" mi risponde lui pragmatico e calmo come sempre, accarezzandomi la testa.
"Non riusciamo mai a passare un po' di tempo insieme!" mi lamento, strattonandolo.
"Sai bene che tuo fratello è impegnato con la sua squadra" mi risponde la voce imperiosa di mio padre, che non ho sentito rientrare.
In un lampo mi stacco da Itachi e con fare rigido alzo gli occhi sulla figura imponente del mio papà, salutandolo con un: "Bentornato a casa!" lieve come un soffio di vento.
"A tavola!"
La voce allegra della mamma spazza via ogni tensione. Mentre mi accomodo mi posa davanti un piatto di riso in bianco e accanto un'insalata di pomodori che io adoro.
Una volta seduti tutti cominciamo a mangiare, mentre mio padre si informa dei progressi di Itachi e racconta le novità della giornata.

Sono ricordi semplici, di vita quotidiana, nessun altro li troverebbe interessanti, eppure sono preziosissimi proprio perché non ho avuto la possibilità di assaporare a lungo quella vita tranquilla.
Per un bambino i genitori sono Dio perché tutto il suo mondo ruota attorno a loro; ogni parola di elogio lo manda in visibilio, lo rende orgoglioso, ed ogni rimprovero lo fa sentire instabile e gli fa temere di non essere amato, accettato e voluto, portandolo a chiedersi: come farò se verrò abbandonato?
Se non mi comporterò bene non potrò più far parte della famiglia?
È stato così anche per me, ma adesso che posso filtrare con una coscienza da adulto quei ricordi di piccolo umano che si affacciava alla vita, non posso fare a meno di provare nostalgia, perché vorrei essere ancora lì a preoccuparmi di non deluderli, piuttosto che giacere qui in questa umida prigione con la consapevolezza che ormai qualunque cosa io faccia loro non possono vederla.
Altre volte invece sogno il futuro, ma sono così incerto su quello che farò che riesco ad immaginare solo un cielo azzurro che si espande all'infinito e una serie di strade che si diramano dinanzi a me e che conducono tutte a luoghi diversi: enormi laghi d'acqua dolce; casette situate a ridosso di una montagna; distese desertiche rischiarate da rade oasi; case sugli alberi; villaggi costruiti sull'acqua... e tanto tanto altro.
Colori a volte tenui, a volte vivaci tingono questi sogni.
Oppure cammino per il Villaggio della foglia come farebbe qualunque altro abitante, faccio la spesa nei mercati, mi fermo a mangiare a qualche bancarella con Sakura, Naruto e il maestro Kakashi, e respiro l'aria di casa.
Spesso però quei bei sogni diventano incubi: l'atmosfera familiare di Villa Uchiha si trasforma in un lago di sangue coi corpi dei miei genitori stesi a terra, sogno persino di essere io stesso ad ucciderli, di rivivere lo sterminio dal punto di vista di Itachi, proprio come me lo ha mostrato poco prima di morire una seconda volta e mi sveglio con la bile in bocca e il desiderio di urlare fino a buttar fuori ogni goccia di dolore; altre volte i luoghi inesplorati e paradisiaci diventano campi infuocati pieni di cadaveri e di nemici pronti a darmi la caccia; oppure mentre cammino per le vie del villaggio vengo preso a sassate, insultato, ma ignorando il sangue che mi cola dai tagli infertimi con quelle pietre affilate, non reagisco, primo perché hanno ottime ragioni per odiarmi, secondo perché in tutta coscienza non sono pentito delle mie scelte, credevo in quello che facevo, giusto o sbagliato che fosse.
Una fitta al braccio sinistro mi distrae da questi pensieri. Ho come l'impressione che qualcuno mi stia torcendo la mano, facendomi male, ma io quella mano non la possiedo più.
Guardo furente il moncherino dal quale una volta spuntava il braccio. Come fai a farmi male se non esisti più?
La prima volta che è successo è stato durante una delle visite mensili di Naruto che, vedendomi sofferente, ha fatto il diavolo a quattro perché mi visitasse qualcuno, dobe impiccione!
Sakura ha chiamato questo disturbo Sindrome dell'arto fantasma e ha detto che ne soffrono con una certa frequenza le persone che hanno perso un arto, spesso provo dolore o prurito come se il mio cervello non capisse che lì dove crede ci sia qualcosa che non va in realtà c'è solo il vuoto.
È un dolore da niente paragonato agli allenamenti che ho fatto al covo di Orochimaru o alle battaglie sostenute in tutti questi anni, ma non posso fare a meno di pensare che i kami abbiano un gran senso dell'umorismo, mi serviva proprio un altro fantasma con cui avere a che fare.

When Love Is PatientDove le storie prendono vita. Scoprilo ora