Capitolo 3

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La donna si alzò dalla sedia e cominciò a camminare su e giù nel lungo corridoio dell'ospedale. Ogni tanto guardava l'uomo seduto, senza farsi notare. Nel frattempo scavava nella memoria per cercare di ricordare dove lo avesse incontrato, ma non gli veniva in mente nulla, se non un pallido ricordo di un incontro fugace, di pochi secondi.

D'improvviso un'infermiera con indosso una mascherina che le copriva la bocca uscì da una porta, guardò la ragazza per un istante, poi l'uomo, infine richiuse la porta. La ragazza ebbe come un lampo: guardò con gli occhi sbarrati l'uomo. Ora sapeva chi era! Quegli occhi tristi e romantici, il modo di atteggiarsi... La giovane donna rimase come pietrificata. Non riusciva più a muoversi. Dopo molti secondi riuscì a riprendere il controllo di se stessa e si diresse verso una poltroncina della sala d'aspetto, dove si sedette, stavolta però lontano da quell'uomo. Si coprì il viso con le mani e cominciò a piangere piano, in silenzio.

La sua mente ritornò in un attimo a quel giorno. Lo aveva visto solo di sfuggita, mentre stava compiendo delle analisi. Ricordava i suoi occhi: grandi e tristi. I loro sguardi si erano incrociati per qualche secondo, poi l'uomo uscì dalla stanza e non lo vide più, fino a quel giorno, quel maledetto giorno.

Il ricordo si impossessò della donna in modo prepotente, senza che lei riuscisse ad evitarlo.

Valerio stava andando a casa in automobile dopo aver comprato un regalo per la sua compagna, un bel maglione rosso che le piaceva tanto. Già immaginava l'espressione felice e sorridente di Marina, ma non ebbe il tempo di pensare ad altro.

Di colpo un bambino attraversò la strada. Valerio frenò e sterzò bruscamente sulla sua sinistra, proprio mentre sopraggiungeva un grosso autocarro. L'impatto fu violentissimo. L'auto di Valerio fu trascinata dall'altro veicolo per parecchi metri poi, finalmente, si arrestò. Un silenzio irreale era calato sulla scena. Il bambino era fermo in mezzo alla strada che guardava verso i due automezzi accartocciati. La sua mamma gridava e piangeva, mentre correva verso di lui. Lo raggiunse e lo strinse forte a sé. Poi guardò anche lei in direzione dell'incidente. Nel suo cuore c'era la felicità di avere tra le braccia suo figlio vivo, e nello stesso tempo provava un senso di gratitudine per quell'uomo che era riuscito ad evitare d'investire il suo bambino. Sperava che si salvasse. Lo sperava tantissimo.

L'ambulanza arrivò nel giro di pochi minuti. Il conducente dell'autocarro era ferito leggermente solo ad una mano e al volto, mentre per Valerio la situazione era drammatica. Fu subito trasportato all'ospedale, e da lì portato in chirurgia d'urgenza. Il medico che lo visitò però capì subito che per lui non c'era più niente da fare. Scosse la testa, e pensò che ora aveva l'ingrato compito di avvisare i parenti, e di chiedere se quella sfortunata persona avesse aderito al programma di donazione degli organi. Ma bisognava fare presto. Uscì dalla sala e chiese all'infermiera di turno di verificare le generalità dell'uomo e di mettersi in contatto con i suoi familiari. Il chirurgo certo non poteva immaginare che Valerio non avesse più parenti prossimi ancora vivi, e che la persona più vicina a lui fosse Marina, un'infermiera dell'equipe trapianti.

Marina era intenta a seguire un corso d'aggiornamento all'interno dell'ospedale, quando il suo cerca-persone squillò. Lo spense, si alzò e uscì dall'aula. Si diresse verso il suo reparto con passo spedito. Non appena giunse a destinazione, notò subito lo sguardo di una sua collega e del primario chirurgo. La fissavano in silenzio, e non appena lei fu vicina a loro le andarono incontro con passo incerto.

«Marina, senti, dobbiamo dirti una cosa...»

La collega, che era anche la sua migliore amica, aveva gli occhi umidi di lacrime. Prese sottobraccio Marina e la fece sedere in una saletta riservata al personale. Cominciò a raccontarle dell'incidente, di come Valerio per evitare di ammazzare un bambino avesse in pratica sacrificato la sua vita.

Marina guardò la collega, incredula. Poi cominciò a scuotere la testa e a ripetere che no, non poteva essere vero, era impossibile che fosse accaduto proprio a Valerio, un ragazzo meraviglioso, altruista e generoso come nessun altro. Poi, senza preavviso, Marina scoppiò in lacrime. La collega l'abbracciò e le accarezzò dolcemente i lunghi capelli. Per qualche minuto restarono così unite senza parlare, poi Marina si staccò e, tra un singhiozzo e un altro, disse:

«Mi hai detto che Valerio è in coma irreversibile, giusto?»

«Si. Marina, senti, io ...»

«Non ti preoccupare, Angela. So bene qual è la volontà di Valerio nel caso gli fosse capitato qualcosa. Fate pure ciò che dovete fare, e io sarò con voi durante il trapianto del suo cuore.»

«No, Marina, questo non puoi farlo.»

«Posso, invece. Anzi, lo "devo" fare. Per lui, capisci?»

«Veramente no. Non ti sembra che tu soffra già abbastanza così? Vuoi anche assistere all'impianto del suo cuore? Cosa speri di ottenere?»

Marina guardò Angela. Era vero ciò che le stava dicendo, ma l'amica non sapeva del sogno di Valerio, del bisturi, del cuore strappato dal suo petto.

Ora Marina finalmente capiva che l'uomo sul lettino, quello che aveva perseguitato per anni il suo amore in un incubo terribile, era lui stesso che assisteva all'espianto del suo organo! La ragazza sorrise amaramente tra sé. Valerio, senza saperlo, aveva sempre sognato la sua morte.

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