Prologo

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I primi sedici anni e mezzo di Louis trascorsero felicemente. Aveva un'adorabile casa, con tanto di giardino, un cane che aveva chiamato Ted, e due genitori che andavano d'amore e d'accordo.

Questo, appunto, fino ai suoi sedici anni e mezzo. Poi fu tutto un susseguirsi di eventi che stravolsero la propria vita, e soprattutto, la propria famiglia.

Troy e Johannah - i suoi genitori, appunto, iniziarono a litigare. Se dapprima erano banali discussioni, dopo divennero delle vere e proprie catastrofi. Louis poteva ancora ricordare i loro litigi durante la cena, che rendevano lo stomaco stretto e il cibo difficile da mandare giù. Ma quello che lo lasciava ancora più distrutto, Louis riusciva a capire a distanza di anni, era il senso di impotenza e disagio che provava durante quelle discussioni in cui, in un modo o nell'altro, veniva trascinato anche lui. E se in presenza dei due cercava di stringere i denti e far finta di nulla, beh, nel buio della sua camera, di notte, non riusciva proprio a trattenersi.
Patetico, ecco come si sentiva, la mano a serrare la bocca per non lasciare fuggire alcun singhiozzo e le cuffie nelle orecchie a distruggergli i timpani con suoni tristi.

E se dapprima pensava che non ci fosse cosa più tragica che avere i genitori divorziati, cambiò completamente idea quando una notte, mentre era a casa di un amico (dal quale si era rifugiato proprio per non sentirli litigare), gli arrivò un messaggio da parte di sua madre.

<<Sono stanca, non ce la faccio. Desidero solo morire.>>

E aveva cercato di dirle che senza di lei, lui non sarebbe riuscito ad andare avanti. Semplicemente perché non poteva. E sembrava anche di aver convinto la donna a staccare la spina, andando a passare una settimana dai propri genitori, a Holmes Chapel, in modo da permettere ad entrambi di pensare alla loro relazione, e di conseguenza, agire.

Da Holmes Chapel a Doncaster c'erano circa tre ore di metropolitana. Eppure, quelle poche miglia sembrarono un'infinità quando passata la settimana prestabilita, Johannah non si fece più sentire, né rispondeva alle sue chiamate.

<<Mamma, ti prego, torna. Io non ce la posso fare. Ti prego.>> Le aveva detto una sera, tra i singhiozzi che gli sfuggivano dalle labbra e le lacrime che rotolavano copiose sulle sue guance, quando la donna aveva finalmente deciso di rispondere al cellulare.

<<Mi dispiace, Lou. Ma non posso ritornare, non posso farlo.>>

Questa era stata l'unica risposta che aveva ottenuto, prima che il cellulare avesse preso ad emettere il classico beep.

Louis si era sentito morire. Iniziò ad allontanare gli amici, si cercò un lavoro ed imparò a cavarsela da solo. Ciò non impediva al dolore di continuare a stringergli il cuore in una morsa micidiale. Sua madre poteva divorziare da suo padre, non da lui. Non esisteva quella cosa chiamata affetto materno?

Dell'affetto materno, però, Louis ne seppe ben poco. Anche di quello paterno, a dire la verità. Se all'inizio suo padre ritornava a mezzanotte, poi iniziò a ritornare alle tre - Louis aspettava fin quando non sentiva la serratura scattare, prima di addormentarsi - fin quando non ritornava per giorni interi. Louis se ne accorgeva dal letto immacolato.

Un bel giorno, circa un anno dopo, Troy gli consigliò di andare a vivere con sua madre.

<<La donna con cui sto è incinta>> gli disse <<Si trasferiranno qui.>>

Louis non aprì bocca, continuando a guardare lo schermo della tv, il cuore lacerato. Lo stava praticamente invitando ad andare via.

Il giudice acconsentì, e Louis sapeva, sapeva che da un momento all'altro sarebbe arrivata La telefonata. Non sapeva, però, che la donna avrebbe deciso di presentarsi direttamente a casa sua.

Quel giorno di inizio gennaio, Louis avrebbe avuto un turno nella pizzeria in cui lavorava alle sei. Quando il campanello suonò, alle quattro e mezzo, Louis stava dormendo.
Quasi gli venne un attacco cardiaco, quando si ritrovò davanti il viso della donna. Non era mutato di una virgola, se non per il fatto che adesso aveva un sorriso dipinto sulle labbra.

Rimase in silenzio a fissarla per quello che sembrò un'eternità, chiedendosi se stesse ancora sognando. Poi però lei lo salutò, e il nodo alla gola gli provocava un dolore vero, reale. Aveva letto da qualche parte che nei sogni, il dolore che si percepisce non è mai vero.
Questo lo era.

La invitò ad entrare, facendola accomodare ad una delle sedie della cucina che una volta era stata anche la sua, mentre adesso sembrava un'estranea. Alla casa, ma anche a lui. In quell'anno si erano sentiti a malapena una volta, dopo quella famosa chiamata notturna.
Louis preparò del caffè, in totale silenzio.

<<Tuo padre è in casa?>> Gli domandò.

Louis scosse la testa, evitando di dirle che probabilmente era a casa della nuova compagna, a lui sconosciuta.

<<Ascolta, sono venuta per parlarti di persona.>>

Oh, solo adesso? E durante tutto l'anno, dove sei stata? Non ricordavi di avere un figlio da qualche parte nel mondo?

Louis si morse violentemente la lingua, affinché quelle parole rimanessero imprigionate nel suo vortice di pensieri, senza lasciarle andare fuori.

<<Mi piacerebbe tanto che tu venissi ad abitare a casa mia. Ho parlato con tuo padre, potrai venirlo a trovare ogni volta che vorrai.>>

Louis rimase in silenzio, a guardare un punto fisso fuori dalla finestra posta sopra il lavandino, prima di girarsi.

<<Io... Non posso dire di fidarmi di te. E credo che ciò non avverrà molto presto. Quindi, se mi stai chiedendo di venire con te solo per qualche obbligo, non ce n'è bisogno.>> Louis fece una pausa, prima di leccarsi le labbra e schiarirsi la gola.

Respirare stava diventando soffocante.

<<Ho diciotto anni, e per la legge sono abbastanza grande da potermi trovare un appartamento in cui abitare da solo. Farò qualche turno in più, e continuerò a studiare. Non ... Non è un gran problema.>>

Proprio come ho fatto durante quest'ultimo anno. Louis si morse nuovamente la lingua.

Johannah teneva lo sguardo fisso sulla tazzina fumante che aveva tra le mani, il sorriso adesso rimpiazzato con ciò che sembrava rimorso.

Ad essere sinceri, dei sentimenti della donna non gli importava granché, al momento. Era andata avanti con la sua vita, si era trovata un altro uomo con cui adesso abitava, questo Louis lo aveva saputo, eppure, dei suoi sentimenti, di come stesse, fisicamente e non, non era importato a nessuno. Neanche alla persona a cui lui teneva di più, la stessa che adesso si ritrovava davanti.

<<Io... So che ho sbagliato, Louis. E capisco che tu non riesca a fidarti di me. Ti sto solo chiedendo un'altra opportunità. Sto cercando di ricostruire tutto da capo.>>

Le lacrime premevano incessantemente per scendere, ma Louis obbligò sé stesso a ricacciarle indietro.
Non parlò, perché non sapeva come sarebbe suonata la sua voce, però annuì.

Era già stato ferito, una cicatrice in più o una in meno non faceva grande differenza.

Hi, I exist |Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora