Come fuoco a contatto con l'aria

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Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando avevano affrontato gli sbirri, probabilmente a causa dell'adrenalina che ancora gli scorreva nelle vene come ghiaccio incandescente, facendolo sentire deliziosamente appagato.
Sapeva solamente che, in fondo alla via, i contorni a confondersi con l'oblio della notte nera, li stava aspettando il loro Covo.
L'aveva battezzato così quando aveva deciso di stanziarvicisi, in un ironico gesto di scherno nei confronti degli agenti dell'FBI che già all'epoca erano sulle sue tracce.
Ma, nonostante tutte le ricerche di quest'ultimi, non erano mai riusciti a trovarlo. Inutile spiegarne la ragione; Joker aveva già appurato in più occasioni che fossero tutti, dal primo all'ultimo, corti di mente.
Ma, bisognava tuttavia ammettere, che aveva ideato dei trucchetti niente male per tenerli alla larga. Come corrompere, in un modo o nell'altro, tutti gli abitanti di ciascun quartiere che si trovavano ad almeno un raggio di chilometro di distanza dalla sua tana.
O come far perdere ogni volta le sue tracce, quando compieva i suoi spassosissimi delitti.
Nessuno li avrebbe mai cercati, lì, e lui ne era consapevole.
Scosse la testa, ancora esaltato dallo scontro di poco prima, assaggiando con la lingua l'aria frizzante, come un serpente a caccia.
Socchiuse le palpebre, il naso dritto arricciato in un'espressione di beato godimento, gli occhi dipinti di scuro che facevano sembrare il suo viso composto da due cavità abissali.
La libertà aveva un gusto decisamente buono, e Joker non poté fare a meno di gustarsela, lasciando che gli odori della notte penetrassero dentro le sue narici in una danza sinuosa; il freddo che preannunciava l'arrivo dell'inverno, il fumo tagliente che usciva dai comignoli delle case intorno a loro, il proprio sudore sulla pelle.
Quell'insieme di aromi, per lui erano diventati ormai sentore di casa.
I suoi occhi si spalancarono nuovamente, facendo scivolare la vista sul suo edificio, il tetto piatto a tagliare il cielo, le finestre rettangolari chiuse dietro spesse persiane.
Tranne la sua stanza. O meglio, precisò un bisbiglio nel suo cervello, la loro. Sua e della sua regina.
Ghignò, euforico. Loro non avevano paura di nascondersi dal resto del mondo. Loro non passavano l'esistenza nascosti in angusti buchi a pregare di non essere presi.
Loro la vita la vivevano, la vivevano appieno.
Facendo tutto quello che desideravano fare, senza alcun timore. Se qualcuno avesse tentato di fermali, loro sarebbero stati pronti ad affrontarlo. E avrebbero sempre vinto, divertendosi, proprio come quella sera.
Perché loro avevano qualcosa che nessun altro possedeva: la consapevolezza di essere liberi, e quel desiderio di possesso che provavano l'una verso l'altro.
Niente e nessuno, avrebbe mai potuto portargli via quelle due cose. Né la distanza, né i poliziotti, né la morte stessa. Era qualcosa che era marchiato a fuoco nelle loro anime, e che si intensificava sempre di più ad ogni attimo che passavano insieme.
Come fuoco a contatto con l'aria. Come un grilletto a contatto con l'indice che lo premeva. Erano due pezzi di uno stesso insieme che si modellavano perfettamente l'un l'altro, la chiave nella giusta serratura. Nella serratura che era stata fatta apposta per lui.
Harley Quinn era questo per Joker; qualcosa che aderiva perfettamente al suo essere. Qualcosa che lo faceva inebriare.
Il luccichio di torce portatili, che rifulgevano in quella oscurità come stelle infuocate, in lontananza, lo destarono dalle sue riflessioni.
Anche se non poteva ancora vederli distintamente, sapeva chi le stava indossando: i suoi scagnozzi, incaricati di fare la guardia alla sua dimora notte e giorno.
In quel momento erano due, a coprire l'immenso portone di legno che era alle loro spalle, due mitragliatori impugnati saldamente nelle mani ferme.
Joker si fidava di loro: li aveva scelti uno ad uno personalmente, nel corso delle sue varie peripezie; ormai aveva al suo seguito circa un centinaio di uomini, che erano pronti a seguirlo e, se necessario, a difenderlo, eseguendo tutti i suoi ordini senza esitare o batter ciglio.
Alcuni si erano offerti di loro spontanea iniziativa, altri aveva dovuto... Persuaderli.
Sogghignò, la mente che volava verso ricordi lontani, trasportata dal lieve vento notturno, la sua testa che si riempiva di grida, urla e risate incessanti.
Aveva dovuto faticare non poco, per addestrarli alla perfezione. Aveva dovuto assicurarsi che tutti gli fossero leali, e glielo avevano dovuto dimostrare nei modi più drastici. Uccidendo, portando a termine compiti molto pericolosi.
Tanti cadevano nel tentativo. Ma Joker sapeva, che in quel modo sarebbero rimasti solo i più forti. Che non l'avrebbero mai deluso. Mai tradito.
Per quello era sicuro che non fossero stati loro a fare la spia, a vendersi agli sbirri.
Joker scosse la testa, migliaia di ronzii che lo torturavano, sussurrandogli ipotesi e congetture.
Sibilò, infastidito, mentre imboccava il viottolo di ciottoli, sulla sinistra. Esso accompagnava le gambe sino ad un paio di gradini in pietra.
E dopo i gradini, eccola lì: casa.
Imponente, fredda, scura. Proprio come lui.
Fece scattare la lingua contro il palato, producendo un sonoro schiocco.
Gli era mancato quel posto, mentre era in prigione. Quello era il suo habitat naturale, dove poteva muoversi e vivere liberamente, senza costrizioni di alcun tipo. Per un attimo si sentì come uno di quei predatori che, dopo aver passato una breve permanenza dentro ad una gabbia, veniva rigettato nella savana.
Poi si ricordò che lui era evaso; non c'era stato nessuno che avesse deciso o preso in considerazione l'idea che un giorno lui sarebbe ritornato in libertà.
'O forse sì.' Pensò, i suoi occhi che involontariamente cadevano compiaciuti sulla ragazza che aveva di fianco.
Aveva ancora il chewing-gum in bocca, con cui ora giochicchiava distrattamente, facendolo gonfiare al massimo fino a che esso non scoppiava, producendo delle gigantesche bolle rosa. Il suo trucco era leggermente sbavato, strisce nere che le colavano sotto gli occhi, rendendo il suo sguardo più folle e ferino.
La sua arma era poggiata sulla spalla destra, nella tipica posizione che usava tenere quando non combatteva.
Il suo abito era stropicciato, le spalline che le ricadevano sulle braccia candide, ma a lei non sembrava importare.
Joker sentì scorrere nel sangue il desiderio, un roco singulto che gli scivolò fuori dalle labbra rosse.
Era decisamente, indiscutibilmente eccitante.
"Benvenuto, Mr. J."
La voce dello sgherro alla sua sinistra lo riportò bruscamente alla realtà.
Per un attimo ebbe l'impulso di saltargli alla gola e ucciderlo.
Poi si ricordò che aveva bisogno di lui.
Gli rivolse un cenno del capo, algido, mentre si avvicinava loro.
"Salve ragazzi!"
La voce di Harley Quinn risuonò entusiasta nel silenzio tombale cui era avvolta quella zona della città, ma lei non sembrò farci caso. Sembrava una bambina, mentre sorrideva scoprendo i denti candidi, sputando la gomma, il passo che si faceva più veloce per raggiungerli.
"Buonasera, signorina Quinn."
Risposero all'unisono loro, la voce neutra, gli occhi vacui.
Joker, osservando la scena, non poté non trattenere una sghignazzata.
Probabilmente quelle persone avevano troppa paura del loro padrone, per permettersi di familiarizzare con la sua donna. Che, al contrario, aveva preso subito in simpatia loro ed il resto degli uomini del Re di Gotham.
Lei però non sembrò notare il distacco utilizzato dai due, o forse se lo aspettava, perché senza ulteriore indugio spinse la porta in legno di mogano, aprendola.
Un cigolio molto simile ad una risata accompagnò il suo movimento.
Notando però che lui non la seguiva, si arrestò sulla soglia.
"Non entriamo?"
Gli chiese con sorpresa genuina, che però risultò ugualmente sensuale nella testa di Joker.
"Un secondo solo, babe."
La ragazza si appoggiò obbedientemente allo stipite della porta, aspettando.
Soddisfatto, si rigirò ad osservare le due guardie, di fronte a lui.
Indossavano pantaloni neri e una camicia, da sotto il quale si poteva intravedere un giubbotto antiproiettile.
La loro pelle era molto più abbronzata rispetto alla sua, facendolo sembrare figlio delle stelle, più che della Madre Terra.
A quel pensiero arricciò le labbra, mentre si avvicinava ancor di più loro, che però non sembrarono né infastiditi né spaventati.
"Fuori dal locale, stasera... È avvenuto un piccolo incidente."
Harley Quinn ridacchiò, probabilmente ripensando al loro spettacolare combattimento.
Joker la imitò, ripassando per un momento nella mente alcune immagini di ciò che era accaduto; il primo corpo che cadeva a terra morto, lui che troneggiava dall'alto della macchina degli agenti, le minacce fatte all'ultimo dei loro sopravvissuti, l'esca...
Quest'ultimo ricordo fece trasformare il suo sogghigno in un ringhio cupo.
"Qualcuno dei nostri ha fatto la soffiata agli sbirri. Sapevano dove fosse ubicato il mio rifugio. Per fortuna quegli idioti erano gli unici a conoscenza di ciò. Voglio che voi avvisiate immediatamente gli altri, che inizino subito ad indagare."
Ordinò, il suo cervello che già pensava a cosa avrebbe fatto quando  avrebbe avuto tra le mani il traditore. Forse avrebbe potuto mettere in pratica quelle incantevoli manovre che aveva ideato quella stessa notte...
"Sissignore! Dobbiamo anche metterci sulle tracce dei poliziotti che vi hanno aggredito, Signore?"
Joker piegò la testa di lato, chiedendo il perché di una domanda così stupida. Poi notò il suo interlocutore che per un attimo scoccava un'occhiata apprensiva allo squarcio che aveva sul petto.
Quasi se ne era dimenticato.
Il sangue ormai si era rappreso, ma la ferita non aveva ancora iniziato a rimarginarsi.
"Oh bhe." Iniziò, socchiudendo gli occhi in una posa letale.  "Diciamo che loro non rappresentano più... Un problema."
Un altro riso gli uscì dalla bocca, mentre li oltrepassava e cingeva la vita della sua donna, spalancando il portone.
Dentro l'edificio era scuro come all'esterno, i quattro muri grigi che ospitavano i più meravigliosi trofei che Joker avesse mai accumulato nel corso degli anni.
Come, ad esempio, una ciocca di capelli dell'ormai defunto Jason Todd, il secondo soprannominato "Robin" dal suo uomo-pipistrello preferito. O come un pezzo di stoffa del vestito che indossava, quando la uccise, la seconda moglie di quel simpaticone del commissario Gordon, da sempre alleato con la sua nemesi per catturarlo.
Quelli erano stati momenti indimenticabili per lui, e ogni volta che li vedeva non poteva fare a meno di sorridere divertito.
Distolse lo sguardo da essi per abbracciare il resto dell'ingresso.
Il pavimento era di legno, e al centro della stanza troneggiava un'imponente scala, che si avvolgeva su sé stessa sino al tetto, come un'enorme spina dorsale.
Joker sospinse la ragazza, che sorrise giocosa, verso di esse.
Mentre salivano, il primo si ritrovò a salutare con lo sguardo il piano che ad ogni due risvolti gli compariva davanti, a intervalli regolari.
Lo scalone, infatti, li collegava tutti, i quali ospitavano ognuno due camere, tutte dedicate ai suoi scagnozzi. Man mano che i piani aumentavano, aumentava anche il grado e l'importanza dei suoi sgherri.
Fino a che non arrivarono all'ultimo. Il più in alto, il più grande. Il solo. Lì, v'era la loro camera.
Arrivati in quello spiazzo, si poteva osservare tutta la costruzione sottostante, come se fossero dentro la testa di un grande essere informe in grado di vedere l'interno del suo corpo.
Loro erano la mente, il cervello di quel grande organismo, l'anello indispensabile.
Se fossero crollati, anche il resto li avrebbe seguiti alla rovina. Per questo nessuno gli disubbidiva mai. Per questo e per il fatto che poteva essere molto, molto... Manipolatore.
Un cachinno vibrante gli squassò il corpo, mentre lasciava la presa sulla ragazza e apriva la porta che avevano di fronte.
Una finestra ariosa, dinnanzi a sé, la quale dava su una leggera scala antincendio che utilizzava quando non aveva voglia di perdere tempo con i suoi complici, permetteva di far planare la vista su tutta Gotham, i grattacieli illuminati, le strade deserte a quell'ora, un cielo color morte senza luna.
Le pareti erano color polvere, un lussurioso letto scarlatto era appoggiato al muro per il lato corto, a destra. Un grosso armadio in legno posizionato di fianco alla parete adiacente alla porta racchiudeva tutti i suoi indumenti e quelli di Harley Quinn, anche se poteva diventare, all'occorrenza, un' armeria davvero niente male, se si toccava un pulsante nascosto sotto ai vestiti.
Infine, a trionfare al centro della stanza, la quale era rialzata a cerchio con grazia, una magnifica pelle d'orso, la testa di quest'ultimo che si protendeva verso l'enorme camino sul lato sinistro, dal quale si potevano intravedere i guizzi di fuoco rosso, dorato ed arancione, che si ballavano l'uno sull'altro, bramosi.
Il proprio sangue si stava comportando allo stesso modo, nelle sue vene.
Fece un passo avanti, girandosi a guardare nella direzione dove sapeva che c'era lei.
Era ancora fuori dalla stanza e lo stava guardando, i denti scoperti sotto le labbra curvate all'insù.
Le avvinghiò gli occhi con lo sguardo, immergendosi in quel mare cristallino, avvertendo desiderio, esaltazione ed euforia.
Poteva sentire quasi come se fosse palpabile, in mezzo a quelle onde chiare, la gioia che le stava ancora provocando quella recente ed appagante vita.
E sapeva anche che in quel suo nuovo oceano personale si annidavano squali e altre creature marine poco piacevoli, che avrebbe indirizzato contro chiunque l'avesse in qualche modo infastidita. O infastidito lui.
Joker incurvò la bocca, i denti che catturavano il riflesso del fuoco, mentre la ragazza gli passava accanto e lui richiudeva la porta.
Finalmente.
Con un gesto secco, si sfilò il porta pistole e l'arma di dosso, gettandoli a terra. Quegli oggetti infernali erano utili, ma maledettamente scomodi.
Poi si levò infastidito anche la camicia, ormai ridotta a brandelli, guardandola volteggiare sul pavimento come una nuvola.
Il suo petto snello assaporò quel senso di tepore datogli dal fuoco, i suoi tatuaggi neri che spiccavano come inchiostro su della carta bianca. Ne aveva molti; simboli di tarocchi, l'incisione di una risata, scritte che si era dipinto addosso in attimi di rabbia o di esaltazione. Gli ricoprivano il busto, le clavicole, la schiena, rendendolo un'opera d'arte. Ognuno aveva la sua storia ed il suo significato, lo marchiavano, lo rendevano unico ed inimitabile.
L'ultimo che si era tatuato era un teschio vestito da giullare, sul pettorale sinistro; rappresentava l'origine del nome che si era scelto quando aveva iniziato la sua nuova vita. Rappresentava un omaggio per la sua nuova regina.
Un movimento, captato con la coda dell'occhio, lo fece voltare.
La ragazza si era seduta sul letto, le gambe nude accavallate, le
mani appoggiate all'indietro sul materasso, il martello adagiato ai piedi del letto. Le sue labbra si piegarono nuovamente all'insù, i suoi occhi che fissavano lascivamente l'indumento stracciato.
Cambiò umore di colpo, tuttavia, quando il suo sguardo si soffermò su di lui.
"Forse dovresti curarti quella ferita."
Gli disse. Joker abbassò lo sguardo per esaminarla, scoprendo che gli si era riaperta, probabilmente salendo i gradini.
"Non la sento neanche."
Rispose in un sibilo, mentre le si avvicinava a passo felpato, un predatore a caccia, tutto quello che aveva provato quando l'aveva premuta contro quel muro, e baciata dopo il combattimento, che ritornava a galla con violenza.
Quando arrivò in prossimità del letto non si fermò, ma si distese sopra di lei, che finì sdraiata supina.
Joker si puntellò con le braccia al letto, il viso sopra quello della sua regina, i loro corpi così dolorosamente vicini, ma non abbastanza da potersi toccare.
"Tutto quello che sento sono i tuoi tocchi su di me, le fiamme sotto la mia pelle e il profumo delle tue labbra."
Le sussurrò rauco, le loro bocche che si sfioravano dolcemente, i loro fianchi che fremevano dal desiderio.
"Oh... Quand'è così, allora..."
Bisbigliò lei, mentre alzava una mano per affondargliela nei capelli, tirandolo a sé.
Le loro ciglia si accarezzarono, la testa di Joker che si chinava sulla sua...
Successe tutto in un attimo.
Un rumore di vetri infranti, un tonfo soffocato.
Poi l'immagine di una figura scura che si rialzava in piedi, di fronte a loro, fece saettare Joker giù dal talamo.
L'uomo che aveva davanti era più o a meno della sua stessa statura, il volto coperto da un passamontagna, guanti neri a reggere una rivoltella d'argento.
Non aveva idea di chi fosse, non era uno dei suoi. E nemmeno un malavitoso. E non conosceva il perché fosse entrato lì dentro.
In quello momento, sapeva soltanto che era infuriato. Nessuno poteva osare introdursi nel suo Covo senza permesso. O ne avrebbe pagato le pene dell'inferno. E quell'uomo stava per scoprirlo.
Una risata sguaiata gli tuonò in gola, mentre agguantava il martello di Harley Quinn e si scagliava sull'intruso, schivando senza difficoltà i proiettili che gli indirizzava quest'ultimo.
In contemporanea, la ragazza saettò alle spalle del loro nemico, che si dovette girare per parare un calcio ben mirato tra i polmoni.
Joker ne approfittò per raggiungerlo e assestargli un colpo deciso col martello alla base del collo, facendolo accasciare a terra e perdere la presa sulla pistola che aveva in mano.
La spinse col piede verso Harley, che la raccolse fulminea, puntandola alla testa dello sconosciuto.
Joker buttò senza troppi complimenti, a terra, l'arma che aveva usato fino a quel momento.
La ferita gli pulsava, il suo torace era lucido, ricoperto da un sottile velo di sudore. Non se ne curò.
"Allora, che cos'abbiamo qui?"
Cantilenò ironico, spalancando le braccia in un gesto teatrale.
Si fece più vicino all'uomo per terra, che in quel momento si mosse, cercando di rimettersi in piedi.
Pensava davvero che avesse ancora speranze di cavarsela?
Divertito calò su di lui, implacabile, le sue mani che afferravano il bavero della sua tuta, alzandolo alla sua stessa altezza, di peso.
"Prova anche solo a muovere un dito e lei ti spara."
Gli mormorò, la sua bocca che premeva contro l'orecchio sinistro dell'uomo.
Poi lo ributtò a terra, dove quest'ultimo cadde pesantemente, un mugolio informe in segno di protesta.
Quel verso si moltiplicò tra le sue membra, le tonalità che si accavallavano tra di loro, crescendo, crescendo sempre di più.
Accompagnato da quella litania si accovacciò di fianco al suo interlocutore, i gomiti appoggiati sulle gambe.
Poi allungò una mano verso di lui e, lentamente, gli sfilò il copricapo che portava calato sul volto.
Il suo viso non l'aveva mai visto prima; aveva tratti duri e marcati, la pelle scura, gli occhi neri e dal taglio stretto.
Era così diverso da lui, che si chiese se in quella stanza, in quell'istante, non si fosse trovato davanti al suo identico opposto.
In quel momento la canzone nella sua testa cessò, riscuotendolo.
"Allora, sentiamo."
La sua stessa voce gli risultò deliziosamente calcolatrice.
"Cosa speravi di ottenere, entrando qui dentro nel cuore della notte? Una cosa a tre con me e la mia signora?"
Gli occhi dell'uomo rimasero imperturbabili, un'espressione vigile ma priva di timore che gli era stampata indisponentemente in faccia.
'Le cose stanno per cambiare, non temere.' Si ripromise, sogghignando.
La stessa reazione non si manifestò, invece, in Harley Quinn.
La sentì ridere, maliziosa.
"È carino. Forse dovremmo farci un pensiero."
Le labbra di Joker si spiegarono in un ghigno.
"Non saprei. Non sono molto incline a condividere quello che è mio."
La avvertì ridacchiare, sebbene la sua mira sull'arma non avesse vacillato neanche un secondo, le braccia tese, la schiena dritta, le gambe leggermente piegate.
Si impose di non distrarsi, e rivolse nuovamente l'attenzione al loro ospite indesiderato.
Da accovacciato com'era, Joker si mise sulle ginocchia di quest'ultimo, le sue gambe che circondavano il corpo dell'uomo, le sue spalle sporte in avanti.
Quest'ultimo si irrigidì completamente, ma non fiatò.
Joker si fece ancora più vicino a lui, i denti scoperti, i loro volti così vicini che quasi si toccavano la punta del naso.
"Però hai ragione, è davvero carino. Forse per questa volta, dovremmo fare un'eccezione..."
Le dita piene di anelli si allungarono verso il petto dell'uomo, raggiungendo le spalle possenti, fino al collo.
Il suo bacino si inarcò contro il corpo del secondo, stretto, quest'ultimo che non osava fiatare. Forse non respirava nemmeno.
Mille sghignazzi gli esplosero nella testa, mentre inclinava la testa.
Ormai poteva percepire il forte odore muschiato dell'altro, la sua mascella contratta, gli occhi socchiusi.
Che stesse perdendo tutto il suo ridicolo autocontrollo?
Non ne era sicuro, e certamente non aveva intenzione di fermarsi sul più bello.
Con vigore quasi improvviso, gli mise una mano dietro la testa, lo tirò a sé e lo baciò.
Le sue labbra erano calde, deliziosamente calde rispetto alle proprie, ancora gelide per l'aria tagliente che gli si era intrisa nella pelle, in strada.
L'altro non provò nemmeno a ribellarsi, ma percepì che tutto il suo corpo era in tensione.
Dopo un lungo momento, Joker si staccò da lui.
"Come baciatore non sei un granché, comunque."
Bisbigliò rauco.
"Ragazzi smettetela adesso! Mi state facendo venire voglia di unirmi a voi!"
La voce di lei era piena di sogghigni, e non poté a meno di unirsi a lei.
Gli occhi del loro prigioniero erano completamente sbarrati, la paura che finalmente dilagava sul suo volto come una macchia d'olio, lavando via tutto quel senso di fierezza e sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento.
"Voi due siete pazzi."
Riuscì solo a dire. La voce che gli uscì dalla bocca era acuta, facendo trapelare, in quel modo, tutto il suo nervosismo.
Joker si alzò, torreggiando su di lui, un sorriso di trionfo che stirò i suoi tratti.
Inclinò la testa di lato, i capelli lievemente scompigliati che gli ricadevano in ciuffi scomposti sulla fronte.
"Hai sentito, piccola? Noi siamo pazzi!"
Esclamò, imitando il tono di voce del suo interlocutore.
La sentì avanzare verso di loro, fino a che non se la ritrovò di fianco.
"Pazzi?"
Chiese, anche lei emulando la voce dell'ostaggio.
"Pazzi!"
Le rispose lui.
Si misero a ridere nello stesso momento, di gusto, come se avessero imparato solo in quel momento a farlo.
Ma si accorsero lo stesso quando il terzo, credendo di approfittare della loro distrazione, si lanciò verso la finestra in un moto quasi disperato.
Come se fosse stata un fulmine, vide Harley Quinn apparire alle spalle dell'uomo, un fantasma silenzioso, la rivoltella premuta contro la sua tempia.
"Dove credevi di andare?"
Gli sussurrò suadente.
Joker raccolse il martello dal pavimento.
I suoi passi risuonavano come tamburi, nel silenzio che si era venuto a creare.
"Basta con i giochetti. Dimmi perché sei qui e cosa vuoi, e risparmierò la tua vita e quella delle persone a cui tieni."
Gli ringhiò, infastidito dal suo tentativo di scappare.
Stranamente, il viso dell'intruso si deformò in un sorriso.
"Non temo la morte, e non ho persone a cui tengo. Uccidimi pure, non mi importa."
Joker rimase per un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo su un suo cruccio.
Davvero quella persona pensava di averla vinta, facendosi morire? Davvero pensava che gliene fregasse qualcosa, se non avesse parlato?
No, lo avrebbe scoperto comunque, in un modo o nell'altro. I suoi scagnozzi erano in grado di intrufolarsi ovunque e carpire le informazioni che lui desiderava.
E poi, almeno se la sarebbe spassata un po'.
"Quand'è così..."
Iniziò, sollevando in aria a due mani l'arma che impugnava.
"Addio."
Sussurrò, ilare, la testa del martello che si fracassava sulla faccia del... Martire. Sì, era un bel nome. Proprio un bel nome.
Ridacchiò a quel pensiero, mentre sollevava nuovamente il martello e lo riabbatteva sul suo viso, spaccandogli il naso.
Un urlo agghiacciante risuonò nell' aria, e per un attimo pensò che appartenesse a Martire.
Ma girandosi verso di lui, notò che era svenuto, in una pozza di sangue.
Ad urlare era stata Harley Quinn.
Non era più inginocchiata, la pistola contro l'uomo. Ora stava di fianco a lui, una mano sull'asta che ancora teneva in mano, sul viso un'aria indecifrabile.
Ma cosa stava facendo?
"Mi stavo divertendo, baby. Perché mi hai fermato?"
Era troppo curioso per essere arrabbiato. Sempre che potesse mai arrabbiarsi con lei.
"Puddin, mi è venuta un'idea migliore. Perché non gli facciamo consegnare un messaggio a Batsy? Insomma, sa che sei tornato, ma non glielo hai ancora fatto sapere esplicitamente, no?"
Per un attimo a Joker venne voglia di buttare a terra tutto, strapparle i vestiti di dosso e unirsi con lei lì, sul pavimento.
Poi si riprese, soprattutto per il fatto che si sarebbero tutti sporcati di sangue. Che non era il proprio.
Però doveva ammetterlo, aveva avuto un'idea geniale.
Perché non sfruttare una situazione infruttuosa per renderla succulenta e ricca di promesse?
Gli mancava stuzzicare il suo acerrimo rivale, gli mancava quel bruciore dentro al corpo che solo una sfida con lui poteva causargli.
"Niente male. Davvero niente male."
Le sussurrò all'orecchio.
Lei, in risposta, gli fece un piccolo inchino, giocosa.
"Tieni d'occhio il nostro ospite."
Disse poi, mentre lui si avvicinava all'armadio e lo spalancava. Scostò alcune giacche dai vari colori fino a che non raggiunse, col pollice, un pulsante rosso e liscio, rotondo, sotto ad una pelliccia di visone.
Lo spinse, mentre le pareti di esso mutavano sotto ai suoi occhi, ribaltandosi, sfoderando un'arsenale di armi da fare invidia ai Marines.
Fece danzare lo sguardo sulle varie attrezzature, che includevano, oltre ad armi da fuoco di qualsiasi genere, anche un'infinità di coltelli, spade, pugnali e pinze. E poi, ovviamente, v'era il reparto dedicato ai veleni.
Joker osservò quasi con affetto le fiale lucide che contenevano all'interno gli intrugli più strani e pericolosi, molti creati da lui stesso.
Essere stato un assistente chimico, tanto tempo prima, si era rivelato un meraviglioso vantaggio.
Ridacchiò, compiaciuto, mentre prendeva due provette contenenti un liquido violaceo, che captarono lo scintillio della luce quasi in un saluto, prima di far tornare le ante al proprio posto e richiudere l'armadio. Aveva trovato quello che faceva proprio al caso loro.
Andò vicino a Martire, ancora incosciente, aprendogli leggermente le labbra con l'indice e il medio della mano vuota, per poi fargli trangugiare il contenuto di uno dei due flaconi.
Poi fece lo stesso con l'altro, su di sè.
"Sei sicuro che non ti farà male?"
La voce di Harley Quinn, alla sua destra, risuonò dubbiosa.
"Questa è una mia stessa creazione. E non dimenticarti, che io e te siamo immuni al veleno."
Le disse, spostandole una ciocca di capelli dal viso arrossato.
I suoi occhi per un attimo videro una ragazza completamente diversa, dai capelli biondi più scuri e degli occhiali ad ingigantirle lo sguardo, che si faceva cadere dentro ad un pozzo di liquame tossico.
Da allora, proprio come lui, era protetta. Invincibile.
Martire tossì, riprendendo conoscenza, e lui si distrasse.
Gli si appressò, fino ad averlo quasi incollato a sé.
Gli occhi neri erano vacui, incerti. Bene. Voleva dire che il veleno aveva fatto effetto, stordendolo.
"Ora tu andrai dal nostro amico Batman. Farai in modo che lui ti trovi, gli consegnerai il mio messaggio e poi tornerai qui da me, dove, se avrai fatto il bravo, ti inietterò l'antidoto."
L'uomo deglutì, insicuro, mentre si guardava la punta dei piedi.
"Come fai a sapere che non disubbidirò? Non mi importa niente della mia vita, te l'ho già detto."
Joker si sporse all'indietro, mettendosi a sedere.
I suoi bracciali si scontrarono tra loro, come se fossero stati animati.
"Il veleno che hai appena ingerito, è collegato tramite a micro tossine ad un secondo infuso, il quale ho bevuto. Saprò sia dove ti troverai che quello che farai. E, per rispondere alla tua seconda domanda... Non mi sembri un criminale. Anzi, credo che tu sia entrato qui dentro per scoprire qualcosa sul mio conto, qualcosa che serve al Governo, magari. Anche se sei troppo sveglio per essere uno sbirro, che non è mai riuscito a trovare il mio nascondiglio. Quindi ci tieni al prossimo, vero? Perché sappi che se non tornerai il tuo corpo tra un giorno preciso esploderà, facendo morire con te anche tutte le persone ad almeno un centinaio di metri da te."
Vedendo lo sguardo pieno di smarrimento che si formò sul volto di Martire, a coprirlo come una coperta, capì di aver fatto centro.
"Va bene." Si arrese infatti, subito dopo.
"Qual'è il messaggio?"
Joker sorrise, mentre i suoi occhi si stringevano in una morsa fatale.
"Digli che il Joker è tornato. E che non è solo. E che ha intenzione di divertirsi parecchio, questa volta."
Bisbigliò, mentre osservava con crescente soddisfazione il suo interlocutore impallidire.
"Adesso vai, mi hai stancato."
Lo congedò, con un gesto della mano.
Martire non se lo fece ripetere due volte.
Si alzò in fretta, scavalcò la finestra e, in un attimo, sparì.
Un vento gelido entrò nella stanza dai vetri rotti, asciugandogli addosso il sudore che lo avvolgeva come un mantello.
"Hai già qualcosa in mente?"
La voce della ragazza, alle sue spalle, lo rese pieno di vita più dell'aria fredda.
"Ho sempre in qualcosa in mente, zuccherino."
Bisbigliò, voltandosi verso di lei.
Che rimase immobile, il suo sguardo che gli incendiava la pelle, un sorriso di libertà pura sulle labbra vermiglie, un pizzico di rinnovata voglia nei suoi occhi socchiusi.
I quali iniziarono a scrutargli il corpo, i muscoli definiti del torace, i tatuaggi sulle braccia, il petto ampio.
Guardandola, qualcosa di primitivo si smosse nella sua testa, mentre avanzava verso di lei, gli occhi ardenti, i capelli scompigliati.
La attirò a sé, sentendo il suo corpo premere deliziosamente contro il suo, un sospiro che le scappava dalla bocca piena.
Non poté fare a meno di fissarla, vorace, desiderando di premerla contro la sua fino a strapparsela.
La sua voce, quando sgorgò dalla gola, era famelica.
"Ma non parliamone ora. Dove eravamo rimasti?"

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